Il secondo album Artesuono che voglio considerare nella mia carrellata della buona musica prodotta in Italia vede schierato il progetto della Daniele D’Agaro Adriatics Orchestra. Il titolo racchiude in tre parole tutto il suo significato: Mountains, Love & Humour ed è stato registrato live durante il festival “I suoni della montagna” di Comeglians. Il lavoro si arricchisce rispetto al precedente Up & Down grazie alla presenza di una band di nove elementi, ovvero, oltre agli instancabili D’Agaro e Ottolini, Tobias Delius al clarinetto e al sax tenore, Sean Bergin ai sax soprano, alto e tenore, alla concertina, ai flauti e alla voce, Davide Guidoni alla tromba e al flugelhorn, Saverio Tasca alle marimba, al balafon e alle percussioni, Bruno Marini all’organo, Stefano Senni al basso e Han Bennink alla batteria, più altri cinque elementi, partecipi solo di alcune tracce, che rispondono al nome di Alessandro Turchet al basso, Denis Biason al banjo, Wolter Wierbos al trombone, Ousmane Bangura al kongomà e Naby Kamarà al djembè. Il risultato sonoro che ne scaturisce è ricchissimo, articolato, sia che si esprima l’intera orchestra, o che la stessa si scomponga in nuclei più ristretti. Si assiste a un caleidoscopio di culture e tradizioni che si spogliano dei propri confini e confluiscono in una galassia di espressioni amalgamate dalle indiscutibili doti tecniche dei musicisti. La presenza dell’organo e degli strumenti della tradizione africana e sudamericana, con la loro prorompente vocazione a contaminare, dona al lavoro una raffinatezza e un’originalità che raramente mi è capitato di ascoltare.
Kilwa, lunga suite di D’Agaro, apre con un set da big band per lasciare la scena a un organo lounge tra le cui note si alternano le improvvisazioni di fiati e marimba, il tutto danzante sui ritmi scatenati ma sapienti della batteria di Bennink, in armonia pulsante con il basso di Senni. Portrait of Two Sheperds, firmata Bergin/Bennink, ricrea un’atmosfera agreste scandita da percussioni e flauti, con intermezzi di cinguettii, rumori e voci indefinite. In Nediska Fara irrompe l’organo in stile gospel, che lascia poi spazio agli ottoni che intonano un motivo tradizionale delle valli di Natisone. My Donkey Has Long Ears, di D’Agaro, ha un forte sapore etnico con le incursioni del banjo che fa capolino tra i fiati e le percussioni afro. Le marimba e il balafon completano gli spazi di improvvisazione in cui si lanciano i sax impazziti. Segue Otto’s (cara) van, brano di Ottolini, creatività spinta all’estremo e ritmi indiavolati per altri cinque minuti di composizione inafferrabile. Long Armed Woman, sempre di d’Agaro, è un brano più rilassato all’interno del quale possono essere individuati degli accenni di melodie, pur se sporcate da una serie di impertinenti dissonanze. Come pure accade in Let’s Have Another One, ancora a firma D’Agaro, ma con ritmi più sostenuti ed echi centroamericani. In Rotie, viene esaltato il genio dell’autore Sean Bergin, che atterrisce con un attacco afro seguito da un crescendo ipnotico di fiati, banjo e marimba, tutti a rincorrersi in assolo meravigliosi. Verso la metà del brano la follia prende il sopravvento sancita dall’irruzione violenta dell’organo, mentre la batteria e il basso macinano groove. Il sound diventa isterico e si ricompone sul tema solo in un finale corale. In Don’t Pretend esplode tutta l’energia della tradizione sudafricana all’interno di una festa strumentale che accenna, camuffato, il tema di The lion sleeps tonight. Dopo un brano molto sperimentale di Bergin, Family’s Ties, popolato di versi, rumori e strumenti che sembrano ubriachi, si passa a Booker T, in cui Marini esprime appieno la sua vena rhythm & blues e contagia tutti gli elementi della band che si producono in una raffica di riff e assolo, all’ascolto dei quali è un’impresa alquanto difficile rimanere fermi. Chiude l’album Fonkitong, a marchio Daniele D’Agaro, fortemente caratterizzata dalla presenza del kongomà e del jembè, tra fiati scoppiettanti, accelerazione e contrazione dei ritmi, suoni esplosivi, liberi, irriverenti, secondo i tempi della natura.
L’album è un fermento perenne, stimolante, pieno di idee, avventuroso e realmente distintivo. Un lavoro che ipnotizza l’ascoltatore, avviluppato dalle dinamiche a volte irruenti, altre volte dolci, e trascinato da un drumming imprevedibile, teatrale, poliritmico, roboante, e la grande famiglia degli strumenti che si lancia impavida nelle zone inesplorate della musica. Ma uno degli aspetti peculiari della performance è che ci si diverte; ogni passaggio è intriso di aspetti umoristici, ed il pubblico è totalmente coinvolto, ricambiando con applausi a profusione.
Questi due piccoli gioielli, pur nelle loro differenze, sono estremamente suggestivi. Certamente non facili, anzi direi da intenditori e necessitano di ripetuti ascolti per essere metabolizzati. Posso assicurare che il valore artistico è veramente alto, con qualche brano in odore di capolavoro. Ma, al di là dei particolari di pregio musicale, vanno segnalati per la qualità eccelsa della registrazione. Che sia effettuata in studio o in concerto, il rigore dell’elemento live è assoluto. In un magma sonoro così poliedrico e sfaccettato ogni strumento è protagonista, mai sopraffatto dagli altri e, sopra ogni cosa, vero. Il clarinetto suona come legno, i fiati come ottoni, le pelli e le corde sono vibranti, e viene restituita la dinamica reale, senza colorazioni ingannatrici, nel rispetto accurato della spazialità, delle distanze e delle zone di silenzio. Pur se gli album sono incisi su supporto digitale, non si avverte alcuna fatica d’ascolto, e possono essere proficuamente utilizzati come CD test del proprio impianto hi-fi. Nel caso dovreste riscontrare qualche difettuccio inaspettato, non prendetevela con le registrazioni… siete fuori strada!
Daniele D’Agaro Adriatics Orchestra
Mountains, love & humour
Artesuono
CD
Total time 75’20’’
2012