All’inizio, suoni che mi ricordano atmosfere marine e voci di bambini. Forse l’idea di base di questo lavoro dei Go Go Penguin vuole alludere a una partenza, a un viaggio. Arrivati al quinto disco, escludendo però diversi EP e frammenti di note disperse qua e là, questa musica non si presta comunque a fantasiosi fraintendimenti. È figlia legittima e riconosciuta di E.S.T, ancora più minimizzata con impulsi drum & bass e segnata dai vorticosi arpeggi del pianista Chris Hillingworth. Si cerca di dare un senso a quest’esperienza, a tratti straniante nella sua essenzialità, altre volte apparentemente più barocca in brani come Open ed Embers. Se la band di Svensson era molto più vicina allo spirito del jazz, pur tradendolo in continuazione nel tentativo di cercare nuove strade, i Go Go Penguin se ne allontanano per seguire il loro percorso, come farebbe qualsiasi figlio riconoscente ma bisognoso di autonomia e di una propria identità.
Nell’album dei ricordi della band, infatti, oltre agli E.S.T sono conservate fotografie di autori classici, di vaga reminiscenza romantica e New Age. Non credo ci sia bisogno di scomodare padri illustri come Glass o Reich, come leggo da più parti. Il tiro dei GGP non punta così in alto e non è sufficiente qualche frase pianistica reiterata per annoverarli tra i grandi minimalisti. Piuttosto, grazie alla costante ricerca di un’implacabile struttura ritmica a sostenere i voli pindarici del piano, si potrebbe parlare di una nuova forma di rock evoluto, anziché inventarsi fantasiosi ibridi tra jazz e hip-hop. Non è comunque mia intenzione perdermi in eventuali ricerche sul “cosa” ma piuttosto seguire le tracce del “come”.
La corsa continua di Nick Blacka al basso e di Rob Turner alla batteria ci spinge ad accelerare il passo per non restare indietro ed è un muoversi veloce come nella bellissima Atomised. Il cuore in gola continua con Signal in the noise e non bastano le brevi sospensioni ritmiche a farci riposare. Nella già citata Open il buon lavoro di cassa e charleston di Turner cerca di contenere gli arpeggi pianistici che mi hanno fatto ricordare addirittura gruppi di pop progressivo classicheggianti come i Renaissance. E ditemi se il loop iniziale di F maj pixie non ha acceso qualche lampadina facendovi pensare a Philip Aaberg: accidenti, ancora un new ager. Altro che jazz, mi verrebbe da dire. In Kora il suono dello strumento cordofono africano viene replicato stoppando la vibrazione delle corde del piano ottenendo un’attendibile sonorità che introduce a un’ennesima scossa ritmica, pure leggermente più moderata. Embers, il brano già citato per le sue evidenti atmosfere classicheggianti, ci accompagna verso la parte finale del disco, verso quella Don’t go che si presenta quasi come una melodica, cantabile canzone pop in cui le parole sono lasciate all’immaginazione.
Tutto a posto, quindi. Un ottimo lavoro, scorrevole, piacevole spesso incalzante. Ma nell’eventualità cercaste del jazz contemporaneo qui, vi avverto, non ne troverete.
Go Go Penguin
Go Go Penguin
CD Blue Note 2020
Reperibile in streaming su Qobuz 96kHz