Con un certo imbarazzo mi trovo a proporre un disco come Crackdown dei GA-20 proprio a ReMusic, il luogo meno adatto per descrivere la musica lo-fi che scorre in questa selezione di mezz'ora scarsa d'ascolto. La sigla misteriosa che denomina questa rock band sta per Gibson Amplifier, uno storico amplificatore da 20 watt prodotto dal 1950 al 1961, oggi replicato da diversi altri marchi specializzati in equipaggiamenti vintage di questo tipo. L'album in questione è stato registrato da un trio che si presenta senza basso, un piccolo dispiacere per l'audiofilo, generalmente e giustamente attento alle basse frequenze, scelta peraltro molto strana per un combo rock-blues come questo ma quanto meno caratterizzante il profilo di questa band, formato da due chitarre e una batteria. Dulcis in fundo, si fa per dire, l'incisione è avvenuta in diretta con solo un paio di microfoni che il gruppo deve aver trovato come omaggio in qualche confezione di detersivo, data la presenza di distorsione vocale che francamente non so fino a quanto sia voluta. Quindi, per quale malsana ragione ci dovrebbe interessare un album come questo? Semplicemente perché è bello, divertente, a tratti esaltante. Si tratta di un piccolo riassunto musicale che copre diversi generi, dal blues di Chicago, al puro rock 'n’ roll dei '50, dal garage-beat dei '60 alle colorazioni country presenti qua e là. In alcuni momenti mi hanno ricordato addirittura i Cream o i Fleetwood Mac prima maniera in un'ipotetica versione più grezza, ma penso che possano essere numerosi i riferimenti, data l'ampia panoramica dello spettro musicale coperto.
Matthews Stubbs e Pat Faherty sono i due chitarristi, mentre Tim Carman è il muscolare batterista che completa la band. I tre bei tomi, di cui due abbondantemente barbuti, vengono da Boston e amano esibirsi dal vivo per meglio trasmettere la loro esuberanza e la loro immediata euforia. C'è il sospetto che questo loro presentarsi in low profile tecnologico sia una sorta di ritorno alle radici della tradizione elettrica, prima di ogni digitalizzazione o al netto di complessi lavori di postproduzione e in sala di mixaggio. Il curriculum di questo gruppo, inoltre, non è roba da poco, avendo da una parte registrato alcune tracce in collaborazione con l'armonicista Charles Musselwhite e il chitarrista dei Black Crowes, Luther Dickinson. Inoltre, i GA-20 sono attualmente al loro quarto disco come gruppo a sé, con i primi tre album che hanno raggiunto i primissimi posti della classifica Billboard Blues dal 2019 al 2021.
Fairweather Friend come brano d'apertura ci riporta al suono crudo e aspro delle garage band tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio della decade successiva. Un pezzo accattivante, “paraculato” al punto giusto, con quella vibrazione beat, anche nel coretto che s'intromette ogni tanto e che ne costituisce quasi il biglietto da visita. Tornano alla memoria immagini di due o tre ragazzini attorno a un mangiadischi – questo aggeggio ce lo ricordiamo quasi tutti – che fantasticano sulla bellezza di crescere, infilando nella vorace bocca dell'Irradiette un 45 giri dopo l'altro...
Con Dry Run ci si immerge in un clima diverso, a mezza strada tra blues e rock 'n’ roll da brillantina, ancheggiamenti pelvici alla Elvis e Canned Heat o anche i Creedence Clearwater Revival all'orizzonte. Però che piacere nell'ascoltare queste solite vecchie cose, con le chitarre che fanno il loro lavoro sindacale e niente più e il ritmo dondolante che accompagna il battito del piede sul pavimento.
Easy on the Eyes è un ruvido bluesaccio, di quelli che s'appiccicano alla suola delle scarpe, suonato praticamente su un solo accordo ma con un riff insistente e intrigante e un coro un po' primitivo che esacerba la sensazione materica di questa musica pesante sulle spalle. Come il masso di Sisifo, ma che ci piace portare ad libitum, quasi masochisticamente, per trarne tutto il piacere possibile. Che cosa c'importa, alfine, se il chitarrista solista suona solo pentatoniche?
Crackdown è una jam-live, a giudicare dal parlottio che si ascolta sullo sfondo, ma non ci giurerei completamente. Una delle due chitarre copre non solo il ruolo ritmico ma tende a suonare maggiormente le corde più basse cercando di vicariare l'assenza – per me poco giustificabile – di un vero basso elettrico. Al di là però di queste osservazioni, la musica un po' rustica mantiene il profilo del buon lavoro artigianale, il suono stride quanto basta e a un certo punto entra pure il wha-wha della chitarra solista in vena di reminescenze hendrixiane e, sì, non nascondo che questo brano l'ho fatto girare in cuffia diverse volte, divertendomi sempre molto.
Just Because è l'unica cover dichiarata di questo album, originariamente composta da Lloyd Price – chi non ricorda una canzone-tormentone dei primi anni '60 come Personality? – sotto forma di soul ballad. La trasformazione è lieve, un makeup atto a ringiovanire una signora avanti con l'età ma senza renderla ridicola, con le chitarre che graffiano solo un po' in forma di blues.
Be my Lonesome invita alla danza scimmiottando Chuck Berry e il suo celeberrimo duck walk. Divertente, certo, ma nulla più.
Molto meglio I Let Someone In dove veramente questa band finisce per assomigliare ai Fleetwood Mac di quel Blues Jam in Chicago del '69, registrato insieme ad alcune star del blues di quella città come Otis Spann, Willie Dixon e altri. Siamo in pieno clima blues e devo dire che questa è la dimensione in cui i GA-20 si muovono meglio e con maggior convinzione. Un po' di atteggiamenti scolastici e di suoni smaliziati completano la confezione del brano.
Double Getting rimanda al vecchio rock and roll dei sixties e anche in parte al rockabilly. Inoltre, a ben ascoltare, si possono avvertire sonorità provenienti anche da gruppi britannici come gli Yardbirds, in un curioso viaggio di ritorno dall'Inghilterra verso gli USA.
Gone for Good è ancora una buona bevuta di blues, con una chitarra la cui timbrica non può non ricordare Peter Green dei già citati Fleetwood Mac prima maniera.
Chiude il disco una versione acustica di Fairweather Friend con un semplice accompagnamento di chitarra e clap.
Ce ne sarebbe da commentare riguardo questo gruppo e l'album in questione. Ma ogni opinione dovrebbe essere inquadrata all'interno del clima culturale di questi tempi, ricco di virtualità, di copie sulle copie, di reiterazioni musicali. Questo lavoro, con tutto il rispetto dovuto al piacere che indubbiamente i GA-20 distribuiscono a destra e a manca, è a ben vedere un ripescaggio di icone dei tempi che furono, quindi niente di nuovo sotto il sole, anche se non è certo detto che l'ansia di novità si accordi con un miglioramento della qualità musicale. Comunque, la band fa tutto il possibile per rendere più che piacevole il suo lavoro e a tratti si riesce a raggiungere facilmente qualche momento d'entusiasmo.
GA-20
Crackdown
CD e vinile Colemine 2022
Reperibile su Qobuz 16bit/44kHz e Tidal 16 bit/44kHz