Il mercato invecchia, gli audiofili di più, e le permute sono un ricordo lontano. Succede così. Dato per scontato un secondo impianto, che acquisti colpevolmente, i vari soprannumerari si vanno ricombinando con risultati inediti. I miei eventuali lettori potrebbero ricordare le vicende di uno “sfizioso” impiantino ausiliario destinato a funzioni "elettrodomestiche", vedi qui. Come accade, l’impiantino in questione è andato mutando, fino ad assumere una configurazione del tutto immemore degli iniziali requisiti di economicità. Non solo, ma anche del tutto divergente dalle mie esperienze, ormai semi secolari, di riproduzione musicale, vedi altrettanto qui. Per sintetizzare: mi sono ritrovato quasi per caso a utilizzare un impianto indirizzato principalmente allo streaming, composto da diffusori amplificati in classe D e da un DAC/pre, entrambi di origine dichiaratamente professionale. Questa catena, oltre a darmi grandi soddisfazioni, ha assunto il ruolo imprevisto di contraltare a miei impianti tradizionali, largamente articolati su supporti fisici, valvole e coni di carta a bassissima escursione.
Mi è venuta così l’idea di riassumere le impressioni di ascolto di due catene diametralmente opposte da ogni punto di vista: progettuale, costruttivo e commerciale. Non una recensione, quindi, ma una comparazione fra oggetti che, per essere radicalmente eterogenei, sono comunque accomunati dalla loro funzione primaria, la riproduzione della musica registrata. Allo stesso modo, volendo trovare un simile nel quotidiano, due automobili di concezione fondamentalmente opposta hanno in comune lo scopo di portare in giro un passeggero.

Per proseguire nel simile, inoltre, mi sono divertito a trovare due veicoli corrispondenti ai due impianti in rassegna. Il primo, quello tradizionale, è accomunabile per più di un verso a un triciclo Morgan, il secondo a una MG4 Electric.

Il paragone, per quanto inedito, assolve pienamente al postulato funzionale. In entrambi i casi, infatti, si tratta di veicoli destinati al trasporto di un passeggero e per giunta di un passeggero con esigenze di guida tutt’altro che utilitarie.

Cominciamo allora dal “triciclo”, dall’impianto, più che tradizionale, reazionario. Le Supravox Alizée Heritage descritte in una precedente recensione qui mi sono diventate col tempo talmente care che ho commissionato all’inevitabile Attilio “Tektron" Caccamo un’amplificazione dedicata.

Si tratta di due finali monotriodo progettati per privilegiare la linearità a scapito dell’erogazione di corrente. I componenti fondamentali del circuito sono un condensatore interstadio Mundorf MCap Supreme e un trafo di uscita Lundahl LL 1663, mentre un potenziometro a resistenze mi risparmia la complicazione di un pre di linea.

Per quanto riguarda le valvole posso ricorrere indifferentemente alle 2A3 o alle 45, ma nell’uso tipico privilegio queste ultime, pilotate per capriccio codino dalle 6C5 piuttosto che dalle 6J5. Per la rettificazione infine la stessa bizza retrograda mi porta a impiegare le 5Y4 invece delle 5U4. Per la prova ho scelto, fra le tante possibilità risultanti da un’insana mania una batteria italiana, le Fivre 45 e 80, delle 5Y4 con quattro piedini e relativo adattatore, col sigillo piombato e le Fivre 6C5 col bollino repubblicano.

I due finali poggiano su tre piedini triangolari Yamamoto in ebano, a loro volta poggiati su di un supporto composto da una basetta in legno massello e da una mattonella di ardesia, con il necessario corredo di gommini e feltrini.
Per quanto riguarda i cavi, quelli di potenza sono gli ormai noti Belden 9497 serrati a nudo sui morsetti dei finali, dei WBT Midline come gli ingressi RCA, e delle Supravox.

Il cavo di segnale merita una menzione particolare. Su suggerimento di Attilio uso 150 cm dello stesso cavo d’epoca che collega il potenziometro all’uscita del finale, terminato con gli affidabili spinotti Neutrik.

I cavi di alimentazione, per restare in tema, sono gli storici, Cablerie d’Eupen Volga, montati su di una ciabatta Black Noise, purtroppo fuori produzione. Ah, già, dimenticavo. Occasionalmente poggio sulle Alizée, due Totem Beak, campanelle risonanti che mi sembra facciano una differenza, che ne arricchiscano le armoniche. Forse.

La sorgente poi è spudoratamente obsoleta. Tanto il DAC Rega DAC-R già uasato qui e il CD player Rega Apollo R prima serie utilizzato come trasporto sono infatti anche loro fuori catalogo da qualche anno. Per scrupolo filologico in genere uso un cavetto digitale QED, anche se ultimamente, seguendo la moda del ritorno al collegamento ottico lo alterno, senza particolari epifanie, a un Van den Hul The Optocoupler.

E adesso passiamo alla MG elettrica. Le casse sono le Genelec 8331 in finitura alluminio naturale, detta raw, come quella qui sopra ma che vedete invece anche in finitura nera nell'immagine principale all'inizio dell'articolo. Sono delle due vie concentriche con woofer ellittico, triamplificate in classe D, per le quali rimando al loro manuale qui per una descrizione completa.

Da notare che è possibile acquistare a parte un kit per un completo settaggio in DSP ma poche cose potrebbero interessarmi di meno. Il DAC/pre è il Benchmark DAC3 L e anche il suo manuale conferma qui la provenienza pro dell’apparecchio.
La sorgente è un anziano ma coriaceo MacBook Air del 2012, con l’irrinunciabile Audirvana nella versione Legacy Plus, comprata qualche anno fa e tuttora supportata, tanto su chip Intel che M1. Dico tuttora e incrocio le dita. Chi vivrà vedrà. La musica liquida questa è.
Parliamo adesso degli accessori, quasi tutti di origine Amazon, i cavi bilanciati Cable Matters che collegano le Genelec alle uscite del Benchmark, gli stand a treppiede Pyle su cui poggiano le Genelec stesse, e l'affatto esoterica ciabatta di alimentazione da pochi neuri. A corredo del Benchmark un cavo di corrente fornito di una presa IEC con sicura, si vorrebbe trovare qualcosa del genere sui cavi audiofili, e un comodo, lungo e flessibile cavetto USB A - USB B marchiato Monoprice.
L’ambiente di ascolto è quello descritto nella recensione delle Alizée, trenta metri quadri circa, molto riflettente, mentre per i brani mi sono limitato a tre registrazioni, disponibili tanto su CD quanto su Qobuz in standard Red Book: la Folia di Paniagua, l’unico disco prova che abbia vero valore musicale, la Missa Salisburgensis di Biber, e i Kozmic Blues, ci fosse bisogno di dirlo, di Janis Joplin. Questo per l’ascolto comparato vero e proprio. Ma, per evitare la noia e per sostanziare le impressioni, mi sono dato a escursioni musicali varie su entrambi gli impianti per un mesetto circa.
E veniamo ai risultati. L’unica sorpresa è data dalla colossale messa di Biber. Non può sorprendere che il triciclo sia completamente inadatto alla mole musicale travolgente e alla scena enorme della versione di Koopman. In genere ascolto questa registrazione sul mio impianto principale, in uno studione di sessanta metri quadri, con le otto KT77 dei VTL MB-125 a spingere i coni da 15 pollici delle Tannoy Canterbury, vedi qui. Nell’ambiente piccolo le Genelec hanno fornito una prestazione impressionante, non solo per il volume indistorto raggiunto e per la velocità dei transienti, ma anche per la ricostruzione della scena. Alla prossima eventuale recensione il loro comportamento nell’ambiente grande, ma in quello più piccolo si sono mostrate pienamente all’altezza del brano.
Molto più difficile dare un giudizio sulle altre due selezioni, l’arcinoto Kozmic Blues e la atipica Folia, reperibile per chi non la conosce su Spotify. Tanto il Morgan quanto la MG4 hanno mostrato come due diverse esperienze musicali possano risultare ugualmente convincenti. Al punto che non soccorre il salomonico rimando ai gusti personali. E tantomeno il ricorso all’usurata, se non becera, pagella dei bassi, dei medi e degli alti. Va notato peraltro che la temutissima, e a ragione, artificiosità della classe D nei registri superiori non si dà. Come non si dà la confusione nel mediobasso per convenzione attribuita al monotriodo. Inoltre, e non è davvero poco, le voci umane sono equivalenti nelle interpretazioni delle due catene. Un esempio facile: la dinamica epocale della voce di Janis è in evidenza in entrambi gli impianti, ma l’impatto emotivo che provoca nell’anziano ascoltatore, cioè io, è diverso.
A metà strada fra queste valutazioni, necessariamente soggettive, e i più concreti apprezzamenti merceologici che seguiranno sta il giudizio sulla flessibilità e l’ergonomia degli impianti stessi. Che il triciclo reazionario non sia adatto a riprodurre ingenti masse sonore, a meno di perseguire il circo delle pulci, lo abbiamo verificato. La sportiva elettrica, perlomeno nell’ambiente dato, non ha questo limite, e ha riprodotto, certo in scala ridotta, ma perfettamente proporzionata, anche il Titano di Mahler, mentre nell’esecuzione dei Quartetti vocali di Gesualdo, usuale punto di forza della coppia monotriodo-largabanda si è riproposta l’equivalenza differenziata che è il centro di gravità della nostra narrazione.
Per quanto riguarda l’ergonomia invece, non c’è a prima vista paragone possibile. Basti pensare che il Benchmark dispone di un esemplare telecomando proprietario che permette di regolare volume e bilanciamento dal punto di ascolto, mentre la stessa operazione va effettuata su ciascun finale operando pazientemente sul potenziometro.
Non diversamente le due Genelec vanno tarate per sensibilità e risposta in frequenza una volta per tutte, mentre la correzione del bias dei triodi di ciascun finale è croce e delizia, più che periodica, settimanale.
Sempre allo stesso modo, infine, l’app di Audirvana consente variazioni di programma negate al singolo CD. Anche qui però si ripropone sommessamente l’equivalenza che abbiamo invocato.
Una precisazione. La lunga serie di ascolti incrociati mi ha confermato nei miei pregiudizi. Lo streaming in Red Book – non ho curiosità per i numeretti – è una risorsa irrinunciabile ma la resa del CD è, sia pure percentualmente, superiore. L’equivalenza consiste nel fatto che l’audizione frontale è esperienza diversa dall’esplorazione musicale. Per non parlare dell’ascolto elettrodomestico, dove mi tocca osservare – come sono caduto in basso – che la spregevole Spotify a 320 kbps è ampiamente adeguata alle care memorie degli anni ’60 e ’70... Ne risulta che le prestazioni di un impianto piuttosto che dell’altro sono direttamente riferibili alle esigenze del momento. Settanta minuti di concentrazione sul Rosario di Biber o sull'album Tempest di Bob Dylan non sono la stessa cosa di una rassegna delle esecuzioni storiche delle Suite per violoncello di Bach o delle registrazioni di archivio di Robert Johnson.
Terminate con un sostanziale pareggio funzionale le valutazioni riferibili all’ascoltatore, andiamo adesso alle ben più oggettive osservazioni merceologiche. E qui la divaricazione è radicale. Il triciclo è innanzitutto il risultato di parecchi anni di esperienze e di frequentazioni. Basti pensare che il mio primo incontro con Attilio risale al 2014 e che la realizzazione di apparecchi di questo tipo implica un rapporto di fiducia più che consolidato fra costruttore e acquirente. Inoltre, anche i componenti più accessibili, mi riferisco alle Supravox, non sono certo articoli da magazzino e vanno ottenuti non tramite un importatore di fantasia ma con la collaborazione fattiva di un venditore competente ed affidabile, per cui ancora un doveroso grazie ad Audiokit. Gli stessi cavi 9497 sono stati ordinati in Giappone, mentre le basette sono frutto di un minuzioso bricolage. È appena il caso inoltre di ricordare come l’acquisto delle valvole vintage, e non solo, sia semplicemente una variante estrema della roulette russa.
Consideriamo per contro la MG4. I componenti essenziali, Genelec e Benchmark, sono stati ordinati con un’email a Thomann e consegnati a domicilio perfettamente imballati in meno di una settimana. Si tratta peraltro di apparecchi mai ascoltati, comprati sulla base, più che delle recensioni, della lettura degli esaurienti manuali disponibili in rete. Un comportamento del tutto demenziale riscattato sia dal periodo di prova di trenta/30 giorni – il doppio di quanto imposto dalla normativa CEE, con reso a carico del distributore tedesco – che dalla garanzia di tre anni. È solo a queste condizioni che mi sono deciso, per esempio, all’acquisto delle Genelec, non avendo esperienza di casse amplificate e temendo gli incerti della classe D.
Affrontiamo in ultimo il rapporto prezzo/valore. I prezzi di Attilio, per solito notoriamente morigerati, sono lievitati sotto la spinta delle mie continue richieste di upgrade con componenti passivi spietatamente costosi. Siamo arrivati così a una cifra complessiva di quasi 6.000 euro per i soli “due telai”, escluso cioè il costo delle valvole. Che non so calcolare esattamente, ma che nel caso specifico supera allegramente i 500 euro di un bel po’ di tempo fa, non oso pensare alle cifre odierne. le Supravox sono state pagate circa 5.000 euro, i cavi di segnale e potenza diciamo un 150 euro in tutto. Persino il venerabile due telai Rega fu pagato all’epoca attorno ai 1.700 euro, cui vanno aggiunti, perché no, altri 100 euro per i collegamenti digitali. E qui mi fermo.
I prezzi Thomann sono in rete. Meno di 7.000 euro in tutto per casse e DAC/pre.
Ci sarebbe da gridare allo scandalo o peggio. Senonché nessuno mi ha imposto di farmi carico delle gioie e dei dolori di un impianto idiosincratico quanto un triciclo Morgan. Il quale dovrebbe costare sui 50.000 euro nella versione base, da confrontare ai circa 30.000 richiesti per la MG4.
E qui mi sembra che per una felice coincidenza il simile automobilistico regga anche nella proporzione dei listini. E nella proverbiale conclusione: “unni c’è gusto ‘ncè pirdenza”...
Per ulteriori info: all'impianto di Michele Surdi