Avviso ai naviganti. Prima di porsi all’ascolto di questo Convex Mirrors del chitarrista Anastasios Savvopoulos, occorre superare il primo minuto di efferato noise elettronico, doppiato il quale bisognerà prestare una certa attenzione ai numerosi scogli dissonanti affioranti a pelo d’acqua. Solo in un secondo tempo, non facendosi catturare dalla fretta di conclusioni fuori luogo, saremo in grado di godere appieno della navigazione del quartetto Azure, condotto appunto dallo stesso Savvopoulos.
Dopo essersi fatto le ossa nella scena jazz sperimentale di Londra, il chitarrista greco si sposta a Berlino nel 2007, dove pubblica un paio di incisioni con Iori Trio e Ouxpo ma è solo per merito dell’etichetta berlinese Aut Records che Savvopoulos esordisce insieme ai suoi Azure nel 2019 proponendosi in Ebbs and Flows. Dopo nemmeno due anni ecco apparire questo ultimo lavoro, Convex Mirrors, a ribadire il credo consolidato degli Azure, quello che chiamerei un assetto di “sperimentazione controllata”. Nonostante generalmente mi tenga distante dalla musica di questo tipo, certamente fuori dai canoni abituali dell’armonia, inserita in un’ottica spesso ma non costantemente atonale, questo album ha catturato stregonescamente la mia attenzione per il suo modo anomalo di comportarsi. Il concetto di musica “sperimentale” non gli sta proprio a pennello, ancor meno gli usuali criteri melodico-armonici con cui tendenzialmente siamo portati a percepire la maggior parte della musica. Si tratta di un costrutto caotico ma nello stesso tempo con un proprio ordine sotteso, una sorta di “caos deterministico”, per utilizzare i termini di Edward Lorenz, quello del battito d’ali della farfalla… Le dichiarazioni del medesimo Savvopoulos in qualche modo confortano le mie tesi, in quanto egli fa riferimento, come agente ispiratore, al filosofo Henri Bergson, lo stesso che stimolò la fantasia del pittore Boccioni e gran parte dell’arte futurista del primo novecento, attraverso la sua concezione vitalistica dell’esistenza.
Continuando nel paragone tra pittura e musica, se non altro per rendere l’idea di ciò con cui abbiamo a che fare, questo gruppo non suona come un Mondrian ma bensì come un Kandinskij, a linee, punti, spirali che s’incrociano e fioriscono in estemporanee macchie di colore non rispettando una simmetria geometrica ma creando “squilibri in equilibrio”, ossimoro che, forse, può aiutare meglio a comprendere questa musica. Caratteristiche dinamiche, alle volte fuggevoli e inafferrabili, altre volte abbacinanti di tinte acide improvvise, costringono l’ascoltatore a un approccio il più possibile aperto e disponibile, meglio se più disposto a metabolizzare il carico di suoni, tramestati e vorticosi nei quali ci si troverà a orientarsi.
Savvopoulos si avvale di un gruppo di collaboratori che lo seguono abilmente in queste sue scorrerie spazio-temporali e cioè Antonis Anissegos al pianoforte e Fender Rhodes, Peter Ehwald al sax e al tarogato, una specie di clarino di provenienza tradizionale ungherese, e Ludwig Wandinger alla batteria.
Convex Mirrors è il brano di apertura che dà il nome all’intero album. Si Inizia con qualche spernacchiamento elettronico ma subito dopo entriamo in pieno nel climax di questo disco. Accordi drammatici del Rhodes, che si occupa anche della gestione dei bassi, su cui s’intorcina la chitarra in avvitamenti e accensioni di accordi improvvisi per entrare poi all’unisono con il sax: immagino la difficoltà nel leggere la partitura! Lo stesso fiato si lancia secondariamente in un lungo assolo, condotto con maestria e sorretto con altrettanta capacità dalla sequenza di accordi del Rhodes. Dopo i primi cinque minuti, il brano ne dura quasi diciassette, la struttura si contrae, si fa più rarefatta, il piano si espone in una lunga sezione d’improvvisazione seguita da un’altra similmente intensa del sax, per poi chiudersi con la chitarra alle prese con un assolo che vola di scala in scala. Dopo tredici minuti, altra pausa, scandita da qualche nota astratta di chitarra che precede un assolo di batteria.
Debonair ha un costrutto ritmico più “regolare”, ma gli interventi del piano e del sax hanno un profilo stralunato e nondimeno quello della chitarra che segue. Il brano si mantiene tenacemente legato ai criteri di una geometrica reinvenzione dello spazio sonoro, elemento peraltro costante lungo tutto lo svolgersi dell’album.
Epicycles, approfittando del suono del tarogato, in verità poco distinguibile da un sax soprano, innesca un’atmosfera notturna carica di pathos, che a tratti mi ha ricordato frammenti del Pierrot Lunaire, anche se qui non siamo, evidentemente, nell’ambito dodecafonico. Anzi, le linee di base sono reiterate spesso, e sopra queste si dissociano frammenti melodici che sembrano quasi impegnati a sostenere più il mood nel suo complesso che non inventarsi una forma autonoma.
Quasi un respiro di “normalità” sonora lo proviamo con l’inizio di False Mirrors, dove la batteria s’impegna in una ritmica coadiuvata da una serie di note ostinate del piano. Ma è solo un momento illusorio, il ritmo si spezza e si frantuma ed è ancora caos strutturato fino alla fine.
Paroxysm mi ha rimandato un po’ indietro nel tempo, con quel Rhodes che sembra un organo e che mi ha ricordato i Soft Machine: era questo gruppo inglese a percorrere i tempi, non gli Azure a essere retrò... Tutto sommato questo ultimo brano è il più abbordabile tra tutti, nonostante i principi estetici e stilistici mostrati finora non vengano per nulla occultati. Un certo drumming ben punteggiato rende più accessibili gli incroci strumentali che diventano più facilmente percepibili nel loro svolgersi.
Questo Convex Mirrors ci offre cosi un jazz decisamente contemporaneo, pieno di screpolature ritmiche e melodiche. Ma ciò che merita interesse è la forma, veramente inusuale e proiettata al futuro, con una calligrafia tesa alla ricerca di nuovi campi gravitazionali in cui inserire le astrazioni strumentali disegnate da Savvopoulos & Co.
Anastasios Savvopoulos Azure
Convex Mirrors
CD Aut Records 2021
Reperibile in streaming su Qobuz 16bit/44kHz e Tidal16bit/44kHz