Ferdinando Romano | Invisible Painters

08.09.2023

Non potrei dare una definizione specifica su cosa significhi il termine “jazz contemporaneo”. Credo proprio si voglia alludere non tanto a un approccio stilistico – quale? come? in che forma? – ma semplicemente a una particolare tipologia di musica che rifletta i nostri tempi. Del resto, la contemporaneità nell'arte ha sempre provocato resistenze nel pubblico, quando non il rifiuto o addirittura il dileggio. Basti pensare storicamente allo scandalo provocato dalla pittura dei primi impressionisti – oggi celebrati come indiscussi maestri – e allo stesso atteggiamento ostile riservato ai cubisti, astrattisti, surrealisti e così via. Anche il sistema della musica, nel suo complesso e non molti anni fa, ha dedicato un buon margine di diffidenza e di sarcasmo verso autori come John Cage, Ornette Coleman, Charlemagne Palestine, Albert Ayler, oggi – quasi – universalmente riconosciuti e accettati. Però sarebbe bene, al di là della musica che ci piace seguire e che amiamo maggiormente, occuparci ogni tanto di quello che succede al di là dei nostri abituali orizzonti. Curiosare tra autori d'indubbio talento e capacità, con studi seri alle spalle e curriculum professionali di spessore può essere la corretta chiave di ricerca per capire ciò che accade attualmente oltre il nostro giardino e afferrare meglio i tempi che stiamo vivendo.

 

Ferdinando Romano

 

Ad esempio, possiamo prendere in seria considerazione un giovane contrabbassista come il beneventano Ferdinando Romano, pluripremiato autore del precedente Totem, 2019, che propone la sua personale esposizione di temi e immagini con il suo ultimo lavoro: Invisible Painters. La ricerca delle motivazioni che stanno dietro a questo titolo insolito, “i pittori dell'invisibile”, ha fatto scomodare citazioni riferite a Leonardo Da Vinci e Degas ma penso che sia più semplice appellarsi a Freud e alle sue storiche ricerche sull'Inconscio. Se il sogno, come affermava il medico viennese, “...è la via regia all'Inconscio”, l'album di Romano va visto come un'esperienza onirica in otto frammenti la cui strada conduce, inevitabilmente, alla sorgente più nascosta della psiche. La musica contemporanea sembra non soffermarsi tanto sul corpo in quanto tale ma punta bensì a concentrarsi sulla mente e sulla coscienza, cercando d'interagire col pensiero e con l'immaginazione. Quest'ultima considerazione, per contro, potrebbe anche rappresentarne il limite. Tenendo presente che da sempre la musica, attraverso il ritmo, ha parlato al corpo con la danza, diventa difficile comprendere come mai in un bell'album come questo di Romano non vi sia praticamente traccia di swing, di blues, tanto meno di un qualsiasi beat vibrante che possa essere percepito dal corpo. Difficile scelta e difficile spiegazione. La musica di Invisible Painters non è certo semplice da decifrare, tuttavia contiene un fascinoso, attraente magnetismo, come quello che posseggono le nuvole quando creano profili analoghi a forme riconoscibili. Possiamo essere tutti noi, quindi, questi pittori dell'invisibile, perché tutti partecipiamo, in forma diversa, a questa rilettura soggettiva del reale...

 

La musica presentata in questo disco è una commistione tra sonorità naturali di strumenti acustici e sovrapposizioni elettroniche con campionature e manipolazioni digitali, ma la mescolanza di questi fattori non è casuale e anche se l'improvvisazione è parte importante del sistema, la struttura così ottenuta sembra un quadro ben bilanciato tra forme e campiture di diverso colore. L'atmosfera generale è riflessiva, meditativa, raramente esposta a deriva caotica ma richiede attenzione e compartecipazione, attitudini che purtroppo non sono sempre disponibili nella maggioranza degli ascoltatori, anche tra i più appassionati. Romano utilizza alle volte sovrapposizioni di linee melodiche che procedono con tonalità differenti arrischiando la fuoriuscita dalle regole più evidenti dell'armonia funzionale e quindi forzando un po' la mano alle composizioni che in alcuni punti possono apparire ostiche all'ascolto.

 

La formazione che accompagna Romano al contrabbasso e agli effetti elettronici è costituita dall'austriaco Elias Stemeseder al pianoforte e al synth, l'ottimo Federico Calcagno al clarinetto e al clarino basso e la piemontese Evita Polidoro alla batteria. Ospite in un brano c'è la francese Christine Ott che interviene all'Ondes Martenot, un particolare sintetizzatore creato nel 1928 dall'inventore Maurice Martenot. C'è da aggiungere che tutti gli elementi del gruppo, chi più chi meno, intervengono nelle strutture effettistiche che si ascoltano nell'album.

 

Ferdinando Romano - Invisible Painters

 

The Dreamers è l'incipit che ci introduce tra i misteri dei brani che seguiranno. Effetti elettronici si sovrappongono sopra scale di pianoforte atonali, percussioni di campanelli, colpi di tamburo e sfregamenti di contrabbasso con l'archetto. Frammenti del famoso discorso di Martin Luther King e del suo celebre sogno si distorcono e si ripetono, mentre compare qualche soffio discreto di clarino, ma alla base di tutto resta un drone elettronico costante, una nota che tiene ancorati i suoni che verranno, come un mandala attorno al cui centro ruotano tutti gli strumenti e gli effetti elettronici.

Qualcosa in più ci racconta il secondo brano, Origami Playground. Stemeseder tiene bloccata con la mano una triade di corde di piano che viene percossa ostinatamente mentre contrabbasso e clarino basso lavorano attorno a questa nota soffocata. Il clima è quello tipicamente jazz, anche se un po' stravagante, col piano che abbandona l'ancoraggio di cui sopra per costruire inizialmente un fraseggio di poche note. Ma poi l'intervento della batterista e la pulsazione del contrabbasso spingono il piano a esporsi con un assolo vero e proprio. Il clarino interviene a sua volta con una performance varia e suggestiva, complessa ma sufficientemente melodica. Colpisce, in questo brano, anche la capacità poliritmica della Polidoro, oltre alle evoluzioni fiatistiche di Calcagno. Il finale condotto all'unisono tra tutti gli strumenti con numerosi stacchi si realizza alla maniera classica del jazz avantgarde.

Vortex è tra i miei brani preferiti, forse perché, lo ammetto, è quello più legato a una forma più classica di jazz, nonostante il cospicuo arrangiamento elettronico. Una coppia di vibrazioni basse e sovrapposte simulano quasi le note di un organo. Qualche accenno di piano e un passo poderoso di contrabbasso si immettono all'interno della sonorità pulita del clarino, contrappuntata da un rhodes o comunque una tastiera dal suono analogo. Synth come flauti s'incrociano col piano mentre il contrabbasso ragiona in termine di trait d'union con la pulsazione perfetta della batteria. Assolo stupefacente di Calcagno ben supportato dalla presenza del piano e della ritmica. Il brano procede così, tra melodici torpori e scatti morbidi di clarino. Segue un buon momento a tre con piano, contrabbasso e batteria – ah, l'innegabile fascino del trio jazz – che scrivono grande musica fino alle battute finali.

Più magmatico e oscuro è La Figurazione delle Cose Invisibili, che vede l'ospitata della Ott al suo synth. Inizio comunque spettacoloso, con note basse di pianoforte e sonorità sintetizzate unite al clarino che suggeriscono una sorta di atto magico, come l'evocazione di uno spettro che si materializzi davanti ai nostri occhi. Atmosfere arabeggianti che profumano di misteriose suggestioni alchemiche. Il pianoforte rinfocola questo senso d'inquietudine oscillando tra desideri melodici e altri più dissonanti, mentre contrabbasso e batteria reggono il supporto ritmico. Synth e clarino s'intromettono sopra un'onda elettronica e l'impressione è che questo sia il segnale per mollare gli ormeggi. Il clarino comincia a volare da un tono all'altro, avanza la marea caotica, il pianista impazzisce, la batteria beccheggia coma una nave in alto mare. Piano piano il caos si riorganizza dietro gli spasmi del clarino e il contrabbasso pulsa come un cuore. L'incantesimo magico volge al termine, le forme invisibili si sono manifestate e ora volteggiano libere nell'aria.

Like Passing Water s'annuncia con le solite elettroniche di sottofondo, mentre il piano si diletta in scale cristalline e accordi notturni. Il brano sembra non avere un centro tonale e la sensazione che regala è di una certa instabilità. Il clarino vorrebbe innescare un qualche desiderio ritmico che la Polidoro cerca ambiguamente di soddisfare spezzettando i ritmi. L'improvvisazione si porta – purtroppo – ancora molto vicino a una fase caotica ma, invece di cadere nella trappola, riesce a trovare un aggiustamento riorganizzandosi dietro a un riff ciclico di note di tastiera e a una frequenza stabile elettronica attorno alla quale si spengono gli strumenti.

Life Story è quasi una ballad dai toni caldi e crepuscolari e l'andamento tonale della musica me la fa apprezzare ancora di più. Si tratta di un'espressione jazz ai suoi massimi livelli, con sviluppi melodici mai banali né scontati. Una parentesi di nuda dolcezza nel mare della pur giudiziosa sperimentazione di questo album. Piano e clarino procedono per un mentre all'unisono, quando poi compare Romano in assolo accompagnato in modo eccellente dalla batteria. Il contrabbasso continua la sua presenza infilandosi tra un nuovo unisono gestito da piano e clarino. Ma sono proprio questi due strumenti ad accompagnare il brano verso il finale quando, sullo sfondo, una brezza elettronica trascorre nel mezzo di questo dialogo. Si chiude così quella che è probabilmente la traccia migliore dell'album.

Vincent's Room riporta all'attenzione lo schema un po' esoterico e occulto che già avevamo colto in La Figurazione.... Un contrabbasso con accollati dei riverberi scandisce i suoi passi per mezzo di note materiche e, allo stesso tempo, il clarino evoca riflessioni oscure. Dietro lo strumento di Calcagno appare il pianoforte che percorre un lungo unisono assieme al clarino. Un ottimo esempio di scrittura, quindi, prima della comparsa dell'improvvisazione che Calcagno affronta con la sua solita eleganza adamantina, precedendo la replica di Stemeseder. Frequenze elettroniche insolite come segnali Morse costituiscono il sottobosco della chiusura di questa traccia.

Where Angels Fear to Tread s'annuncia con una strepitosa introduzione di piano che raccoglie impressioni da Ravel a Cage. Il brano è pura improvvisazione benché possa sembrare che un ordine superiore stia guidando la comparsa passo dopo passo degli altri strumenti. L'entrata del clarino provoca intensa meraviglia, con il contrabbasso che scivola discretamente in questo mondo fatato.

 

Ferdinando Romano

 

Superata la naturale diffidenza che si potrebbe provare di fronte a un'opera così poco comune, dopo aver preso confidenza con la mucillagine elettronica che s'avvinghia più o meno intorno a tutti gli strumenti, ci si trova di fronte a un lavoro di grande fascino, con ampie ed evolute parti di scrittura alternate a preziose parentesi d'improvvisazione. Romano conferma le buone impressioni lasciate con il suo primo disco, ormai quattro anni fa. Abbiamo quindi gettato uno sguardo oltre il nostro orticello, a cui siamo giustamente affezionati, ma scegliendo con cura cosa guardare, fidandoci ed essendo ripagati dal profilo di serietà e preparazione professionale di Romano & C, evitando così di essere preda di raffazzonati avantgarder dalle idee nebulose.

 

Ferdinando Romano

Invisible Painters

CD Jam/UnJam 2023
Reperibile in streaming su Qobuz16bit/44kHz e su Tidal 16bit/44kHz

di Riccardo
Talamazzi
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