Si dice solitamente che i musicisti raccolgano il loro massimo punteggio espressivo con la maturità, ma che poi con la vecchiaia la loro creatività decada progressivamente. Allora come la mettiamo con Dino Saluzzi, il musicista argentino che alla fresca età di 85 anni ci lascia in regalo un fulgido diamante come questo Albores? Per di più si tratta di un disco di solo bandoneon, che molti tra noi sarebbero tentati di ignorare proprio per la sua scarna ossatura musicale. Questo, però, non è un semplice strumento a mantice. È un organo, un pianoforte, un’orchestra di suoni e di volumi da cui scaturisce una perfetta sintesi tra parte armonica e melodica. Uno strumento di viaggio dentro lo spirito di un uomo non più attratto dalla sperimentazione o dal jazz ma che insegue i suoi ricordi nell’ambito della tradizione della sua terra natale.
E di cos’altro potrebbe trattare un disco come questo, con un titolo che rimanda agli albori di una vita? Niente tango, niente passi di danza. Questo è un racconto intimo, una raccolta di meditazioni totalmente cantabile, quasi memorizzabile, forse una lunga perifrasi di una vita intera altrettanto intensa. C’è familiarità, si ascoltano storie di compaesani, di esistenze condivise, di dignitosa povertà. Riemergono qua e là, come in una seduta psicoanalitica, volti familiari, storie d’amore cancellate dal tempo, dolorose rimozioni. Giunti ad un certo punto della propria vita si ha bisogno di eliminare il superfluo e trattenere le cose più importanti, per capire cosa si è salvato e conservato del passato e cosa invece si è perso.

Tra i ricordi salvaguardati, una dedica al compositore georgiano Giya Kancheli, scomparso nel 2019, ad aprire i brani del disco e un tributo al padre Don Caye, al secolo Cayetano Saluzzi, quasi in chiusura dell’album. Nel mezzo si snoda una lunga storia che parte da Salta, la sua città natale, e che prosegue negli anni della gavetta a Buenos Aires fino ai suoi viaggi in Europa e nel resto del mondo a fama ormai acquisita. Più che una raccolta di brani sembra di ascoltare un’unica suite fatta di momenti simili che si srotola sul filo della memoria. Una malinconia profonda, una tristezza composta in cui s’avverte il respiro del soffietto e il battere secco delle dita sui tasti che sembrano passi, tacchi che risuonino per strada, echi di viaggi e di storie personali che si perdono in fondo alla notte. Amore per la vita, nostalgia intesa etimologicamente come “il dolore d’un ritorno”, perché si sa che ripensare al proprio passato è come rivedere in sogno le cose trascorse e sentire quella morsa, il sentimento di perdita di averle lasciate per sempre.
Ora, auguriamo a Dino Saluzzi cent’anni ancora di generosa vita, ma se questo fosse il suo testamento musicale non avrebbe potuto regalarne uno migliore.
Dino Saluzzi
Albores
CD ECM 2020
Reperibile su Qobuz 16bit/44kHz