Caleb Wheeler Curtis | Heatmap

07.10.2022

Per farsi un'idea di chi sia Caleb Wheeler Curtis bisogna immaginarsi un Ornette Coleman più regolarizzato, meno armolodizzato, che si muova con noncuranza tra le sonorità magnetiche e polverose del free e le varianti più melodiche, ma non troppo, che vibrano nella mente di questo sassofonista venuto dal Michigan. Fattosi le ossa attraverso la collaborazione con la Captain Black Big Band di Orrin Evans, dopo un percorso da leader e co-leader che l'ha impegnato lungo l'arco di cinque anni e quattro apparizioni discografiche, Curtis approda a quello che forse è uno tra i più celebrati album del momento.


Heatmap, questa mappa di rilevamento del calore, segue i principi della termodinamica. La produzione di energia è notevole, la dispersione minima, l'impatto è roccioso e tagliente, ma occorre superare quel sottile velo di repulsa che spesso coglie molti tra noi quando sentiamo parlare di free, compreso chi scrive. Però, come accennato all'inizio, questo lavoro possiamo considerarlo come un ibrido, dal punto di vista prettamente formale. La musica di C.W.Curtis lavora le sinapsi con un insieme di clangori e graffi metropolitani che sconfinano frequentemente in momenti delicati, se non carezzevoli e in altri più cogitabondi e raccolti. C'è da sottolineare che un contraltista di questa vaglia – in Heatmap suona anche il sax soprano – non s'incontra a ogni angolo di strada, con questo suono luminoso, talora potente e altre volte poco accennato, come increspato da borborigmi tellurici quasi fosse la faglia di Sant’Andrea, sempre sul punto di aprirsi e d'inghiottire nel suo groove l'ignaro ascoltatore. L'aspetto curioso di questa operazione musicale è che il suono prodotto, dalle caratteristiche così urbane e cittadine, è invece stato concepito nell'ambiente boscoso della colonia di MacDowell, che non è un istituto di pena ma un prestigioso buen retiro per artisti nel New Hampshire. Attorno a Curtis si è creato un collaudato ensemble di musicisti, come Orrin Evans al piano, con cui ha collaborato fin dai tempi della Captain Band, Eric Revis al contrabbasso, anche lui reclutato in seguito alla frequentazione della medesima band, e il batterista Gerald Cleaver, che ha circa una ventina di dischi come leader alle spalle.

 

Caleb Wheeler Curtis - Heatmap

 

Heatmap è anche il titolo del brano di apertura, che dimostra da subito di essere una trappola ben congegnata. La delicata armonia pianistica di Evans, invece di continuarsi secondo le aspettative, devia verso frasi atonali, o meglio, che entrano ed escono dal centro tonale con assoluta, giocosa libertà esplorativa. La ritmica mette il turbo e crea lo spazio idoneo all'apparizione di Curtis, che entra senza farsi pregare con il suo sax perentorio. A tratti sembra di ascoltare un redivivo Coleman ma meno surreale e dissennato, comunque sempre compreso in una spigolosa spontaneità che in fondo è una delle caratteristiche sonore dello stesso Curtis.

Tossed Aside recupera una dimensione più intimista e qui ci troviamo al cospetto dell'altra faccia lunare, una musica che rientra nei ranghi del melodico e del tonale, con il sax di Curtis che si lega alle strutture sospese di questo brano, facilitato dai discreti interventi di Evans e da una ritmica di ipnotica seduttività, tutta giocata sui piatti della batteria e sui laschi legami delle note basse. In questa occasione Curtis si allontana da Coleman per cadere sotto l'orbita di Coltrane, soprattutto quello delle ballads di My Favourite Things. Un assolo baciato dagli dei di Evans, alquanto distante da McCoy Tyner. Meditativo, riflessivo, suonato con un ritmo interiore connaturato con le fibre organiche di questo pianista: veramente superbo.

Con Surrounding si ritorna sulla sponda opposta, cioè a sud di Coleman, in un territorio che però sa quasi di plagio, non tanto nei suoni di per sé ma proprio come concezione e progetto musicale, creando a mio parere quasi un problema d'identità col texano free hero.

Limestone alza però il tiro e lo fa inaspettatamente, muovendosi in un territorio confinante tra il mondo Mingusiano e quello di un Duke Ellington sotto valium. Le frasi di Curtis sono sussurrate, quasi aspirate, e instaurano per lunghi tratti una circolarità con il contrabbasso e le spazzole della batteria e solo dopo una lunga introduzione riescono ad acquistare consistenza dinamica, quasi ridestandosi da un estatico torpore. I tempi appaiono molto lenti, gli spazi tra gli strumenti aumentano ma la dilatazione crea vuoti che non vengono obbligatoriamente riempiti da nessun altro, lasciando così la musica, nella sua totalità, in un clima di fascinosa incertezza.

 

Caleb Wheeler Curtis

 

Splints non è solo un coraggioso divertissment ma una ricerca di attacchi melodici ispidi, quasi un'incursione dinamitarda nel bebop. Manca il sincrono tra piano e sax, che nelle varie derivazioni e proposte dell'epoca bop non sarebbe mai stato ignorato, ma qui Evans si limita a un contrappunto con l'esuberante sax di Curtis, limitandosi a un piccolo assolo atonale prima del ritorno dell'ancia e dell'angoloso tema portante.

Trees for the Forest torna a rallentare i tempi e le tonalità timbriche ma in modo diverso da quello che succedeva in Limestone. Qui infatti l'atmosfera è rilassata, rarefatta e ariosa, come chi stia contemplando le linee verticali degli alberi, il respiro si vivifica in una dimensione spirituale che allontana Curtis dai suoi mentori Coelman & Coltrane per avvicinarlo alle solitarie elucubrazioni di Steve Lacy.

Aumenta la pulsazione ritmica in Trembling soprattutto per il micidiale drumming col coltello tra i denti di Cleaver, un treno di percussioni, un temporale di battiti per contribuire alla creazione di un sound intricato e strabordante, con Evans a pestare sulla tastiera, quasi travolto e risucchiato dall'andamento ritmico del brano. Curtis le tenta tutte, si lancia in orbite interstellari prive di gravità per poi ridiscendere sulla superficie della Terra addirittura in fase melodica, quasi a ritenersi appagato di tutta l'anarchica libertà a disposizione.

Ma a Curtis, abbiamo visto, piace anche sussurrare ogni tanto. E infatti in questo Whisperchant entra solo un filo di fiato nel suo contralto a muoversi all'interno di un giro di piano e contrabbasso quasi ossessivo e perdurante. Una caverna muschiosa e senza luce da cui sale il mormorio dell'Inconscio, dall'andamento ipnotico e sulfureo. Il brano finisce per diventare una lunga, introvertita meditazione che non mostra però sequenze d'insight ma solo la dinamica, il movimento della discesa in sé, quasi potessimo osservare la cauta procedura introspettiva dell'autore.

C(o)urses è pura frenesia tribale, il regno di un'improvvisazione selvaggia, senza direzione preordinata. Lo spettro di Coleman torna a possedere Curtis, ma qui assistiamo a un vero e proprio edorcismo, con uno sciamanico richiamo e una volontà di essere posseduti dall'urlo liberatorio del free.

In Spheres le sonorità vengono messe maggiormente a fuoco, il sax si muove seguendo l'onda ostinata di una serie di note di Evans, quasi quest'ultimo avesse trasformato il piano in una marimba dagli scopi percussivi. Contrabbasso e batteria danzano ritualmente, mentre certe ombre e alcuni demoni sono ancora lì, a girare intorno a Curtis. Chissà se un giorno riuscirà mai a liberarsene.

 

Caleb Wheeler Curtis

Heatmap

CD Imani Records 2022

Reperibile in streaming su Qobuz 24bit/96kHz e Tidal 16bit/44kHz

di Riccardo
Talamazzi
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