Amplificatori audio | Gli elettroni suonano

07.05.2021

Al precedente articolo di questa serie

 

Discutere del suono può rivelarsi complicato, come spesso accade per le cose potenti che con apparente semplicità fanno parte della nostra vita.

 

Sin dalle prime esperienze da neonati siamo immersi nei suoni, e ne produciamo.

 

Prima dell’avvento della tecnologia il suono era solo una delle tante manifestazioni dell’ambiente, prodotto da qualche fenomeno naturale o da qualche creatura vivente, più o meno intenzionalmente.

 

Amplificatori audio - Si sono fatti di suono

 

Nel mondo acustico il suono è trasmesso da variazioni di pressione nell’aria.

 

In seguito, da quando abbiamo raggiunto la capacità di registrare e riprodurre il suono, il prezioso senso dell’udito è stato trasportato nel regno “elettrico”, e in questo abbiamo imparato a memorizzarlo, elaborarlo, amplificarlo e infine tradurlo di nuovo in onde acustiche.

 

Il motivo per cui viene usata l’elettronica per fare questa come tante altre cose è che gli elettroni sono dei “mattoncini” molto precisi e veloci, una specie di “superlego” che riusciamo ormai a padroneggiare piuttosto bene, e questo li rende adatti per gestire una grande varietà di fenomeni. Non sono solo dei modelli: spesso costituiscono il tramite e il motore delle cose.

 

Del resto, ogni oggetto materiale e molti non materiali – come il pensiero – sono composti proprio di “mattoncini elettrici”. Il termine “elettricità” è qui inteso come una generalizzazione dei fenomeni elettronici.

 

Ecco perché non c’è da stupirsi se usiamo l’elettronica per descrivere e trasferire suoni e immagini: la versatilità di questi fenomeni li rende ideali per rappresentare cose che già funzionano in modo simile. La materia ordinaria interagisce tramite elettroni – strumenti musicali, aria e altoparlanti compresi – mentre le immagini sono radiazioni di campi elettromagnetici. Ovviamente noi non vediamo o sentiamo gli elettroni direttamente, ma essi sono sempre presenti.

 

Dentro di noi il suono è trasformato in impulsi elettrici: il nostro orecchio non è altro che un microfono molto sofisticato che trasforma il suono acustico in “suono elettrico”, perché è solo quello che il nostro cervello “ascolta”. Abbiamo anche dei “cavi audio”, nella testa, che portano il suono elettrico dalle orecchie al cervello. Non sappiamo ancora di che marca sono, ma funzionano.

 

La differenza tra un “tecnico del suono”, che nell’antica Grecia disegnava la struttura di un teatro su una pergamena, e uno contemporaneo, che lavora con apparecchiature elettroniche, è che il secondo sa da cosa è composto il suono e ne parla in termini di parametri elettrici perché la “grammatica” di questi fenomeni è essenzialmente la medesima.

Amplificatori audio - Si sono fatti di suono

Nel “mondo elettrico” il suono è trasmesso da correnti e tensioni.

 

Potremmo ben dire che uno strumento musicale comunica con l’ascoltatore mediante onde sonore e che un lettore CD comunica con i diffusori mediante onde elettriche. Come è evidente, gli amplificatori giocano un ruolo importante, paragonabile a quello dell’aria nella trasmissione acustica del suono, perché trasformano l'informazione in azione fisica.

 

Quando pensiamo all’Alta Fedeltà stiamo dando già per assodato che la sorgente acustica che vogliamo ascoltare non sia vicina a noi e che si abbia a che fare con un sistema “misto”, dove l’elettronica ha la funzione di registrare, conservare, trasportare ed energizzare l’informazione sonora della sorgente, i diffusori sono un “ponte” tra il mondo elettrico e quello acustico – perché devono convertire gli impulsi elettrici in onde di pressione nell’aria – e ciò che rimane è il percorso del suono fino alle nostre orecchie.

 

La parte più critica non è quella elettronica, che si conosce bene, ma quella acustica. Ciò che accade dai diffusori – compresi – fino al punto di ascolto è raramente sotto il nostro controllo.

 

A volte, infatti, dimentichiamo che il nostro impianto non termina con i morsetti dei diffusori ma comprende anche tutto ciò che c’è intorno ed è per questo che possedere costose elettroniche e diffusori blasonati ma non prestare attenzione all’ambiente di ascolto risulta come acquistare una vettura sportiva e non curarsi delle ruote e della strada: è più facile rovinare tutto che divertirsi...

 

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Nel mondo Hi-Fi il suono è trasmesso sia da elettricità – prima – che da variazioni di pressione nell’aria – poi – e la catena è piuttosto lunga e critica.

 

Ci troviamo quindi di fronte a un sistema articolato, più complesso di quello puramente elettrico di chi progetta elettroniche, e anche di quello puramente sonoro di chi si esibisce in un locale.

 

“Alta Fedeltà” significa letteralmente che, se ci bendassero, non sapremmo distinguere se ci troviamo al nostro solito punto di ascolto, oppure al posto del microfono che ha registrato l’opera originale, nel luogo e nel tempo dove è stata incisa. Lo scopo è semplice, il modo di conseguirlo no.

 

Di fatto, la vera Alta Fedeltà è così difficile da ottenere perché la serie di passaggi che la compone è molto estesa, e quindi ci sono molti più elementi che possono dare problemi… Il che è quello che effettivamente accade, a cominciare dalla registrazione fino al cuscino della nostra poltrona!

 

Questo spiega perché in questo campo ci sono così tante filosofie, approcci, pregiudizi, miti, ricette miracolose, leggende, dubbi e discussioni: ascoltare davvero fedelmente i suoni prodotti altrove in casa propria è quasi impossibile.

 

Ma la vita è fatta anche – e soprattutto – della ricerca di cose impossibili e poi, spesso, “il viaggio è più importante della destinazione”, come recita il famoso detto.

 

Per molti, se non per tutti, la cosa più importante non è tanto raggiungere una fedeltà che non si potrebbe nemmeno verificare – oltretutto, in caso di musica elettronica, quale sarebbe l’esecuzione "originale"? – ma ottenere un suono appagante, qualsiasi cosa significhi per ognuno di noi.

 

Ed ecco che un concetto assoluto – la fedeltà – si trasforma in uno relativo – la soddisfazione – aprendo la strada a molti percorsi diversi che faranno la felicità di produttori e commercianti, oltre che degli appassionati.

 

Attenzione, però, che “relativo” non significa “soggettivo”: le caratteristiche del suono sono reali e se è vero che incidono sulle nostre opinioni è altrettanto vero che le nostre opinioni non incidono sulla realtà. Un Do è sempre un Do, e 10 watt sono sempre 10 watt, per tutti, ovunque, allo stesso modo.

 

Quello che ascoltiamo passa completamente in un cavo. Il suono non arriva al nostro orecchio per magia. Per verificarlo basta staccare i cavi di segnale tra sorgente e preamplificatore, o quelli tra finale e diffusori: l’audio sparisce. Tutto. Significa che ogni caratteristica del suono è descrivibile da parametri elettrici. Ogni più piccolo dettaglio audio che possiamo percepire corrisponde a qualcosa del regno elettronico, perché è in quella lingua che è stato tradotto al momento della registrazione.

 

Non esistono particolari della scena sonora che non abbiano spiegazione elettrica, per quanto queste spiegazioni possano essere complicate e difficili da maneggiare anche per gli addetti ai lavori.

 

Fortunatamente non è obbligatorio parlare o intendersi di elettricità per comprendere le componenti del suono. Come il movimento dell’aria è stato tradotto in impulsi elettrici, possiamo tradurre questi in immagini e provare a “visualizzare” cosa accade quando ascoltiamo le opere che ci danno tante emozioni. E anche cosa comportano le trasformazioni che inevitabilmente ogni impianto introduce.

 

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Un’orchestra si può immaginare come la somma di tante componenti sonore che viaggiano separate dalla registrazione in poi, e verranno poi rese “operative” nell’amplificatore in modo da pilotare i diffusori. Ogni figura a destra corrisponde a un diverso strumento.

 

Proviamo dunque a identificare ogni segnale audio con un personaggio e, immediatamente, ci rendiamo conto che la cosiddetta “scena sonora” è proprio il quadro, istante per istante, dove tutti i personaggi sono al loro posto, con la grandezza giusta, e non hanno subito modifiche nel loro aspetto durante il percorso.

 

Entreremo nel dettaglio di queste “modifiche” dopo aver chiarito, con delle metafore non rigorosissime ma speriamo comprensibili – i tecnici perdoneranno qualche imprecisione – in cosa consistano le varie caratteristiche della scena sonora che gli esperti chiamano:

  • livello
  • fase
  • risposta
  • dinamica
  • coerenza
  • risoluzione
  • localizzazione

Alcune caratteristiche sono assolute, altre sono relative, ma tutte sono oggettive e ben definite.
Da queste caratteristiche basilari gli esperti ne derivano altre di cui ora non tratteremo.

 

I nostri personaggi rappresentano le voci dei diversi strumenti: i loro piedi corrispondono ai suoni più lievi prodotti, la sommità del capo corrisponde ai suoni più intensi prodotti.

 

Più avanti riconosceremo in loro altre caratteristiche, ma ora cominciamo da quella più semplice.

 

Livello

Adottiamo la seguente visualizzazione perché è in grado di rendere meglio ciò che succede realmente: al livello del suolo c’è il silenzio.

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Nel caso dei nostri personaggi-segnali, il livello è l’altezza massima che essi raggiungono. A sinistra il livello originale, a destra dopo averlo modificato: alzare il livello corrisponde a spostare il segnale verso l’alto, in direzione opposta quando si abbassa. Questo evidentemente non cambia la forma del segnale, ossia la sua qualità. Il prato rappresenta il rumore di fondo, sempre presente.

 

E infatti i piedi, cioè i suoni più deboli, sono i più vicini, mentre la testa è la più lontana, perché rappresenta i suoni più intensi. Aumentare l’intensità del segnale, ossia alzarne il livello, corrisponde a distanziarsi dal terreno sia con la testa che con i piedi. Gli strumenti che suonano più forte di altri avranno la “testa” più in alto.

 

Se abbassiamo troppo il segnale, i loro piedi, le parti più lievi, finiranno in mezzo all’erba, cioè saranno coperti dal rumore di fondo. Questo succede ogni volta che regoliamo il volume.

 

Fase

Si tratta del ritardo con cui un segnale si presenta a noi. Nella nostra metafora visiva corrisponde alla posizione che una certa figura assume nello spazio, alla fine del percorso. Chiaramente questa caratteristica ha importanza limitata quando la figura è solo una – se ci fosse una sola nota e arrivasse in ritardo di qualche millesimo di secondo non se ne accorgerebbe nessuno – ma acquista un’importanza enorme quando si osserva la fase relativa tra diverse figure. Un singolo segnale infatti è sempre in ritardo - perché di certo non arriva prima di essere partito - ma se ce ne sono diversi allora è possibile che qualcuno "ritardi meno" di altri e quindi giunga, relativamente, in anticipo rispetto altri.

 

 

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A sinistra un trio di segnali, che già compone una “scena”. A destra, dopo un transito attraverso qualche dispositivo, il segnale in mezzo è arrivato in anticipo - fase positiva - mentre quello a destra è arrivato in ritardo – fase negativa – rispetto gli altri. Risulta evidente che anche se i segnali sono gli stessi e hanno forma immutata, la scena finale è diversa da quella di partenza.

 

Risposta in frequenza

Quella che viene chiamata “risposta in frequenza” è una caratteristica complessiva di un impianto o di un apparecchio, se ne stiamo considerando uno solo. Anche i supporti – CD, vinile, nastro – hanno una risposta in frequenza, cioè una specie di “impronta” che ritroviamo sui segnali.

 

Per capire come qualcosa di “generale” si trasferisca sui particolari segnali, basta pensare a una stampante difettosa che riversa troppo o poco inchiostro da un lato: questo si ripercuoterà su ogni singolo foglio che verrà stampato. Quando alla fine le singole stampe verranno usate per ricostruire una scena, ognuna di queste sarà stata alterata dallo stesso fenomeno.

 

Qui immagineremo che la parte sinistra di una figura siano le sue componenti gravi – i cosiddetti “bassi” – e quella destra le componenti acute.

 

Nella parte centrale, ovviamente, troviamo i toni medi contenuti in quel particolare segnale.

 

Come per il suono, se un segnale è così semplice da avere solo componenti acute, cioè se una figura è tutta concentrata sul lato destro, le alterazioni della quantità di inchiostro sul lato opposto non sortiranno effetto. È quello che succede alle note sinusoidali – che se fossero delle immagini corrisponderebbero a una stretta riga verticale – o agli strumenti che sono molto “concentrati” in una gamma: per esempio, spostare il controllo dei bassi sul suono di un flauto non comporta quasi nessuna variazione e lo stesso se variamo gli acuti mentre suona un contrabbasso.

 

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Partendo dal “segnale” originario si mostra cosa accade: 1 = diminuendo i bassi, 2 = aumentando i bassi, 3 = diminuendo gli acuti, 4 = aumentando gli acuti.

 

Notiamo che, a differenza del livello, la risposta cambia il segnale e quindi la qualità sonora.

 

Dinamica

La dinamica è una caratteristica importantissima che può riguardare sia il singolo segnale che l’impianto nel suo complesso. Come la parola stessa suggerisce, questo parametro misura il grado di “movimento” che un segnale può avere tra sé e sé, ma può anche quantificare la capacità di un elemento dell’impianto di gestire correttamente le variazioni di livello.

 

Tra i due concetti non c’è confusione, perché il primo esprime una proprietà di insieme: ad esempio la dinamica di uno strumento – e di conseguenza dei segnali che produce – è la massima variazione di livello che quello strumento può produrre. Non è legata al livello, ma alle sue variazioni estreme.

 

Il secondo, invece, esprime l’intervallo di livelli che un particolare dispositivo può “maneggiare” senza scadere nelle sue prestazioni globali, ossia, nel nostro caso, ottenendo un suono fedele.

 

Proviamo a rendere questa cosa con le immagini, associando la dinamica di una voce dello stesso strumento con l’estensione verticale: più la figura è lunga, più alta è la sua dinamica.

 

Come abbiamo visto, nel nostro “regno elettrico” aumentare o diminuire il volume non cambia la misura verticale del personaggio-segnale, ma solo la sua altezza rispetto il suolo.

 

Perciò aumentare o diminuire il livello non cambia mai la dinamica di un segnale, se l’impianto è valido. Vedremo invece più avanti cosa succede quando l’impianto presenta delle limitazioni.

 

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A sinistra due segnali, di cui il n°1 ha una dinamica minore del n°2, perché la sua figura è meno “longilinea”, più “compressa”. A destra il segnale n°1 è stato molto amplificato, ma, nonostante l’aumento di livello, la sua dinamica è rimasta la stessa, sempre inferiore a quella del segnale n°2.

 

Restiamo ancora sulla dinamica di un segnale, per chiarire qualche altro dubbio. Ogni strumento ha la sua dinamica e questa è facilmente misurabile facendo la differenza tra il massimo livello sonoro che è in grado di produrre senza perdere di qualità e il minimo livello sonoro che riesce a produrre restando udibile. Tutte queste misure sono standardizzate, a distanze e in condizioni precise.

 

Il livello massimo è un limite fisico dello strumento ed è immediato realizzare che, se diamo una martellata a una corda di violino, non ne avremo un suono più forte ma un violino rotto.

 

Per il livello minimo ci vuole un pizzico di attenzione in più.

 

Come è intuitivo pensare, se una leggera corrente d’aria fa vibrare la corda di un violino questa emetterà comunque un suono con la sua nota ma, a meno di non essere una mosca appoggiata a quella corda, non si riuscirà a udirlo nemmeno a 5 cm di distanza. Il livello minimo intellegibile dipende quindi anche dall’ambiente, che ha il suo rumore di fondo prima rappresentato con il prato.

 

Va fatta subito una considerazione pratica: gli strumenti acustici non hanno la regolazione del volume. Il minimo e il massimo di uno strumento non si possono spostare. E nemmeno il rumore.

 

Mediamente il minimo di un violino è circa 40 dB e il massimo può arrivare ai 95 dB. Non occorre, in questa trattazione, sapere cosa significa “dB" o la condizione cui è riferito, tecnicamente detta "SPL”. Per ora sarà sufficiente pensare a questi valori come una misura per le altezze dal suolo delle nostre “figure sonore”. Si tratta di un metro: preciso e uguale per tutti.

 

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Due strumenti raffigurati in proporzione ai loro livelli sonori, minimo e massimo. Il pianoforte ha una gamma dinamica inferiore al violino: 100 - 60 = 40 dB, anche se il suo massimo è più alto. Registrare ed ascoltare entrambi gli strumenti comporta una dinamica che va dal minimo più basso al massimo più alto, cioè almeno 100 - 42 = 58 dB. Qui per semplicità non è stato considerato il rumore di fondo, ma esso è sempre presente e raramente inferiore a 20 dB.

 

Come ben sanno i tecnici del suono, negli ambienti rumorosi la dinamica ottenibile da una registrazione è minore, perché se il rumore di fondo supera il livello minimo di uno strumento, quella porzione della sua dinamica sarà perduta irrimediabilmente.

 

Per quanto riguarda la dinamica di un’apparecchiatura, anche questa è la differenza tra il limite massimo e il limite minimo, proprio come per gli strumenti. Però queste caratteristiche sono stavolta elettriche e non acustiche e stabiliscono un limite al passaggio o alla gestione dei segnali.

 

Tali limiti elettrici sono interamente dipendenti da come è fatto l’apparecchio.

 

Un lettore CD ha la sua dinamica, che è la differenza tra il massimo livello di segnale che può portare in uscita e il minimo livello di segnale che può distinguersi dal rumore di fondo elettrico.

 

Un preamplificatore ha un livello massimo di segnale che può accettare senza andare in distorsione e un minimo livello che è il proprio rumore di fondo. La differenza tra questi è la sua dinamica.

 

Stessa cosa per un finale, la cui capacità di amplificare un segnale è esattamente compresa tra la massima potenza che può erogare al diffusore – senza distorcere – e la solita minima uscita possibile, appena sopra il fruscio che sentiamo a volume “zero”. Nulla di diverso dagli strumenti musicali, ma stavolta nel regno elettrico e non acustico. Persino i diffusori hanno la loro dinamica, che è, come prevedibile, il rapporto tra la massima pressione acustica, che sono in grado di generare senza distorcere, e quella minima, sotto la quale gli altoparlanti non si muovono più seguendo il segnale. Perché, come il motore di un’automobile, sotto un certo “minimo” anche un altoparlante si spegne, a causa dei suoi attriti interni. E poi c’è l’immancabile rumore di fondo, quello ambientale.

 

Se pensate che anche la stanza di ascolto abbia una dinamica – e che ce l’abbiano le nostre orecchie – siete nel giusto: dove c’è un rumore di fondo e un limite massimo, c’è una dinamica. Sempre.
Ad esempio, un buon microfono professionale può arrivare a 140 dB, mentre l'orecchio umano sfiora i 120 dB. È dunque possibile – e certamente utile – registrare con dinamiche elevate.

 

Vi è però una differenza importante tra la dinamica degli strumenti e dei segnali e quella degli apparecchi e dei diffusori o delle nostre orecchie:

  • gli strumenti generano il suono, e i segnali sono l’immagine elettrica di questi suoni, ossia come abbiamo visto ne contengono tutte le informazioni;
  • gli apparecchi non generano ma devono veicolare il suono, cioè devono farlo passare da dove è memorizzato o arriva, ad esempio un vinile o una radio, fino ai diffusori.

Perciò, se finora abbiamo rappresentato i segnali come delle figure che hanno una loro forma e in questa forma racchiudono l’informazione del suono – la parola “informazione” significa proprio “dare forma” – è naturale che gli apparecchi che debbono veicolare queste forme fino ai diffusori siano rappresentati come delle “finestre” attraverso le quali i segnali passano. Ed è questo che sono.

 

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Ogni apparecchio della nostra catena audio è una “finestra” con una soglia bassa e una alta, la cui estensione – lo spazio verticale tra le due – è la dinamica che lo caratterizza.

 

Queste finestre consentono il transito dei segnali, e, come tutte le finestre, la “luce” totale che esse possono far passare dipende non solo dalla loro ampiezza, ma anche dal loro allineamento, cioè dal modo in cui ogni finestra si relaziona a quella che la segue o che la precede.

 

Nel nostro modello, la parte bassa della finestra è il rumore – ogni apparecchio ha il suo proprio rumore – che è la soglia sotto la quale il segnale è perduto, mentre la parte alta rappresenta il livello massimo di segnale che può gestire, cioè far passare senza degradarlo.

 

Se le finestre di due apparecchi collegati hanno la stessa ampiezza – e quindi stessa dinamica – e sono perfettamente allineate, allora anche il passaggio totale attraverso entrambi gli apparecchi avrà la massima dinamica: quella delle singole finestre. Se una delle due è meno estesa, il passaggio complessivo non potrà che essere uguale o minore di quella con meno dinamica. Come per la luce.

 

Cosa intendiamo per “allineamento” nel mondo elettrico? Poiché ogni segnale ha un livello minimo e un livello massimo, si avrà allineamento perfetto quando il livello minimo di una finestra è pari al minimo dell’altra e il livello massimo di una è al livello del massimo dell’altra.

 

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Una sorgente e un preamplificatore e le loro finestre di dinamica. A seconda dell’allineamento la dinamica totale cambia, ma in nessun caso può essere superiore alla più piccola delle due. Chiaramente il caso in basso a destra rappresenta il migliore accoppiamento.

 

Nella figura sono state mostrate tre diverse circostanze dipendenti dal diverso posizionamento relativo delle finestre degli apparecchi, ma non dobbiamo dimenticare che nella realtà le finestre sono fisse, cioè non si possono spostare, con la limitata eccezione del preamplificatore quando ha un ingresso o un'uscita regolabile. Se siamo fortunati – o bravi – a scegliere gli apparecchi, allora ci troveremo in un caso buono; altrimenti, pur essendo i singoli componenti validi ed efficienti, avremo un risultato finale scarso. Questo, insieme ad altre caratteristiche, è il motivo per cui alcuni accoppiamenti danno buoni risultati e altri no, facendo deliziare – o arrabbiare – molti audiofili.

 

Tranne qualche eccezione, raramente gli apparecchi moderni vanno male: più facilmente sono male accoppiati. Lo stesso apparecchio che in un impianto può dare cattivi risultati, in un altro può andare benissimo, e uno dei motivi di queste "magie" è proprio quello delle finestre di dinamica.

 

Ecco perché è importante imparare a conoscere le caratteristiche tecniche e il modo corretto di sfruttarle: per non spendere soldi in oggetti che poi potrebbero andare, una volta inseriti nell’impianto, peggio di quelli che hanno sostituito. E questo è un discorso relativo tra apparecchi.

 

Poi ci sono considerazioni assolute che riguardano i segnali.

 

Cosa succede se il segnale ha una dinamica superiore a quella delle finestre in cui passa?

 

Sostanzialmente succede la stessa cosa di quando l’obiettivo della macchina fotografica non ha apertura sufficiente a inquadrare il panorama che stiamo fotografando: qualcosa viene lasciato fuori.

 

Nel regno audio elettrico, un taglio nella parte alta del segnale corrisponde al cosiddetto “clipping”, cioè i massimi livelli del segnale – parte alta della figura, appunto – sono superiori a quello che l’apparecchio “ricevente” può gestire e questo lo porterà in distorsione.

 

Questo caso è quello più evidente.

 

Ma c’è anche un’altra possibilità: che il taglio avvenga nella zona bassa della figura. Questo significa che parte del segnale, ossia i suoi livelli più deboli, saranno “dispersi” perché inferiori a quelli del rumore dell’apparecchio ricevente. Tale fenomeno è più insidioso e subdolo: ciò che ne scaturisce non “suonerà male" come un segnale distorto, ma toglierà piacere all’ascolto e ci restituirà un suono “piatto”, meno coinvolgente, nel quale perderemo i passaggi più delicati della musica.

 

Cerchiamo di approfondire il discorso. Un segnale con una buona dinamica esce dal lettore CD ed entra nel preamplificatore, che ha una finestra di dinamica sufficiente per riceverlo. A seconda di come regoleremo il volume, il segnale potrà essere amplificato oppure essere attenuato. Come abbiamo visto questo si traduce in uno spostamento dell’intero segnale verso l’alto o verso il basso. In ogni caso esso si presenterà all’ingresso di un finale di potenza che, in questo esempio, non ha una dinamica sufficiente a farlo transitare “intero”. La traduzione in immagini dovrebbe rendere tutto più chiaro.

 

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Se la dinamica del segnale in transito è più alta di quella complessiva dell’impianto, esso verrà “tagliato” in uno dei due modi almeno: in alto a destra, verrà distorto nei suoi livelli maggiori; in basso a destra, i suoi livelli minori spariranno nel rumore. Il risultato è sempre e comunque un segnale non fedele, con dinamica diminuita.

 

I casi che possono verificarsi sono almeno due:

  • Il segnale viene “tagliato” sopra, cioè i suoi livelli maggiori vengono “tosati” mandando in forte distorsione lo stadio finale, e questo produce un suono sgraziato che ci porta immediatamente ad abbassare il volume finché il nostro orecchio non ci conferma che la distorsione è sparita. L’atto di abbassare fa calare il segnale rispetto la finestra, fino a farvi rientrare la sua parte superiore.
  • Il segnale, abbassato per non più distorcere – cioè a restare con la parte superiore dentro la finestra – sarà comunque tagliato nella parte inferiore perché la sua dinamica è troppo estesa, quindi i suoi livelli minori saranno in questo caso assorbiti dal rumore di fondo, che come ricordiamo è la parte inferiore della finestra. Ora la sensazione di distorsione non c’è più, ma il suono è piatto, incompleto, povero. Forse un ascoltatore distratto non ci farà caso, ma un esperto di Alta Fedeltà se ne accorgerà presto.

C’è anche un terzo caso in cui il segnale viene tagliato sia sopra che sotto, ma nessun appassionato resiste per più di pochi secondi a un suono in distorsione, quindi abbasserà il volume fino a ricadere di nuovo e sempre nel caso in cui le parti minori sono assorbite dal rumore elettrico.

 

Come abbiamo visto, la dinamica complessiva di un insieme di strumenti è sempre maggiore di quella dei singoli strumenti e, quando sono presenti strumenti molto diversi, con livelli massimi e minimi ben distanti, è possibile arrivare anche a 90 dB.

 

90 dB sono molti, davvero molti. Vediamo questo valore cosa comporta per i nostri impianti.

 

In una stanza molto ben insonorizzata il rumore di fondo è di circa 20 dB. Se l’incisione è stata realizzata a regola d’arte e l’impianto è formato da componenti di primissima qualità interfacciati in modo ottimale, allora per godere di tutta la dinamica originale dovremo partire dal minimo di rumore e sommare tutto l'intervallo che vogliamo rendere senza perdite. Dunque il livello massimo che amplificatore e diffusori dovranno raggiungere sarà di 20 + 90 = 110 dB.

 

Un bel suono pieno, come quello che in effetti ascolteremmo davanti a una grande orchestra.

 

Per ottenere 110 dB in uscita da un diffusore da salotto – di sensibilità media da 88 dB/W – occorre una potenza di almeno 180-200 WRMS che amplificatore e diffusore dovranno gestire senza scomporsi.

Ovviamente questi livelli si raggiungono solo nei picchi musicali più estremi, ma devono comunque essere a portata dell’impianto, se si pretende una prestazione Hi-Fi. La media dell'ascolto sarà molto più bassa: 80 dB o anche meno, dipende dal tipo di contenuto; solitamente più una traccia è dinamica e maggiore è la distanza tra il picco e la media. Le produzioni destinate al grande pubblico e all'ascolto in radio o in auto hanno una dinamica piuttosto bassa – perché il rumore di fondo in riproduzione è maggiore – e sono quindi più "faticose" all'ascolto a livelli alti in quanto la media è vicina al picco, cioè elevata. Una buona incisione sinfonica permette lo sfruttamento di grandi potenze – che aprono la strada a grandi dinamiche – mantenendo una media bassa che non affatica l'orecchio di nessuno, dentro e fuori del locale.

Certamente è possibile – e a volte obbligato – ascoltare a volumi più bassi, ma in quelle condizioni parte della dinamica sarà perduta e con essa molte sfumature, perché come abbiamo visto abbassare il livello – così come alzarlo – non cambia la dinamica di un segnale ma la distanza di questo dal rumore di fondo.

 

Sullo stesso impianto, se limitassimo la potenza a 5 WRMS porteremmo il limite superiore a circa 95 dB, e sottraendo i 20 dB di rumore resterebbero 95 - 20 = 75 dB di dinamica, un valore non ottimale ma ancora sufficiente per molte incisioni commerciali.

Per quanto possa sembrare strano, quando si impiega poca potenza le prime cose ad essere escluse sono le parti più delicate del suono: abbiamo spostato tutto verso il basso, ma non il rumore di fondo che ora "assorbirà" parti importanti del segnale. L’unico modo per recuperare dinamica è andare verso l’alto aumentando la potenza massima indistorta. La potenza è l'unico strumento che abbiamo per tenere tutto il segnale fuori dall'oblio del rumore...

 

Ecco una breve lista della capacità dinamica teoricamente ottenibile delle varie sorgenti di segnali che il nostro impianto andrà a gestire:

  • 75 dB disco in vinile
  • 80 dB nastro master
  • 96 dB compact disc
  • 144 dB file audio a 24 bit

In parecchi casi questi valori sono un miraggio.

 

Naturalmente gli apparecchi di buona progettazione e realizzazione arriveranno vicini alla dinamica teorica, mentre altri potranno rendere meno. È possibile trovare, nelle produzioni di massa, lettori CD economici che non superano i 70 dB. Al di fuori delle sigle e delle mode, le caratteristiche del singolo oggetto hanno sempre l'ultima parola sulla qualità e sulle prestazioni.

 

Inoltre, per i supporti analogici come i nastri e il vinile, la dinamica dipende moltissimo dallo stato dell’incisione – non può superare il massimo teorico ma può essere sensibilmente inferiore – che è affetto dall’uso, dall’età, dall’ambiente di conservazione.

 

Sulle fonti digitali ci sarebbe un universo di considerazioni da fare e anche certi valori che sembrano inutilmente eccessivi, come i 144 dB del DVD, Blu-ray e altri formati, hanno ragione di essere per motivi che esulano da questa trattazione.

 

Ciò che bisogna sapere senza essere dei tecnici è che con 70 dB di dinamica si possono già ottenere risultati soddisfacenti per la maggior parte dei contenuti commerciali e amatoriali, mentre con 90 dB si può cominciare a parlare di “Alta Fedeltà”, a patto però che tutte le altre caratteristiche sonore siano ottimamente rispettate dall’impianto.

 

Il che, purtroppo, non sempre accade.

 

Coerenza

Come per la dinamica, la coerenza è una caratteristica non singola ma di gruppo. Ha senso parlare di coerenza sia tra diversi segnali che tra le parti di uno stesso segnale, perché, come abbiamo visto, un segnale è in genere composto da molte parti, a meno che non sia una nota sinusoidale unica, invero piuttosto noiosa da ascoltare.

 

Nell’ambito di uno stesso segnale, per esempio il suono di uno strumento, avevamo localizzato nella parte sinistra delle nostre figure le sue componenti gravi e nella parte destra quelle acute e notato che, se la risposta in frequenza era sbilanciata, una delle due o entrambe potevano risultare troppo scarse o troppo marcate: quello che succede se esageriamo con i controlli di tono.

 

Ma può accadere – e non è così raro – che queste componenti, anche senza essere attenuate o esaltate, compiano il loro viaggio con delle velocità diverse, ossia che all’arrivo si presentino con delle fasi diverse dalle altre: qualcuna può arrivare troppo presto e qualcuna troppo tardi.

 

Quando le diverse parti di un segnale viaggiano tutte con lo stesso ritardo e sono globalmente in fase, si dice che quel segnale è coerente.

 

Se invece le diverse parti della nostra figura arrivano con fasi differenti, la ricostruzione che verrà amplificata e portata al diffusore sarà diversa dalla figura originaria e quindi non sarà fedele. In molti casi questa perdita di coerenza avviene dentro l'amplificatore stesso, che riceve i segnali con le fasi corrette ma le "scombina" mentre le amplifica. Anche i filtri crossover dei diffusori e il posizionamento degli altoparlanti possono modificare le fasi.

 

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In alto un segnale in cui le componenti acute arrivano prima, in basso un segnale le cui componenti acute arrivano dopo. Il secondo caso è purtroppo abbastanza frequente nei circuiti realizzati con tecnologie più datate. Si tratta a tutti gli effetti di una distorsione perché la forma del segnale viene modificata.

 

Risoluzione

Si dice che le cose ben fatte si giudicano dai particolari. Ed è vero.

 

Quella della risoluzione è esattamente la misura di quanto i particolari siano ben resi.

 

La più conosciuta perdita di risoluzione è quella causata da una digitalizzazione con un numero di bit troppo basso – più bit significa più campioni e quindi “scalini” più piccoli – e molti arrivano a sentenziare che quale sia il numero di bit, il segnale è a gradini mentre quello analogico è liscio.

 

Si dice anche che la risoluzione di un segnale analogico sia infinita, perché esso non compie “salti” ma assume tutti gli infiniti valori intermedi.

 

Qui bisogna fare una precisazione importante.

 

È vero che un segnale analogico assume tutti valori possibili – fisica quantistica a parte – ma è anche vero che non tutti quei valori sono quelli giusti, ossia rappresentano davvero il segnale.

Il segnale analogico non è mai “liscio”: appare così solo se non si va a guardare nel dettaglio.

 

Amplificatori audio - Si sono fatti di suono


A sinistra il segnale di partenza con una delle sue componenti evidenziata, un lieve ma ben definito movimento. A destra lo stesso segnale e relativa componente dopo un passaggio digitale o analogico di qualità inadeguata. La risoluzione è peggiorata in entrambi i casi, e il danno si fa notare maggiormente nei dettagli: quel piccolo movimento verso l’alto è perduto.

 

Come ben visibile, il passaggio in un sistema di qualità scadente, digitale o analogico che sia, va a introdurre “incertezza” nel segnale, che perde definizione. Le dita della mano destra e il particolare della forma d’onda audio sono visibilmente meno definiti: "pixelati" nel caso digitale, e "dispersi" in quello analogico.

 

Non vi è superiorità di un sistema rispetto all’altro: la perdita di risoluzione è comune e in proporzione colpisce maggiormente le componenti più delicate del segnale.

 

In effetti la minore risoluzione incide anche sulla dinamica, “alzando” la soglia minima di intelligibilità e quindi restringendo la finestra.

 

I sistemi che perdono risoluzione vanno perciò inevitabilmente incontro a perdite di dinamica, e questo nelle codifiche digitali si riscontra quando un numero scarso di bit determina contemporaneamente minore risoluzione e minore dinamica, anche se è possibile avere sistemi con scarsa dinamica e grande risoluzione in settori al di fuori dell’Alta Fedeltà che qui non ci interessano.

 

La dinamica non è mai “compresa nel prezzo” ed è un parametro che risente facilmente degli altri.

 

Nei sistemi analogici la perdita di risoluzione è dovuta alle imprecisioni dei circuiti, al rumore termico, alle interferenze reciproche tra i vari stadi. Per la loro natura fisica – trasformatori di uscita, maggiore calore interno, maggiori dimensioni – gli apparecchi valvolari sono più soggetti a questi problemi.

 

Localizzazione

Cosa succede quando, ascoltando il nostro impianto, chiudiamo gli occhi e riusciamo a “visualizzare” l’orchestra, con tanto di strumenti “al posto giusto”? Anzitutto, succede qualcosa di bello e raro!

 

Andando oltre le emozioni, possiamo immaginare che le nostre orecchie “vedano” due quadri diversi e che il nostro cervello li metta insieme per formare un’immagine mentale in tre dimensioni. Parte di queste immagini – destra e sinistra – sono formate da ciò che il relativo microfono capta direttamente dagli strumenti, con i parametri che abbiamo già visto di livello, fase e frequenza. Ma non solo: il microfono riceve anche una quantità di rimbalzi di ogni singolo segnale dalle pareti e dal soffitto. Questi segnali aggiuntivi contengono informazioni utili per ricostruire l’immagine sonora complessiva, cioè la scena. Dopo che i microfoni hanno trasformato le onde di pressione acustica in segnali elettrici, questi cominciano il loro viaggio attraverso molteplici dispositivi – memorie, dischi, nastri, radio, satelliti, Internet, qualsiasi cosa in grado di raggiungere la casa di un ascoltatore – e una volta a disposizione devono “transitare” nel nostro impianto fino ai diffusori, dove da elettrici essi vengono di nuovo ritrasformati in acustici, per l’ultima parte del percorso: la stanza, con tutti gli oggetti che contiene. Infine, i nostri microfoni interni – le orecchie – li ritrasformeranno in segnali elettrici fino al cervello.

 

Se tutto va bene – e qui ci vuole grande, grandissima capacità tecnica e anche un po’ di fortuna – ciò che arriverà al nostro cervello verrà “riassemblato” e ci darà… quello che avremmo ascoltato stando nel locale della registrazione!

 

Amplificatori audio - Si sono fatti di suono

 

A sinistra i segnali acustici vengono captati e convertiti in segnali elettrici che portano informazioni su posizioni, livelli, fasi, ecc. NB: la posizione dei microfoni non è realistica ma funzionale al disegno. A destra, dopo una serie di passaggi elettrici, i diffusori li riconvertono in onde acustiche tali che, se il percorso, l’ambiente e la posizione di ascolto sono corretti, consentono alle orecchie di ricevere due scene sonore complementari affinché il cervello ne ricostruisca una sola, simile a quella del luogo di registrazione. Si spera!

 

Ricapitolando: strumento > ambiente di esecuzione > microfono > cavi, apparecchi vari, supporti di memoria, altri apparecchi> amplificatore > diffusori > ambiente di ascolto > orecchie > nervi acustici > cervello.

 

Qualsiasi cosa di sbagliato succeda durante uno di questi passaggi, che sia un livello sbilanciato, una fase non coerente, una risposta alterata, una dinamica strozzata, una risoluzione insufficiente, un mobile in salotto che fa rimbalzare il suono, una posizione di ascolto “storta”, una qualsiasi di queste cose può alterare o distruggere la scena sonora. E addio Alta Fedeltà.

 

Se già un lettore CD economico può modificare un paio di queste caratteristiche, un amplificatore troppo vecchio o male interfacciato con i diffusori può deteriorarne anche quattro insieme.

 

Non possiamo permetterci di scegliere i componenti del nostro impianto solo per la fiducia in un marchio o perché quel tale amplificatore o diffusore sembra andare bene a casa di un amico fidato.

 

Non se abbiamo a cuore la musica.

 

Per ottenere buoni risultati occorre andare oltre l’estetica, la moda e il prezzo di listino, considerare le caratteristiche e fare delle prove serie, magari con l’aiuto di un tecnico esperto e qualche strumento.

 

Si possono ottenere, a volte, risultati molto migliori spendendo un quinto della cifra.

 

L’Alta Fedeltà non è solo un bel passatempo, fonte di divertimento e di confronto con gli amici. È e può essere anche una cosa seria. Si ottengono grandi soddisfazioni se si ha idea di cosa si stia facendo.

 

Fine terza parte - Continua...

di Rajko
Marcon Quarta
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