Dicesi classe A

09.01.2024

Un amplificatore si dice lavorare in classe A quando i suoi dispositivi di potenza che erogano la corrente al diffusore non vanno mai in interdizione, cioè quando la corrente che scorre in essi non si azzera mai, quali che siano il modulo e l’impedenza del carico applicato.

 

Questa affermazione ha delle implicazioni affatto banali: ad esempio, tutti gli amplificatori a valvole con trasformatore di uscita lavorano in classe A(1). Questo perché se una delle valvole finali si spegnesse, il trasformatore di uscita, che è concettualmente una grossa induttanza, non gradirebbe – verrebbe meno il principio della continuità della corrente – e reagirebbe con effetti deleteri per l’altoparlante.

 

Analogamente, affermare che la corrente non deve azzerarsi mai a prescindere dal carico applicato comporta che la corrente di riposo – cioè in assenza di segnale – nei dispositivi finali sia infinita, per gestire carichi di modulo comunque piccolo o rotazioni di fase prossime ai 90°.

 

Vivendo in un mondo reale, i progettisti in genere decidono in modo arbitrario un limite inferiore al modulo dell’impedenza di carico dei diffusori da accoppiare all’amplificatore che stanno progettando, spesso considerando solo carichi puramente resistivi, e dichiarando che per tutti i diffusori nella gamma di impedenze “permesse” l’amplificatore funziona in classe A.

Musical Fidelity A1 del 1985

 

Prendiamo ad esempio il Musical Fidelity A1 originale degli anni ‘80: esso era dichiarato funzionare in classe A, ma il suo funzionamento era effettivamente tale solo per carichi di 8 ohm resistivi, e in realtà commutava in classe AB già prima della potenza massima anche su 8 ohm. Con qualunque diffusore con modulo di impedenza minore di 8 ohm e/o rotazioni di fase anche non eccessive, l’A1 funzionava effettivamente in classe AB. Forse con una coppia di LS3/5A con crossover da 12 ohm avremmo avuto un funzionamento in classe A, ma non certo con diffusori di altre marche con modulo minimo di 4-5 ohm e rotazioni di fase di +/- 30°.

 

Krell KSA-80

 

Potremmo elencare altri modelli di amplificatori prodotti da varie case, alcuni di grandissimo successo e prodotti e venduti in migliaia di pezzi, tutti dichiarati “classe A pura”, ma per la maggior parte di essi bisognerebbe utilizzare più correttamente la descrizione “classe AB ad elevata polarizzazione”. NdR | Uno di questi è stato ad esempio proprio il Krell KSA-80, che il progettista Dan D’Agostino dichiarava conservativamente per 80 watt in classe A ma in realtà “commutava” fino a 120 watt in classe AB, e da qui la sua nomea di “duro&puro”.

 

La domanda è: perché un amplificatore in classe A dovrebbe suonare meglio di uno in classe AB? I motivi sono vari, ma due forse più degli altri:

  1. La funzione di trasferimento dei dispositivi di potenza – la corrente di uscita rispetto alla corrente di ingresso per i transistor o la corrente di uscita rispetto alla tensione di ingresso per i MOSFET – è fortemente non lineare per valori ridotti di corrente di polarizzazione, cioè un amplificatore in classe A fa lavorare i suoi dispositivi di uscita ad alta corrente, laddove la funzione di trasferimento è più lineare e produce quindi meno distorsione.
  2. Negli amplificatori in push-pull in classe AB ciascuno dei due dispositivi di potenza si spegne alternativamente: ad esempio, il transistor NPN si spegne quando il segnale diventa negativo e quello PNP ai spegne quando il segnale diventa positivo. Questo genera la cosiddetta “distorsione di crossover” che, oltre a sentirsi e richiedere quindi più controreazione, tende a creare anche instabilità nel circuito. La piccola polarizzazione dei classe AB riduce in effetti questo problema, ma ne introduce altri.

Riassumendo e semplificando, un amplificatore in classe A può suonare meglio con meno controreazione ed è tendenzialmente più stabile sui carichi reattivi rispetto a uno in classe AB di simile struttura circuitale.

 

Come distinguere un amplificatore funzionante in classe AB a elevata polarizzazione con uno funzionante in pura classe A(2)? Prima di tutto, dovremmo conoscere per quali valori di impedenza di carico stiamo effettuando questa verifica e il dato dichiarato di potenza massima su vari moduli di carico resistivi. Poi dovremmo misurare la corrente di polarizzazione dei dispositivi di potenza. In considerazione della topologia circuita dell’amplificatore, questa corrente dovrebbe essere uguale o leggermente maggiore alla massima corrente che il più difficile carico ammesso potrà richiedere.

Facciamo un esempio pratico e consideriamo un amplificatore push-pull da 20 Wrms su 8 ohm in grado di funzionare in classe A fino a 4 ohm resistivi. Questo amplificatore dovrà essere in grado di applicare al carico una tensione di picco massima pari a 17,9 volt, sia su 8 ohm che su 4 ohm, corrispondente appunto a 20 Wrms su 8 ohm e 40 Wrms su 4 ohm. La massima corrente che scorre in un carico da 4 ohm resistivi quando questa tensione viene applicata è 17,9volt/4ohm = 4,47ampere. Arrotondiamo a 4,5 ampere. Siccome l’amplificatore è in push pull, ciascuno dei due dispositivi di potenza di cui è dotato – transistor NPN e PNP, oppure MOSFET a canale N e a canale P – contribuirà con metà della corrente. Ne deriva che, per poter affermare che l’amplificatore funziona in classe A, ciascuno dei suoi dispositivi di potenza deve avere una corrente di polarizzazione di almeno 2,25 ampere. Se l’amplificatore raggiunge la potenza di targa con corrente di polarizzazione minore di quella minima appena calcolata, allora è in effetti un amplificatore in classe AB ad alta polarizzazione.

E se volessimo che questo amplificatore da 20 Wrms funzionasse in classe A fino ad 1 ohm di carico con fase di 45°, quale dovrebbe essere la corrente di polarizzazione dei suoi dispositivi finali? Risparmiando i calcoli al lettore, il valore è: 18 ampere. Si tratta di un valore piuttosto rilevante. Non dimentichiamo che questo valore determina una dissipazione di potenza in calore, in assenza di segnale musicale, di almeno 360 watt per ciascuno dei dispositivi di potenza, per un totale di 720 watt. Questo per essere sicuri che l’amplificatore funzioni sempre in classe A con qualsiasi altoparlante presente sul mercato. E stiamo parlando di un solo canale di un amplificatore push-pull da 20 Wrms su 8 ohm: in stereo la dissipazione totale ammonta a 1440 watt. Per 20 Wrms per canale su 8 ohm! Vi immaginate che dissipatore di calore dovrebbe essere utilizzato? Per non parlare dell’alimentatore che deve erogare tutta quella potenza in regime continuo. Questo spiega perché la totalità degli amplificatori in classe A in commercio sono tali solo per carichi di 8 oppure 6 ohm e rotazioni di fase ridotte.

 

Come capire dai dati di targa, senza misurare la corrente di riposo dei finali, se un amplificatore è in classe A e per quali carichi? Bisogna verificare il dato di potenza massima assorbita. L’efficienza di un amplificatore push-pull in classe A è idealmente il 50%, in pratica il 40% o un po’ meno. Prendendo per buono il dato del 40%, prendiamo la potenza massima dichiarata su 8 ohm su un canale e raddoppiamo questo valore se l’amplificatore è stereo. Dividiamo il valore ottenuto per l’efficienza: se la potenza massima assorbita è inferiore al risultato ottenuto, l’amplificatore è in classe AB ad alta polarizzazione, se è maggiore, allora l’amplificatore funziona in classe A almeno su carico di 8 ohm resistivi. Se la potenza assorbita è più del doppio del valore che abbiamo calcolato, allora lavorerà in classe A fino alla massima potenza anche su carichi di 4 ohm resistivi e più o meni su tutti i carichi reattivi con modulo di 8 ohm. Esempio pratico: se un amplificatore stereo push-pull da 45 Wrms per canale su 8 ohm assorbe non più di 200 watt, allora è un classe AB, perché (45W+45W)/0,4=225W(3).

 

Finora abbiamo considerato sempre amplificatori in configurazione push-pull. Configurazioni differenti portano a calcoli leggermente diversi che però non cambiano il succo del discorso.

 

 

M2Tech Larson Nello specifico degli M2Tech Larson, abbiamo un amplificatore in configurazione single-ended. Diversamente dal push-pull, nel Larson solo uno dei dispositivi di uscita modula la corrente applicata al carico. L’altro si limita a imporre al primo la giusta corrente di polarizzazione. Questa scelta circuitale accomuna il Larson agli amplificatori valvolari monotriodo single-ended per resa sonora e comportamento al clipping. Un tale circuito ha un’efficienza massima del 25%, in realtà raramente supera il 20%. Questo significa che per erogare 40 Wrms su 4 ohm deve assorbire almeno 200 watt a riposo. In realtà, nel Larson anche il dispositivo di polarizzazione partecipa in piccola parte alla modulazione della corrente sul carico, per cui l’efficienza totale dello stadio finale è il 23% e bastano quindi “solo” 185 watt di assorbimento per garantire il funzionamento in classe A su 4 ohm resistivi. Questo accorgimento, oltre che ridurre l’assorbimento a riposo e quindi anche la necessità di dissipazione di calore, contribuisce a ridurre leggermente la distorsione armonica senza alterarne lo spettro, che vede predominare la seconda armonica, con a seguire la terza, mentre le armoniche superiori decadono in modo monotonico, proprio come con un single-ended valvolare monotriodo. In questo modo il tasso di controreazione applicato può essere minore che non con un single-ended puro.

Trattandosi di un amplificatore single-ended, il Larson non può che funzionare in classe A, cioè non può commutare in classe AB. Una volta raggiunto il suo limite massimo di corrente, esso semplicemente va in clipping, saturando in modo molto “gentile” e graduale, proprio come un triodo. Dunque, può essere definito un amplificatore in classe A pura, anche se, proprio come capita con le valvole, se il modulo del carico scende sotto i 4 ohm, anziché aumentare la potenza massima erogata, la ridurrà: ad esempio, la potenza massima erogata su 3 ohm sarà pari a circa 39 watt. In effetti, i dati di targa sono piuttosto conservativi e in laboratorio si sono misurati fino a 32 Wrms su 8 ohm e 60 Wrms su 4 ohm.

 
(1) In effetti, in passato alcuni validi progettisti, come McIntosh, hanno studiato particolari configurazioni di trasformatori di uscita in cui alcuni avvolgimenti applicavano un certa controreazione sui catodi delle valvole di potenza per evitare che si spegnessero del tutto, pur ottenendo un funzionamento a tutti gli effetti in classe AB, per aumentare la potenza massima ottenibile da una coppia di valvole finali senza stressarle troppo con correnti anodiche e dissipazioni di placca eccessive. Oggi si preferisce aumentare il numero di valvole finali, usando più coppie in parallelo.

(2) Per brevità non stiamo considerando qui quei circuiti cosiddetti “non-switching” e le loro varianti che, pur facendo lavorare effettivamente lo stadio finale in classe AB, fanno sì che entrambi i transistor rimangano sempre accesi, sia pure uno dei due con una piccola corrente di polarizzazione residua quando l’altro è chiamato a erogare la corrente sul carico.

(3) Per semplicità stiamo considerando dei finali di potenza: con gli amplificatori integrati il valore di efficienza da considerare è ancora più basso, perché parte della corrente assorbita serve per gli stadi di preamplificazione e per quella dei servizi, come relay, display, LED, ecc.


Per ulteriori info: al sito M2Tech

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