Una volta un fisico quantistico mi raccontò con un paradosso la differenza tra un uomo e una pietra. “La vera discrepanza”, disse, “è nella struttura e nell’organizzazione delle particelle-onda che compongono l’essere umano e il minerale inerte”. Certo, era una boutade, ma le differenze strutturali, al di là dell’esempio sopra riportato, sono sempre state fondamentali nel jazz. Ciò riguarda, infatti, il modo più o meno consonante o dissonante con cui si intrecciano le note, i ritmi, le armonie, il desiderio di essere melodici e tonali oppure modali o ancora puntare sulle provocazioni caotiche e sui tecnicismi.
Nei lavori del sassofonista Claudio Fasoli, e in particolare in quest’ultimo Next di Abeat Records, si avverte l’importanza della struttura come architettura portante, un’impalcatura robusta, affidabile, sopra cui edificare i temi musicali prescelti ed essere così sicuri che l’intero impianto finale possa esprimersi al suo meglio. Per tracciare strutture di questo tipo occorre però una raffinata conoscenza armonica, un’idea precisa del punto di partenza e di arrivo e soprattutto – stiamo parlando di Musica – la capacità di mantenere una forma di comunicazione sufficientemente emozionale lungo tutto il percorso. Forse questa tendenza alla solidità strutturale Fasoli l’ha acquisita in anni di ascolti di musica classica quando, da ragazzo e in famiglia, come lui stesso ha raccontato, percepiva e interiorizzava, pur inconsciamente, le modalità formali dei musicisti del passato. Questa influenza resta quindi come una stratificazione geologica, una vena che scorre profondamente nella psiche e da cui trarre, al momento, i giusti stimoli.
Sebbene Fasoli venga considerato come un musicista aperto alla sperimentazione, non avviene mai che egli si butti allo sbaraglio e che le sue proposte, pure alle volte piuttosto ardite, si trasformino in esperimenti irrazionali o ardimentosi situazionismi. Si avverte invece, nello sviluppo della sua musica, un percorso netto, preciso, quasi strategico. Parliamo di rigore compositivo e di una chiarezza di idee che lo rendono riconoscibile stilisticamente. Quando un musicista costruisce uno stile, ciò significa che la sua arte ha acquisito sostanza e una forma ben definita. Del resto, la storia professionale di Fasoli parla abbondantemente del suo bagaglio esperienziale. Il suo debutto discografico, per chi non lo ricordasse, risale ai primi anni ’70 con il gruppo di Guido Manusardi e poi è proseguito attraverso varie esperienze sia in Italia che all’estero con alcuni tra i più grandi jazzisti contemporanei, dai compagni di cordata del gruppo Perigeo a Giorgio Gaslini, da Lee Konitz a Kenny Wheeler, Dave Holland, Henry Texier e molti altri.
In questo suo ultimo lavoro Next, eletto tra l’altro disco dell’anno 2021 da Musica Jazz, Fasoli sceglie di cambiare lo strumento armonico di riferimento utilizzando la chitarra elettrica di Simone Massaron al posto del più canonico pianoforte e completando l’ensemble con il contrabbasso di Tito Mangialajo Rantzer e Stefano Grosso alla batteria. Quartetto essenziale, quindi, dove i fraseggi del sax non sono mai convulsi ma più spesso perentoriamente dilatati e luminosi, a riflettersi sulle pareti a specchio della ritmica e degli effetti chitarristici.
L’inizio di Russell Square è un po’ spiazzante, con quei rumori elettronici prodotti principalmente dalla chitarra che invadono la scena. Ma dopo circa un minuto e mezzo dall’apertura il sax si fa strada attraverso una rarefazione sonora progressiva, ben presto rintuzzata dagli altri strumenti, che rientrano quasi timidamente in gioco. Prima contrabbasso e batteria e poi, quando arrivano gli accordi di chitarra, il clima si è trasformato in un quasi-blues con ampi spazi tra gli strumenti. Musica che permette il respiro, che non ti aggredisce ma stimola il pensiero e la riflessione su quello che si sta via via ascoltando. Un assolo di contrabbasso e batteria, entrambi monumenti alla discrezione, vanno a concludere il brano, spegnendosi lentamente in lontananza.
99 Ryerson Street fa parlare il contrabbasso nelle battute iniziali. L’innesto della batteria prima e della chitarra poi spingono il brano verso una forma, neanche tanto velata, di rock progressive, dove ammiriamo le linee oblique di Massaron fino a imboccare il tema suggerito dalla comparsa del suono di Fasoli. Da qui in poi, mantenendo lo stesso ritmo rockeggiante, il sax parte con l’improvvisazione, assorbendosi alfine nell’insieme strumentale che chiude il pezzo. Molta energia che piacerà non solo agli amanti del jazz. Xas è un frammento in cui il rullante della batteria allude quasi a una marcia militare e il sax intona invece una melodia segnata da una certa dolcezza malinconica.
Extasik segue subito dopo, con un incipit che mi ha ricordato il Pithecanthropus Erectus di Mingus per quel suo incedere un po’ misterioso in cui il sax di Fasoli utilizza note lunghe ed espressive fino al momento in cui sarà la chitarra a riprendere il tema – si ascoltano dei rumori elettronici credo sovra incisi – per poi ritornarlo al sax nel finale.
Quando arriva Ray, una serie di intervalli discendenti di sesta minore s’innescano prima col sax e poi con la chitarra, creando un’atmosfera instabile e rarefatta dentro cui basso e batteria si occupano di riempire gli spazi. Brano di grande ed immediata suggestione emotiva.
Eso non turba il mood che si è venuto a creare col brano precedente. Gli spazi si dilatano, aumentano i riverberi e gli echi sottintesi, i temi sono asciutti e brevi e si muovono in modalità “stop and go”, attraverso interruzioni e riprese successive.
Una scossa a tutto questo arriva dal seguente Ali, dove la linea esecutiva è più piena e corposa, anche se le caratteristiche di rarefazione sonora permangono senza gli spazi osservati in precedenza. La timbrica della chitarra, più tipicamente e morbidamente jazzy, caratterizza il tono complessivo della traccia su cui Fasoli melodizza, con certe sfumature che mi hanno rimandato alla memoria alcuni passaggi alla Steve Lacy. Bello anche l’assolo meditato di chitarra di Massaron.
Arcana evidenzia ancor più la raffinatissima tecnica di Fasoli affrontando passaggi in timbriche acute con grande naturalezza, ben spalleggiato dal solito Massaron, che usa poche note ma sempre posizionate nei modo e nei tempi più idonei. Questo brano, forse con la suggestione del titolo, fa pensare a certe sperimentazioni alchemiche, ha un che di solenne e misterioso e in fondo non s’allontana troppo dal tono complessivo dell’intero album.
Sad ripete nella sua parte iniziale il modulo di Ray, utilizzando coppie di intervalli ascendenti questa volta costruiti sulle quarte. La chitarra introduce un movimento melodico che si sviluppa quasi come una canzone. L’andamento è molto lento e raccolto, grande spazio per Massaron sempre a centellinare le sue note con gusto. Il sax, nel finale, accelera le sue scale ma ci si tiene ben lontani da eventuali approcci aggressivi, lavorando su una timbrica molto elegante e pulita.
Nell’ultimo brano, Mix, è bravissimo Grosso nella sua introduzione con timpani e tamburi a far da quinta, insieme al misurato contrabbasso di Mangialajo Rantzer, per gli interventi melodici di sax e chitarra, in un’ambientazione spiazzante, a tratti quasi cantabile e in altre occasioni orientata verso il jazz-rock.
Next si dimostra in definitiva un album piuttosto complesso ma non ostico e che richiede, come tutta la musica di qualità, un approccio consapevole e riflessivo. Da un lato non si può che apprezzare la qualità tecnica ed espressiva di questi musicisti ma dall’altro il punto essenziale è il peso specifico del progetto, che possiede un’aneddotica lineare, omogenea, tanto che definirlo come una suite, anziché una sequenza di brani diversi, riassume il senso complessivo dell’opera.
Claudio Fasoli 4et
Next
Abeat Records 2021
Reperibile in streaming su Qobuz 24bit/96kHz