Nel suo romanzo Homo Faber, lo scrittore svizzero Max Frisch descriveva un protagonista con una vista del mondo completamente tecnica, un uomo che produceva, che “faceva”. In senso lato, Franco Serblin era così. Anche senza conoscerlo, avendo di lui solo notizie ufficiali o a mezzo stampa, si sapeva che lavorava, con passione, incessantemente.
Franco Serblin era la Sonus Faber. Da sempre e per sempre. Anche negli ultimi anni, dopo averla lasciata, il confronto che tutti hanno fatto con i nuovi modelli – spesso senza ammetterlo – è sempre stato con le sue creature di un tempo. Quelle che lui stesso aveva pensato e voluto.
Una fra tutte, forse la prima fra tutte, la Electa Amator, il diffusore che aveva cambiato l’idea di bookshelf agli italiani. Che ha imposto un modo di ascoltare tutto italiano nel mondo. Fatto di tecnica ma di ancor più ascolto. Di solido legno sapientemente lavorato e di medie aperte e palpabili.
In questo, secondo me è, è stata la semplice e infinita grandezza di Serblin, l’uomo che ha riscoperto, valorizzato e azzeccato l’importanza delle frequenze medie, non a caso quelle della voce umana. Un costruttore di musica umana, un homo faber, Sonus Faber.