Diffusori amplificati Yamaha HS8 e sub HS8S

04.03.2019

Presentare la giapponese Yamaha è semplice e complicato al tempo stesso. Quasi tutti la conoscono e sanno della sua triplice essenza tra motociclette, strumenti musicali ed elettronica. Valentino Rossi ne guida una, qualcuno che conoscete avrà un bel pianoforte o una chitarra e gli appassionati di alta fedeltà sanno bene che si parla di apparecchi noti per la loro qualità musicale.

Vale sicuramente la pena spendere qualche parola per la sua storia, perché questa dà la misura di quanto importante sia questo marchio. Nasce nel 1887, 1897 se si considera l’apertura della fabbrica, con la produzione di pianoforti, attività che continua a fare con successo tanto da diventare, nel 1969, il più grande produttore al mondo. Nel 2008 ha comprato l’austriaca Bösendorfer, annovera tra i suoi marchi anche Line 6, aggiungendo tradizione e qualità europee a quel tanto che già aveva di suo.

Accanto ai pianoforti hanno progettato e costruito molti altri strumenti musicali e tra questi, in ottica Hi-Fi, hanno rilevanza gli organi elettronici e il primo fu l’Electone nato nel 1959. Lo citiamo perché, per farli come volevano, hanno progettato e costruito assieme alla NEC i circuiti integrati che gli servivano. Più o meno da quella data è iniziata la produzione di apparecchi elettronici per l’audio.

Quelli da ricordare sono molti e ne trovate alcuni qui, ma amo evidenziare i finali B-1 e B-2 equipaggiati con i V-fet e i diffusori Yamaha NS-1000, un bellissimo tre vie clonato dal monitor da studio NS-1000M, che in realtà era identico se non per la finitura in legno pregiato contro il vinile nero: all’epoca vantava un suono strepitoso per energia ed estensione e, tecnicamente, dei midrange e tweeter in berillio che sono rimasti leggendari.

 

Yamaha è stata ed è estremamente attiva anche nel mondo dell’audio professionale, dove è famosa per molti prodotti hardware e software, ha comprato la tedesca Steinberg nel 2005, ma soprattutto per un altro monitor, il tanto amato-odiato NS-10, dallo stesso progettista delle NS-1000M. Questo diffusore ha una storia incredibile. Nato per essere destinato al mercato, Hi-Fi è diventato il più diffuso, utilizzato e discusso nearfield monitor della storia. Dal 1980 in poi non c’è stato praticamente uno studio di registrazione che non ne avesse una coppia sopra la console. Appunto amato e odiato senza mezze misure, il suono era spesso raccontato come “terrible”, chiaramente una stupidaggine perché lo hanno utilizzato tutti, ma proprio tutti i più grandi ingegneri del suono e se c’è un oggetto che possa definirsi industry standard questo, de facto, è lo Yamaha NS-10.

 

Finalmente, dopo oltre vent’anni dalla sua presentazione, si capì che rispetto a tutti i suoi concorrenti era molto migliore per quel che riguardava la risposta nel dominio del tempo e il contenimento della distorsione, soprattutto in gamma bassa. Lo Yamaha NS-10 rispondeva meglio ai transienti e, finito l’impulso, smetteva di emettere suoni molto più rapidamente di tutti gli altri monitor dell’epoca. Questa coerenza era mantenuta su tutta la gamma audio, probabilmente non un caso ma una preveggente scelta di progetto. Queste sue caratteristiche aiutavano il tecnico, più di altri diffusori, a fare le migliori scelte in fase di missaggio, più di quanto non fosse possibile fare con un diffusore non altrettanto coerente e rapido. Per questo fu preferito, forse inconsciamente, a tutti gli altri nonostante la sua “carente” risposta in frequenza, di bassi ne aveva davvero pochi, e gli acuti preminenti, che non perdonavano assolutamente nulla. In altre parole, grazie alle sue caratteristiche, era uno strumento di misura migliore di altri, nonostante il suono ricevesse le critiche più contrastanti che si possano immaginare.

 

Questa è la storia, ma l’attualità ci dimostra che Yamaha è ancora fortemente impegnata nel settore audio, sia Hi-Fi che pro, sia con apparecchi di grande pregio e costo sia con apparecchi entry level. Lo dimostra la prova di ReMusic del prestigioso integrato A-S2100, quello delle NS-5000, ma anche il CD player CD-S1000 e, nell’entry level, gli streaming player NP-S303, WXC-50 e l’integrato A-S201.

Il catalogo del settore pro è ricchissimo di soluzioni, ma a noi interessano per ora solo i monitor da studio e tra questi la serie HS. Questi sono tre, esattamente suddivisi per dimensione del woofer secondo consuetudine per i nearfield: cinque, sei e mezzo e otto pollici. Rispettivamente i modelli HS5, HS7 e HS8, quest’ultimo oggetto della nostra prova.

 

Perché scegliere il più grosso? Il motivo è semplice. Perché è il migliore, secondo noi per carità, nel coniugare le caratteristiche di analisi e dettaglio tipiche dello studio monitor con una larghezza di banda e una risposta più adatte per un ascolto Hi-Fi, sia come distanza dall’ascoltatore che come gusti dello stesso. Il distributore è stato gentilissimo e ci ha recapitato anche il subwooher HS8S, del quale per certi versi le HS8 non hanno bisogno, ma che è stato comunque una piacevole sorpresa e, come vedremo, un inaspettato upgrade.

 

Il diffusore si presenta nella tipica veste pro, le misure del cabinet adattate ai componenti – non il contrario – e una robusta finitura vinilica nera, ma c’è anche bianca, fatta più che altro per non rovinarsi piuttosto che per piacere. Non c’è la griglia e se uno volesse metterla deve attrezzarsi, perché semplicemente non è prevista.

Il woofer è un cono da venti centimetri di diametro in materiale plastico, polipropilene, se fosse fatto con lo stesso materiale del cono che equipaggiava il suo predecessore HS80M. Di colore bianco ha una sospensione esterna in gomma e la cupolina parapolvere è incollata con della resina nera. Non crediamo di andare lontano dalla verità se pensiamo che questa combinazione di colori voglia ricordare la NS-10, con il suo cono di carta bianca e tutto il resto nero, compresi i due baffi di colla a tenere fermi i trefoli di rame. Le similitudini sono però solo estetiche, perché tecnicamente sono profondamente diversi. Innanzitutto questa cassa è reflex, con un generoso condotto nel pannello posteriore – tra l’altro questo comporta la necessità di lasciare un po’ di spazio dietro al diffusore – ed è attiva, biamplificata per la precisione, con un finale da 75 watt per il woofer e uno da 45 watt per il tweeter, mentre la NS-10 era passiva e a sospensione pneumatica. Il tweeter della NS-10 era una grossa unità da tre centimetri e mezzo mentre nella HS8 misura un centimetro di meno. La cupola è leggermente arretrata e la flangia ha un profilo curvo che, anche se appena accennata, serve a conformarne l’emissione e ad aumentarne l’efficienza. La membrana è protetta da una griglia che sta benissimo dov’è e non consigliamo di toglierla per provare a migliorare qualcosa che non ne ha bisogno.

Sul pannello posteriore troviamo una quantità di connessioni e controlli alle quali l’audiofilo non è assolutamente abituato. Oltre le cose ovvie, la vaschetta della presa elettrica e il pulsante ON/OFF, la cui accensione illumina il logo sul frontale, troviamo due prese di segnale e tre controlli di livello. Andiamo per ordine: le prese di segnale sono una per il segnale bilanciato in formato XLR e in formato jack phono da 6,3 mm. Nel settore professionale questo è lo standard e quindi mancano le usuali connessioni di tipo RCA comuni nell’Hi-Fi. Il connettore di tipo phono jack può essere utilizzato anche per pilotare le HS8 con un segnale sbilanciato, cosa che è invece la normalità nel mondo Hi-Fi. Quindi per i nostri utilizzi tipici o si cerca un preamplificatore con le uscite bilanciate di tipo XLR, ed è comunque una buona idea in assoluto, o ci si dota di un cavo con un connettore RCA da un lato e un jack mono dall’altro. In questo caso la lunghezza non dovrebbe superare, diciamo per essere molto cauti, i tre metri.

 

Vicino ai connettori ci sono tre controlli: la sensibilità di ingresso e due switch a tre posizioni per regolare il livello del woofer - Room Control e del tweeter - High Trim. Il controllo della sensibilità ha il punto centrale, ore dodici del potenziometro, regolato a 4 dBu e può arrivare a -10 dBu per la sensibilità massima e a praticamente silenziare i diffusori nella posizione Min. L’unità di misura dBu – cioè unloaded o unterminated, riferito all’impedenza di carico, questo è il significato della “u” – è utilizzata nelle specifiche dell’audio pro e 4 dBu è il livello standard di registrazione che corrisponde a 1,228 volt. Per noi significa che basta una sorgente o un preamplificatore capace di erogare questi volt per ottenere la massima potenza dai finali delle HS8. Impostando il potenziometro a -10 dBu il valore si riduce a 0,245 volt. Questo lascia ampio margine per pilotarle con qualsivoglia preamplificatore, scheda audio o altro tipo di sorgente. Piuttosto è l’impedenza dichiarata di 10 kohm a richiedere qualche attenzione nel caso si voglia utilizzare un preamplificatore passivo, un argomento interessante che vedremo di affrontare.

 

I due switch che controllano l’emissione delle alte e delle basse frequenze sono autoesplicativi, con tanto di piccolo schema riportato sul retro delle casse. Il Room Control attenua l’emissione del woofer di due o quattro dB a partire da circa 500 Hz mentre l’High Trim alza o abbassa l’emissione del tweeter di due dB a partire da 2 kHz. Nel mio ambiente di ascolto, un normale salotto mediamente riflettente di oltre trenta metri quadri, la regolazione migliore è risultata essere quella di fabbrica, zero dB su entrambi. Molto più importante è la distanza dalle pareti. A prescindere dal fatto che le HS8 sono delle casse reflex con apertura sul pannello posteriore, tutti i diffusori di qualsiasi tipo cambiano la risposta in frequenza in gamma bassa in funzione della distanza della prima parete riflettente, sia essa la parete di lato, di fondo o il pavimento. La situazione con la maggiore enfasi sui bassi la si ottiene posizionandoli nell’angolo, ma deve essere una cosa prevista dal progetto, altrimenti si rischia di averne veramente troppi, di bassi. Le Yamaha non fanno eccezione e il manuale raccomanda una distanza minima di circa un metro e mezzo dalle pareti laterali e posteriore. Questa indicazione va però presa con discernimento. Queste casse sono vendute come studio monitor e sono destinate a questo scopo, in fase di missaggio il tecnico non deve ballare o emozionarsi, ma deve saper distinguere provenienza e timbro degli strumenti – sempre di note basse parliamo, dove la cosa è più complicata – ed è quindi più importante avere una gamma bassa netta e precisa anche se poco potente e non particolarmente estesa: lui compenserà, se è bravo, le mancanze con l’esperienza.

Nel caso dell’ascolto Hi-Fi la situazione è differente, il lavoro di missaggio di tante tracce in due è stato già fatto e avere dei bassi veloci, puliti ma “deboli”, che era il caso delle NS-10, potrebbe essere un compromesso meno accettabile rispetto a quello di averne molti, ben estesi ma solo decentemente veloci e smorzati: l’audiofilo vuole tutto, ma questo non è un compromesso e costa caro.

 

Tornando alle nostre casse, posizionate su uno stand da 80cm, nel mio ambiente che vi ho descritto prima, basta lasciare mezzo metro o meno dalla parete di fondo e la gamma bassa sarà sempre pulita e netta, ma anche potente ed estesa, forse addirittura abbondante, ma quel tanto che serve per avere un equilibrio musicale complessivo sorprendentemente buono e gratificante.

 

Le HS8 sono state inserite in due diversi impianti. Il primo, principalmente utilizzato per la prova, è composto da una meccanica CEC TL-51X, da un pre/DAC M2Tech Young II con alimentatore Van der Graaf I. Il secondo, per ulteriore verifica, da un lettore CD Teac CD-200 e un pre passivo Tisbury mini2. In entrambi gli impianti ho anche utilizzato degli streaming media player basati su piattaforma Raspberry, con reclocker Kali e diversi DAC tra cui anche un Audiophonics basato sull’ESS Es9028. I cavi di segnale – quelli di potenza qui non si sono utilizzati – sono stati assemblati utilizzando prodotti della Belden e connettori Neutrik.

Nota per i lettori: questa prova di ascolto è destinata agli appassionati di Hi-Fi e non a chi lavora con le DAW, tra i due utilizzi i criteri con cui giudicare i diffusori reali – non quelli “perfetti” con un costo tale per cui siano stati sorpassati tutti i compromessi – sono diversi.

 

Yamaha HS8 e HS8S

 

La prima nota di ascolto riguarda il fatto che queste casse da home recording o da studio si adattano all’Hi-Fi come mai mi era capitato in passato di ascoltare con altri monitor. Anche con le LS3/5a, che conosco benissimo e che è uno dei casi di maggior successo, c’era sempre il rammarico di non poter godere di quel suono pulito, bilanciato e gradevole anche in ambienti appena più grandi di una quindicina di metri quadri e a volumi sonori più alti di quel poco che potevano. Qui invece c’è tutto: precisione, velocità, ricostruzione tridimensionale e potenza, tanta potenza. Saranno delle nearfield, ma anche da più di tre metri di distanza si sentono bene e alzando il volume la distorsione non aumenta prima che la pressione generata sia veramente alta.

 

Le gamma bassa è decisamente possente, forte e profonda, con un timbro morbido – qualche recensore di audio pro in effetti preferisce per questo singolo aspetto la HS7 – che comunque è tanto articolata da permettere di rispondere agevolmente alla domanda “quale strumento sta suonando e da dove”. Una gamma bassa di questa portata riempie la sala d’ascolto e rende il suono grande, piacevole ed emozionante.

La gamma media, contrariamente alle aspettative non è proiettata in avanti, come lo è in quasi tutti i monitor da studio. Qui è equilibrata e in linea con l’emissione del tweeter che a sua volta, pur generoso fino al limite dell’esuberante, non rende mai l’estremo alto graffiante o spiacevole. Viceversa, in alcuni momenti gli aggettivi giusti per descriverlo sono: brillante, luminoso ma al tempo stesso non affaticante, gradevole. Non è che sia proprio dolce, ma questa caratteristica, quando non cade nel difetto diametralmente opposto, non mi dispiace, anzi.

Su alcuni generi musicali, come il rock, sono aggressive e un certo livello di durezza è necessario altrimenti la riproduzione sarebbe noiosa, comunque irreale. A non renderla sgradevole aiuta, e molto, la bassissima distorsione: lo si sente chiaramente come un effetto di pulizia, a prescindere dal timbro, della gamma media e alta. Riguardo quest’ultima non possiamo quindi dire che sia impietosa, un altro segno distintivo della NS-10 che non è stato ereditato, perché in ogni condizione e con qualsiasi brano suonato non ho percepito neanche un vago aumentare della grana o della ruvidità. Ho ascoltato queste casse per settimane e mesi e la fatica di ascolto non è mai citata nelle note. Un bel risultato davvero.

 

Una delle cose che mi è piaciuta di più è la capacità di esprimere questo suono pieno ed equilibrato sia a basso volume che a livelli di ascolto piuttosto sostenuti. Evidentemente Yamaha è riuscita in qualcosa di difficile. Forse è grazie alla progettazione integrata di diffusore e finali, ma sembra quasi che la risposta complessiva dell’HS8 si adatti alla potenza richiesta. A basso livello continuano a sentirsi bene i singoli strumenti gravi, si distinguono distintamente i singoli colpi del pedale sulla gran cassa e le corde del basso. La stessa cosa succede, senza che il suono s’impasti, anche a livelli di ascolto decisamente alti, anche per il mio ambiente d’ascolto, che proprio piccolo non è. Queste note non sono così banali come potrebbe sembrare: a basso livello è l’orecchio umano a fare fatica – i diagrammi di uguale intensità sonora sono codificati dalla ISO 226:2003 e mostrano come la percezione delle basse frequenze sia quella più influenzata dalla fisiologia umana – mentre ad alto livello sono generalmente i diffusori a fare pasticci, specie quelli economici.

Per gli stessi motivi sia il contrasto che il microcontrasto sono eccellenti, almeno per le mie tolleranti abitudini di ascolto, ma di questa cosa non ci si deve stupire, è una caratteristica distintiva degli studio monitor che devono essere molto radiografanti, più di quanto lo sia un comune diffusore Hi-Fi. Comunque, nel contesto, questa cosa non fa che aggiungere pennellate a un quadro già ricco.

 

L’ultima nota riguarda la dinamica. In un diffusore passivo destinato all’Hi-Fi si passa da situazioni in cui ci si trova metaforicamente “spalmati sul muro” da un attacco orchestrale o da un assolo di batteria, cosa che succede più spesso con i diffusori ad alta efficienza, o in ascolti in cui qualsiasi cosa arriva compressa, come appiattita in una riproduzione fotografica dove però è più semplice distinguere i dettagli nello sfondo, perché sono meno mascherati, e questo è tipico dei diffusori a bassa efficienza. Se il diffusore ad alta efficienza fosse privo di alcuni difetti che spesso lo affliggono, sarebbe quella la scelta su cui orientaris, viene rispristinata all’ascolto un po’ di quella dinamica che la compressione in fase di mastering toglie al brano musicale. Altrimenti c’è da valutare pregi e difetti, si può preferire un diffusore con grande dinamica, ma probabilmente colorato, a un diffusore timbricamente accurato, ma poco emozionante, quando c’è da gestire grandi escursioni del livello sonoro. Spesso con diffusori economici la scelta deve andare su questa seconda opzione, per non dover avere a che fare con un impianto alla lunga faticoso da ascoltare.

Con le casse attive la situazione è diversa, se ben realizzate e con moderni amplificatori dedicati e magari dotati di DSP, si può fare quel che si vuole, sia nell’adattare la risposta in frequenza sia sul gestire la dinamica. Inoltre, nel caso specifico degli studio monitor, in cui è il materiale musicale a fare la differenza, perché in fase di missaggio non è compresso mentre nell’ascolto finale dopo il mastering lo è, ci si aspetta un comportamento neutro ed essi devono riprodurre i livelli così come sono stati registrati. Non devono esaltare o limitare, né aggiungere né togliere. Le HS8 in questo parametro si comportano da quel che sono, degli studio monitor. Se il materiale musicale è molto dinamico non ci saranno problemi e le escursioni saranno rappresentate nella loro interezza, se viceversa il suono fosse appiattito tale rimarrà.

 

In definitiva, riassumendo i discorsi precedenti in due parole, suonano molto bene. Quindi, niente difetti? Beh, per il prezzo? Nessuno. In assoluto? Si può migliorare tutto, basta spendere.

 

Parlando invece di desideri e non di mancanze, forse, ma proprio per essere insaziabili, ci sarebbe potuto stare di avere un immagine più ampia e qualche volta un basso senza quel rigonfiamento a ridosso del medio che rende le voci con i registri più gravi un po’ troppo grandi, ma ripetiamo che si tratta di dettagli, che se rapportati al costo scompaiono.

 

In conclusione ribadisco che suonano e che sono un affare. Questo considerando il fatto che permettono di risparmiare il costo dell’amplificatore o almeno del finale, poiché basta uno streaming player con il controllo del volume per fare un impianto completo. Tanto che cercando di trovare un uguale valore per euro acquistando un diffusore passivo e un amplificatore faccio veramente fatica, senza arrivare al doppio del prezzo o più in alto, se guardiamo lo street price delle Yamaha. Quindi non posso che raccomandarle. Più agli appassionati dell’Hi-Fi che ai professionisti, non perché la HS8 non vada bene anche in quel campo ma semplicemente perché non è quello che volevamo provare e, fortunatamente, trovare.

 

Come dicevo, assieme alle HS8 mi è arrivato anche il subwoofer HS8S. Il nome non deve ingannare, il numero “8” sta per otto pollici, che è la dimensione del woofer e non perché sia il compagno ideale delle casse che ho provato, che di bassi ne hanno più che a sufficienza. Sono le HS5 a potersene giovare di più, mentre le HS7 sono una via di mezzo che può vivere con o senza, a seconda dei casi. Però lo abbiamo provato con le HS8 e sono rimasto sorpreso.

 

Innanzitutto una breve descrizione. Si tratta del classico cubo da posizionare tra i diffusori, dotato di un woofer da otto pollici, piazzato nella parte inferiore del mobile, e di una porta reflex nel pannello anteriore. L’amplificatore interno eroga 150 watt.

Ci sono ingressi e uscite, sia bilanciati che sbilanciati. Gli ingressi arrivano dal preamplicatore e le uscite devono andare alle casse. Nel mezzo succedono diverse cose, tutte gestite dai pochi comandi del pannello posteriore. Il segnale che va alle casse può rimanere inalterato o essere filtrato con un passa alto, con frequenza di taglio regolabile tra 80 e 120 Hz, e l’uscita del sub limitata, questo ovviamente attraverso un passa basso, fino a una frequenza compresa tra gli stessi due limiti. La potenza è regolata da un potenziometro. Un ulteriore switch serve per invertire la fase del woofer, cosa che va fatta a orecchio a seconda della disposizione reciproca di sub e satelliti nella stanza.

 

Visto che le HS8 di bassi ne hanno, ho deciso per un intervento ridotto al minimo, quindi regolando le due frequenze di taglio al valore più basso e diminuendo il volume fino a eguagliare la percezione delle basse che avevamo con le sole HS8.

Quello che succede è che l’estensione in frequenza scende di un poco, dalle specifiche poco più di 10 Hz. Questa cosa si percepisce appena perché è difficile trovare strumenti con delle fondamentali al disotto dei 40 Hz, comunque c’è. La cosa che invece sorprende è che con questo piccolo intervento i due “desiderata” che avremmo voluto nelle HS8 come per incanto appaiono. Il rigonfiamento del basso a ridosso del medio non si sente più e in qualche modo l’immagine è leggermente più ariosa.

 

Posso solo ipotizzare che, nella soluzione con il subwoofer, l’altoparlante delle HS8, che arriva a 2kHz e quindi in piena gamma medioalta, possa avere dei benefici, a più ampio spettro, nel “vibrare di meno” a frequenze vicine al suo limite inferiore. Non ne sono certo, non facciamo misure, magari il motivo è un altro, ma l’effetto all’ascolto c’è e si sente.

Il sub non costa poco, quindi in realtà per aggiungere un qualcosa di marginale a un diffusore, l’HS8, che già suona bene di suo, potrebbe non valerne la pena, ma… se l’impianto piace e lo si volesse rendere quasi definitivo, questo è un upgrade interessante. Se l’ambiente di ascolto fosse più grande del mio o in un secondo momento ci si trasferisse, piuttosto che cambiare tutto si potrebbe aggiungere l’HS8S. Infine se voleste far tremare i vetri, girate il potenziometro del livello del sub verso destra e buon divertimento.

 

 

Caratteristiche dichiarate dal produttore


HS8

Risposta in frequenza a -10dB: 38Hz-30kHz

Risposta in frequenza -3dB: 47Hz-24kHz

Frequenza di crossover: 2kHz

Potenza in uscita: 120W, LF:75W e HF:45W

Sensibilità e impedenza di ingesso: -10dBu / 10kohm

Connessioni IN: XLR3-31, phone jack 6,3 mm

Controlli: Level +4dB/center click, High Trim switch +/- 2dB sopra i 2kHz, Room Control switch 0/-2/-4 dB sotto i 500Hz

Consumo: 60W

Dimensioni: 250x390x334mm LxAxP

Peso: 10,2kg

Accessori in dotazione: manuale, cavo di alimentazione

 

HS8S

Risposta in frequenza a -10dB: 22Hz-160Hz

Potenza in uscita: 150W

Connessioni IN: XLR3-31 x2 L+R, jack phono x2

Connessioni OUT: XLR3-32 x2 L+R

Consumo: 70W

Dimensioni: 300x350x389mm LxAxP

Peso: 12,5kg

Controlli: Level, Phase switch Norm./Rev., High Cut control 80-120Hz, Low Cut control 80-120Hz, Low Cut switch ON/OFF

Accessori in dotazione: manuale, cavo di alimentazione

 

Distributore ufficiale Italia: al sito Yamaha Audio & Video Italia

Prezzo Italia alla data della recensione: HS8 706,00 euro la coppia, HS8S 609,00 euro

Sistema utilizzato: all'impianto di Maurizio Fava

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