Recensire questo album del chitarrista di Sarajevo Eddie Beho, Secret Stash, mi ha seriamente procurato qualche mal di pancia. Non per la musica in sé che è decisamente buona, come vedremo, ma per l'oggettiva difficoltà nel reperire informazioni sul musicista e sugli altri due elementi che compongono questo trio di rock-blues. Mal-abituato dal sistema “tutto e subito” su modello Amazon, ho dovuto adattarmi a scandagliare il web in lungo e in largo, avventurandomi tra infettanti siti in cirillico – Dio salvi Avast – e temerari nonché arcaici flussi torrent che promettono download biografici inesistenti. Tutto per ottenere un siccitoso contributo di materiale che alfine posso riassumere davvero in poche righe.
Dunque, Beho è al suo primo disco da titolare ma il suo background si è costituito, oltre che in Bosnia, negli Usa dove è ancora attualmente membro di un gruppo jazz di Atlanta, un quartetto di nome Sataras, le cui incisioni si trovano facilmente in streaming. Quest'ultimo gruppo fa del crossover mescolando vari generi jazz-rock con evidenti suggestioni europee balcaniche. Del resto il sataras è un tradizionale, ricco stufato di verdure con cipolle, peperoni e una bella manciata di capsicina. In Secret Stash, invece, Beho si propone con un trio tutto bosniaco insieme al bassista Dragan Rokvic e al batterista Amar Cesljar, due strumentisti ben conosciuti dalle loro parti, almeno a leggere le rispettive biografie e le collaborazioni con diversi gruppi, purtroppo a me del tutto sconosciuti. In effetti è piuttosto sorprendente accorgersi di musicisti che provengono da aree geografiche fino a oggi colpevolmente ignorate dal grosso pubblico. Ed è bello notare come la musica contemporanea si distenda su tradizioni diverse e variegate, da occidente a oriente, complice una giusta globalizzazione sia dell'informazione musicale che della capacità d'integrazione di modelli e riferimenti eterogenei.
Di primo acchito non risulta molto difficile inquadrare la musica di questo album, in quanto vi si riscontrano evidenti influenze dall'antica nobiltà rock-blues e faccio i nomi di Jimi Hendrix ed Ercic Clapton, su tutti, per rendere al meglio l'idea. Ma ad ascoltare in maniera più approfondita, il ventaglio d'ispirazioni s'allarga non poco, complici anche i fraseggi fumiganti del basso elettrico e le scariche ritmiche percussive che portano a quel genere rock-fusion a lungo praticato tra gli anni '80 e ‘90. Ci si ricorda quindi, ad esempio, di gente come Stanley Clark ma anche, soprattutto per la timbrica della chitarra, di certe inflessioni jazz-rock alla Larry Coryell o di periodi più precoci della crescita di strumentisti come John Scofield e John Abercrombie. Insomma, rock, certo, ma accompagnato da un complesso universo di suoni gestiti con spietata chiarezza, una sequenza di brani dal sapore intenso e deja-entendu, se vogliamo, ma affiliati a una serie di retaggi culturali che sono insieme confluiti in un album come questo, tutto energia e vetriolo.

While You Were Putting Your Make Up On è l'ottimo evidente manifesto identitario di questo disco. Un inizio che rimanda ad alcuni momenti tra Coryell e Clapton con tanto di stacchi ritmici e una varietà di effetti chitarristici, persino con due strumenti di Beho sovraincisi nel riff dell'incipit e nella sua riproposta, poco prima del minuto 01'23”. A questo punto il pallino passa nelle mani del bassista Rokvic che dirige il resto del brano con un mood decisamente più fusion. La batteria resta nervosamente lontana da questa impressione innescata dal basso e una serie di strappi percussivi prelude al ritorno di Beho, stavolta decisamente più hendrixiano con tanto di chitarra fortemente distorta. Queste bascule tra puro rock blues e funky-fusion tenderà più volte a ripetersi nel corso dell'album.
Tight Dress, High Heels sembra riproporre lo schema del brano precedente con un cominciamento rabbioso e poi un invito alla fusion del solito, ottimo bassista. Beho gratta la sua chitarra con decisione e interviene sulla parentesi basso-batteria, scombinando spesso le carte. L'assolo realizzato con la sovraincisione di una seconda chitarra crea ampie aree alla Rypdal, dopo un esordio piuttosto misurato, e morde le orecchie occupando sempre più spazio e aumentando d'intensità e di volume. Ottima la tensione di base, più che buona la tecnica esecutiva. Lo spettro di Hendrix approva mentre batteria e basso crescono nell'insieme realizzando quel che si dice “un bel tiro”. Finale in progressivo acquietamento.
Si mantiene sempre una certa continuità tra i diversi brani e anche il prossimo, Society Isolation, sembra prolungarsi, all'inizio, sulla falsariga del precedente. Anzi, le note iniziali fanno sospettare una deviazione funky più decisa. Un accompagnamento vocale si propone in una sequenza di quattro note che crea una sorta di piccolo indizio tematico, duplicando il suono della chitarra. Qui Beho abbandona la suggestione hendrixiana e quella blues per portarsi più decisamente verso territori jazz e il suo solismo tende a seguire la scia di Scofield. Un dialogo serrato ad alta componente euforica tra basso e batteria precede un finale in cui riascoltiamo l'abbozzo tematico-vocale sopra accennato.
Dink's Song si cala nell'atmosfera blues con il suono totalmente acustico di un dobro, almeno così sembra, e lo sfregamento nervoso di un bottleneck che vorrebbe condurci idealmente all'interno della vena oscura che scorre tra le paludi del Delta. Ma il gioco è un po' troppo scoperto, si avverte come questo sia più che altro un esercizio stilistico, un tuffo nell'estetica blues e nel repertorio di una normale routine, peraltro ben sostenuta dalla tecnica mimetica di Beho. Bisogna stare molto guardinghi con il blues, soprattutto quello acustico quando non sia caricato dalla rumorosa cosmesi del rock, perché non c'è musica al mondo come questa che non sopporti una maschera, anche se ben indossata come in questo caso.
3 si presenta come il brano più lungo di tutto l'album, oltre sette minuti di rock blues elettrico, decisamente più nelle corde di Beho che non la versione acustica del pezzo precedente. Il percorso di questa traccia è forse quello maggiormente lineare ma anche in questo caso si avverte quella somma d'influenze percepite fino a ora. Non penso di essere considerato eretico se dico che si colgono alcune istanze del Jeff Beck ultimo periodo. Gli assoli di chitarra cercano note più lunghe mentre la ritmica crea un corpo dilatato di suoni entro cui s'intrufolano le corde vibranti della chitarra. Aumenta lo spazio a disposizione, s'incrementa la propensione verso una forma di jazz blues fusion – definizione, questa, che ci riporta alla mente molte cose del passato... La mia impressione è che questo brano rappresenti forse il meglio di quanto questo trio sappia fare, uscendo dagli schemi spesso angusti della struttura rockeggiante.
Con Not the Same Man, Beho torna all'interno del corpo solido del rock-blues, abbandonando il jazz per riorientare la propria bussola in terre ricche di afrore hendrixiano, non privo però di quella componente funky che sembra essere quasi il vero convitato di pietra dell'intero album.
Memo Delivered inizia minacciosamente con una tensione di base di meditata e strategica lentezza con le chitarre sovrapposte, una a far da drone con una nota ossessiva di base e l'altra a cavar fuori miniature di brevi melodie. Lo stacco improvviso al minuto 01'59'' sembra annunciare chissà quali sfracelli e invece tutto si porta verso un tono nebbiosamente più psichedelico, tra Peter Green e il rumorismo di Nels Cline.
Beho & Co. evitano il semplice didascalismo immettendo nella loro musica una componente energetica non da poco, pur non riuscendo a limitare certi ammiccamenti piuttosto plateali verso nomi di rilievo del mondo rock-blues. D'altra parte, questo trio sfiora la costa del jazz in più punti ma senza prendervi attracco, piuttosto rimanendo alla fonda e subendo gli adombramenti improvvisi di temporali di matrice decisamente più rock, dai quali amano farsi coinvolgere ma non stravolgere. Il pubblico atomizzato dei giorni nostri rischia forse di farsi abbagliare maggiormente rispetto a quegli ascoltatori più scafati che fruiscono di questi generi musicali da una vita. Comunque, un disco come questo riesce a esprimere voglia di vivere e divertimento e dimostra come il rock-blues non sia un mare in secca, anzi, sia divenuto ormai da tempo un esperanto linguistico, un ponte tra continenti e paesi lontani, anche di quelli la cui voce non arriva da noi troppo frequentemente.
Eddie Beho
Secret Stash
CD Alfamusic 2023
Reperibile in streaming su Qobuz 24bit/48kHz e su Tidal 16bit/44kHz