Ogni volta che ascolto un bandoneon penso al musicista che sta dietro a quel mantice come al custode di un mondo perduto, un microcosmo fatto di tempi dilatati, di partenze e di improbabili ritorni, di nostalgie imbevute di rassegnazione e di attese. Il suono di questo tipo di fisarmonica, un’invenzione tedesca dell’800, conserva un profilo che sa di solidarietà e condivisione ma, allo stesso tempo, ci rimanda a una meditazione solitaria, a un distaccato commentario del mondo. Dalle feste danzanti alle penombrose riflessioni, insomma. Come si trattasse di un continuo movimento dello spirito dal centro del mondo alla visione periferica della vita.
Se poi questo bandoneon s’accompagna a un signor pianoforte come quello di Giovanni Guidi, si crea uno straordinario magistero esecutivo, una tavolozza sonora che scava sottopelle e arriva là dove tutta la buon musica va a rifugiarsi, cioè dalle parti del cuore.
Daniele di Bonaventura e lo stesso Guidi sono i due artefici di Reminiscenze, album uscito all’inizio di quest’anno ma composto nel 2018 e dedicato allo scomparso Mario Guidi, padre di Giovanni, che fu manager, tra gli altri, di Stefano Bollani ed Enrico Rava. Questo disco si muove lungo una china malinconica che percorre quasi tutti i brani, un viaggio sentimentale attraverso i propri ricordi ma anche lungo la strada di vecchie e conosciute melodie, intervallando questo tragitto con momenti di ricerca più focalizzati verso la musica del primo Novecento. Tutto sembra avvenire in modo lineare e spontaneo. Due artisti s’incontrano, si accomodano con i loro strumenti e semplicemente attaccano a suonare, inseguendo le loro ombre nascoste tra le rimembranze.
Dei dodici branipresenti in questo album, tre non sono stati composti dal duo Bonaventura-Guidi e sono l’arcinoto Avec le temps di Leo Ferrè, Deborah’s theme di Ennio Morricone, dal film C’era una volta in America, e Rabo de Nube di Silvio Rodriguez. Lungo l’intero percorso sonoro si snodano i brani che vanno sotto il nome di Reminiscenze, suddivisi in cinque capitoli separati tra loro che si immergono e riappaiono in superficie come messaggi dal profondo, scampoli onirici, territorio sperimentale di armonie non usuali. Sembrano essere i momenti più vicini all’improvvisazione, in cui l’assetto della composizione abbandona le melodie più solite, quelle che appaiono quasi come forma-canzone, le più vicina alla cantabilità. Proprio questo contrasto rende l’album così affascinante, in un continuo va e vieni tra coscienza e inconscio, tra il ripescaggio di precisi ricordi del passato e pulsioni più nascoste ancora da identificare pienamente.
Il disco esordisce con Trilly, delicato ritratto musicale introdotto da una serie di accordi di piano con una melodia consonante, quasi modale, che si srotola sulla tastiera preparando il terreno all’intervento del bandoneon, pieno di spazi e di echi nostalgici. Un cambio di tonalità – si scende di un semitono verso la metà del brano – pulisce il campo da ogni rischio di sentimentalismo e puntella l’attenzione che sarà premiata poco dopo con il ritorno alla tonalità di partenza, dando l’impressione di ritrovare il filo di un discorso che si era momentaneamente allentato. Ci saranno le note di Avec le temps, a seguire, forse uno dei brani più tristi e senza speranza che siano mai stati scritti da un autore europeo. Qui l’assoluta, incontaminata bellezza della melodia riceve la giusta dedizione con il bandoneon che spreme dal soffietto un effluvio di vapori amari. Il pianoforte è una voce consolatoria che cerca, attraverso una coltre di dolcezza, di stemperare la manifesta solitudine esistenziale di questo brano. Con Reminiscenza I si cambia registro. La bussola orienta l’ago magnetico verso la musica colta novecentesca ed è il piano il perno principale della traccia, mentre Di Bonaventura alimenta l’improvvisazione con spiritati interventi atti a completare la fragilità un po’ cupa di questa atmosfera sospesa. Tomasz ha tutta l’aria di essere un omaggio al trombettista polacco Tomasz Stanko, con cui Guidi si esibì in quintetto a Umbria Jazz qualche anno fa, assieme a Enrico Rava. Il brano è ricco di un amicale senso di vicinanza, ma che, purtroppo, si fa anch’esso ricordo. Le ultime note paiono quasi sottolineare, nel loro declive abbandonarsi, il rimpianto che il musicista polacco ha lasciato dietro sé. Con un breve intermezzo di Reminiscenza II sfila la narrazione in Reminiscenze, al plurale. Contrariamente a Reminiscenza I pare essere il bandoneon, questa volta, a tracciare il percorso. Molto ariosa la melodia, senza azzardi né tentazioni citatorie. Il brano rispecchia in pieno il climax dell’intera incisione e cioè un’immersione nelle acque del ricordo. Ogni rimembranza è sempre legata a una perdita e al suo pervasivo senso doloroso. Non si ricorda mai, infatti, tutto quello che è ancora davanti ai nostri occhi. Con Rabo de nube ci si avvicina un poco alle risonanze latine dell’autore cubano, ma anche questa sollecitazione è come se venisse fagocitata dal lento avvolgersi del dialogo dei due esecutori. L’impronta personale e peculiare di Guidi e Di Bonaventura acquisisce un tono di saudade che mi ha rimandato a Dino Saluzzi, non tanto per il suono in sé, che si mantiene diverso, ma per quell’intonazione carica di rimpianto che spesso si avverte nel lavoro del fisarmonicista argentino. Con Reminiscenza III si recupera il mood un po’ più “sperimentale” – ma è una parola grossa – delle precedenti Reminescenze I e II. Molto soffice, magari un pochino troppo, Ti stimo, che rischia a volte di incagliarsi nei fondali un po’ bassi della New Age ma non si perde una virgola di gradevolezza. E che belli quei suoni “meccanici” del mantice e dei tasti del bandoneon che sembrano racconti d’acqua e di fuoco, insomma quasi elementi naturali di sottofondo. Where they lived è anche il titolo di una splendida poesia di Thomas Hardy, poeta inglese di epoca vittoriana, di cui riporto il testo a fine recensione, tanto belli e profondi sono quei versi che diventano un tutt’uno con la musica. Reminiscenza IV è solo Di Bonaventura. Affiora un pizzico d’inquietudine in qualche dissonanza ben controllata, ma si avverte una sensazione di chiusura, la percezione che il viaggio sia giunto verso la fine. Ma, prima, una rivisitazione morriconiana di Deborah’s Theme, che ci riporta alla mente il volto di Elizabeth McGovern e qualche immagine sfocata dell’indimenticabile film di Sergio Leone. Ecco, i giochi si sono conclusi, i sentimenti che dovevano essere liberati si sono dispersi tra le note. Ci resta qualcosa di ineffabile nella memoria e di impalpabile tra le dita. Come avessimo scorso, per un attimo, lo scintillio di una perla che torna a nascondersi, una volta apparsa, tra le valve di un’ostrica.
Foglie arruffate scendono oggi
su quella sponda,
alcune verdi, alcune gialle e alcune brune;
Le curve bagnate ondeggiano e ondeggiano;
Il tappeto erboso un tempo caldo e scivoloso è fradicio
Dove ci sedevamo o ci sdraiavamo ridendo.
Il chiosco è andato,
lasciando uno spazio pieno di erbacce;
I cespugli che un tempo lo velavano sono cresciuti
alberi scarni che si intrecciano,
Attraverso le cui membra magre vedo troppo chiaramente
La nudità del luogo.
E dov'erano le colline azzurre,
cieche derive di vapore soffiato,
e pochi i nomi degli ex abitanti,
se ce ne sono, la gente sa,
e invece di una voce che chiamava: "entrate cari",
il tempo chiama "passate sotto!"
Thomas Hardy
Daniele Di Bonaventura & Giovanni Guidi
Reminiscenze
CD e vinile Ddb Music 2021
Reperibile in streaming su Qobuz16bit/44kHz e su Tidal 16bit/44kHz