Alex Dunn | Southern Star

01.04.2022

Il volto affilato, un’ombra di barba, qualche ruga segnata dalla salsedine dopo quindici anni di vita da pescatore navigando da qualche parte a sud dell’Alaska. Mi ha incuriosito quest’uomo che racconta di aver cominciato a far canzoni sul battello da pesca, accordando il suono della sua chitarra alla nota fa diesis che veniva dal ronzio del motore. Prima una vita errabonda tra le montagne del Wyoming, poi anni di rollii di peschereccio tra i riflessi luminosi dell’acqua e la fatica del lavoro. E nelle pause poter trovare due o tre accordi di chitarra e qualche verso da inserire tra le note.

 

Il risultato è questo Southern Star, seconda uscita discografica per Alex Dunn. L’album riconosce qualche padre putativo accertato, ad esempio le ballate di Fred Neil e nella loro semplicità anche le scie folk-rock sul modello di Steve Gunn e Ryley Walker. Si tratta di ballate moderatamente elettriche, che rimandano giocoforza agli anni ’70, costruite con pochi accordi e posizionati con gusto, con dolcezza ma senza svenevolezze. Dunn non porta, all’apparenza, alcuna cicatrice nell’anima. Nella sua meteorologia interiore il tempo è sereno, circolare, rimanda ai cicli naturali e allo sciabordio ripetitivo delle onde lungo lo scafo delle imbarcazioni. La trama variopinta di questa musica ha una propria rustica bellezza e nasce dai momenti di pausa dal lavoro, nelle riflessioni assorte condivise con qualche occasionale compagno pescatore e musicista per diletto.

Dunn ci tiene a non essere considerato un artista country con cui non ha niente da spartire, piuttosto ribadisce la necessità di essere valutato come un folk-singer orgogliosamente fuori moda, partecipe dei suoi spazi interiori favoriti dalla solitudine. Ad aiutare Dunn nell’incisione c’è Bryant Moore come coproduttore e polistrumentista, qui probabilmente al basso, e Cameron Peace alla chitarra elettrica, Sam Esecson alla batteria con Kian Dye al mandolino e al violino.

 

Alex Dunn - Southern Star 

Finally è il brano d’esordio nella sequenza dell’album. Trattasi di una melodia gracile, semplice, cantata senza enfasi, perfusa da una sensazione profondamente malinconica ma non triste. Siamo su quella linea di confine sfumata dove sentimenti diversi confluiscono uno nell’altro e la risultante di tutto questo è una specie di raggiante indolenza. L’accompagnamento del gruppo è quasi sottinteso, in secondo piano per non turbare l’andamento del canto nel suo sviluppo.

Southern Star racconta la storia della prima imbarcazione su cui Dunn trovò lavoro. Tempo fa, in un naufragio in cui non ci furono per fortuna vittime, la Stella del Sud colò a picco e l’autore ne riesuma il ricordo. La canzone inizia con un classico arpeggio di chitarra acustica, la voce oscilla sopra un paio d’accordi raccontando la storia di questo peschereccio. Poi una sovraincisione, come al solito molto misurata, di chitarra elettrica e un pulsare di batteria appena accennato completano la struttura essenziale del brano.

Con Ain’t Quite Sure la musica accelera un poco il ritmo e si allunga in un mid-tempo che possiede un rigore quasi ascetico nella geometria country-rock dell’arrangiamento. Abbiamo la possibilità di ascoltare un breve assolo di chitarra elettrica, probabilmente di Peace, che, pur rimanendo all’interno di uno schema pentatonico, compie il suo lavoro senza sbavature né ridondanze.

Il testo di Me and the Lady fu scritto dal padre di Dunn in una lettera per la moglie mentre si trovava da tempo lontano da casa. Tutto inizia con la chitarra acustica e poi, come nella precedente traccia, si entra in una moderata rock ballad, cucita su misura per il tono della canzone. Altro assolo morbido, fluido e un po’ più lungo rispetto al precedente, che si ripete sfumando nel finale. Il canto appare però eccessivamente languido e il brano risulta alfine un po’ stucchevole.

Si alza l’adrenalina in Sorry You’re Sick, dove ci si lascia finalmente andare con un coretto alla Grateful Dead e un solo sonicamente più sporco e distorto di chitarra elettrica.

Linden Street riprende le corde della ballata malinconica, con la voce e la chitarra acustica che si presentano inizialmente da sole e senza accompagnamento. In un secondo tempo la band ritorna alla sua funzione primaria, cioè quella di esprimersi in un moderato supporto per ridare al canto e alla storia raccontata la possibilità di realizzarsi, con le opportune sfumature, in una serie di colori quasi autunnali.

Wrong Kind of Blue si mostra inizialmente come una ballata dai toni velatamente dark per poi trasformarsi in un brano più corale, alla CSN&Y, con tanto di escursioni violinistiche e di slide nel ritornello.

Toil and Trouble chiude l’album con il brano forse più debole dell’intera raccolta, una ballatona un po’ campagnola che non lascia un gran ricordo di sé.

 

Alex Dunn

 

Traendo le conclusioni riguardo questo lavoro di Dunn, occorre dire che Southern Star contiene qualche brano notevole e qualcuno meno ma è l’alone romantico dell’autore che si dimostra vincente, con i suoi richiami al mare e gli abbandoni mentali alle derive dell’oceano, inseguendo i misteriosi transiti dei pesci e le riflessioni sugli orizzonti che sfumano verso l’infinito.

 

Alex Dunn

Southern Star

CD Color Red 2021

Reperibile in streaming su Qobuz 24bit/96kHz e Tidal 16bit/44kHz

di Riccardo
Talamazzi
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