Non è mai stato un personaggio dirompente, il britannico Graham Parker. Nonostante sia in pista fin dal 1975, anno del suo debutto, l'angry young man, così come veniva comunemente soprannominato, ebbe un successo limitato di pubblico in confronto alle sue effettive qualità, pur avendo avuto la critica musicale sempre dalla sua. Rispetto ad altri musicisti inglesi più o meno contemporanei – Parker è classe 1950, Joe Jackson e Costello, ad esempio, sono entrambi del '54 – diciamo che si sistemò, come fama e importanza, in una sana via di mezzo ma senza raggiungere mai particolari vette di popolarità. Se il movimento pub rock lo tenne a battesimo, Parker da parte sua riuscì a costeggiare il punk e la new wave, così come il pop rock e l'area cantautoriale ma non s'immerse mai fino in fondo in nessuna di queste correnti, preferendo restare un rocker genuino, dalle forti sfumature soul e R&B, abile nelle ballate e spesso sferzante nei testi. Eppure, se diamo un’occhiata alla sua discografia, ci accorgiamo del buon numero di incisioni che ha lasciato, almeno otto con la sua band storica Rumours e circa una quindicina sotto il suo solo nome. In tutti questi anni, Parker non ha mai mollato la presa, anzi, oltre che in campo musicale si è cimentato anche nella letteratura e negli anni 2000 ha fatto uscire una raccolta di racconti brevi, Carp Fishing on Valium e il romanzo The Other Life of Brian. Inoltre, è stato attore protagonista nel film del 2012 This is Fourty, del regista Judd Apatow, dove Parker interpreta sé stesso. Oggi torna con una nuova band, The Goldtops, e una fresca etichetta, la Big Stir Records, per pubblicare il nuovo album, Last Chance to Learn the Twist. Un titolo meraviglioso per un album che rivendica, tra il serio e il faceto, non solo il diritto al riconoscimento della “salvezza” operata dal rock and roll nei riguardi di intere generazioni giovanili – e per la musica del diavolo questo è un vero e proprio paradosso – ma anche un certo orgoglio d'appartenenza alla stirpe di tutti quei musicisti che hanno sostenuto questa religione profana dagli anni'50 fino ad oggi.
Ovviamente Parker non ha più quell'incazzatura giovanile che gli aveva fatto guadagnare il nomignolo citato all'inizio, gli è rimasto però un fondo d'acidità, trasmutato alchemicamente in ironia, che si avverte sottotraccia lungo tutto l'album. Nonostante le caratteristiche vocali parkeriane non siano mai state di qualità eccelsa, il suo modo secco e spontaneo di cantare ben si addice a un certo stile basato sulla cruda urgenza e sulle salite ripide e improvvise del rock.
I tredici brani qui proposti, tutti nuovi, sono piacevoli, scorrevoli, direi alcuni anche divertenti per gli argomenti trattati. In alcuni momenti non si sfugge a una certa, vaga nostalgia, che del resto si può comprendere data l'età non più verde di Parker. E a mio parere non gli hanno mai giovato i poco credibili paragoni con Dylan – altri piani di scrittura – e con Van Morrison – ben altri livelli vocali... Ma lo stile, tra soul, rock'n'roll, R&B, pub rock ballads e… twist è ancora affrontato con l'energia dei tempi migliori.
La formazione che accompagna Parker, che suona la chitarra acustica, la chitarra elettrica ritmica e l'armonica a bocca, si compone di Martin Belmont alla chitarra solista, Geraint Watkins alle tastiere, Simon Edwaeds al basso elettrico e Jim Russell alla batteria. C’è anche una sezione fiati, la Easy Access Orchestra con James Morton al sax tenore, Andrew Ross al sax baritono e Ralph Lamb alla tromba. In aggiunta anche due coriste, Marietta Smith e Paige Stubley.
Primo brano a passare è The Music of the Devil, che si presenta con una sequenza discendente di accordi iniziali che rammenta I'll Go Crazy, un classico di James Brown. Coretto femminile insistente a ribadire che la musica, almeno questa, appartiene al diavolo. Il suono caldo dell'organo sixties non lascia dubbi, sono le fiamme che crepitano per rosolare le terga a chi ci si è dedicato – e si dedica tuttora – al rock'n'roll.
Grand Scheme of Things è una ballata di suoni sporchi alla Stones, lenta ma non troppo, con tanto di assolo d'organo e cori, una di quelle ballate che un tempo nascevano nei localini pieni di birra e di fumo, più che altro come momento di scarico dai brani più veloci e aggressivi. Bella la chitarra, essenziale l'accompagnamento, asciutto tanto da riservare alla canzone un posticino meritato nelle nostre playlist.
Anche Sun Valley suona molto alla Rolling Stones del periodo americano di Exile on Main Street, con la voce di Parker che fantastica sui contorni di quella di Jagger. Back to the seventies, quindi, e la chitarra di Belmont che sembra emulare il Keith Richard dei tempi migliori. Un brano incredibile di sano rock, bello polveroso, con tanto di cori soul nel finale.
It Mattered to Me è un moderato ballatone di quelli che Parker sa scrivere a occhi chiusi. Assolo di sax, con Morton che benedice in pochi secondi l'intera canzone e un pianino che con cinque-note-cinque è in grado di caratterizzarla in modo quasi country. E sono già scorsi i primi quattro brani, uno più godurioso dell'altro.
Wicked Wit dimostra come Parker sappia scrivere una pop song al sapore R&B, facendo emergere la band di fiati alle sue spalle. Molto gradevole il tutto, anche se un piccolo gradino sotto ai brani precedenti. Nonostante tutto, il motivo conduttore dei fiati è particolarmente intrigante ed è un bene che torni e ritorni nell'economia del brano.
Pablo's Hippos racconta la storia curiosa, probabilmente vera, di quando il trafficante Pablo Escobar fece portare un paio d'ippopotami nella sua casa in Colombia. Nel racconto il brano viene un po' riassorbito dal senso delle parole e alfine ne soffre un po', restando qualitativamente distante dai pezzi precedenti.
Cannabis è una presa per i fondelli con tanto di chitarre hawaiane sul fondo. Sembra di ascoltare quelle tirate ironiche che faceva Frank Zappa sul modello dei cantanti confidenziali degli anni '50.
E che dire di Shorthand? Un delizioso brano country-pop, scosso nel suo interno dal solito brivido ironico che questa volta deve qualcosa a Ray Davies. Bisogna dire che gli strumentisti della Goldtops conoscono tutti il segreto dei più grandi gruppi pop-rock della Storia, cioè il senso della misura. Interventi alla bisogna, qualche nota ben azzeccata di contorno e mai, dico mai, oscurare la voce.
Con We Did Nothing Parker si ricorda dei suoi numerosi flirt con la folk song. La canzone viaggia fondamentalmente su qualche accordo di chitarra acustica ma questa volta – ed è l'unica – l'accompagnamento straborda con anche troppa intensità drammatica, appesantendo non poco il brano che forse sarebbe volato via più leggero con una strumentazione ridotta all'osso.
Lost Track of Time torna in ambito rollingstoniano con un incipit assai vicino a Honky Tonk Women e è un brano che potrebbe stare fra i tipici mid-tempo della coppia Jagger-Richard. Se poi ci aggiungiamo qualche velatura vocale alla Rod Stewart il risultato finale si completa maggiormente. Comunque, un bel brano di rock asciutto e scarnificato così come piace agli adoratori della musica del diavolo.
Last Stratch of the Road riprende gli abiti smessi della folk-ballad in un classico 2/4-niente-di-che, forse il brano più debole di tutta la selezione dell'album. Però si ascolta l'armonica di Parker che gonfia i polmoni per offrire un po' più di sostegno, tra un verso e l'altro, alla voce che sembra quasi quella sfibrata dell'odierno Dylan.
Un piccolo capolavoro d'ironia british in Them Bugs, un reggae irresistibile che se la prende con gli insetti che tormentano le serate estive: “...escono fuori la sera o alle prime luci del crepuscolo...”.
Since you Left me Baby chiude l'album all'insegna della brillantezza in un R&B con tanto di fiati e la chitarra blues di Belmont. Sax e trombe nella chiosa finale, come una specie di celebrazione festosa mentre la suola delle scarpe s'appiccica al pavimento bagnato di birra.
Parker conosce la scrittura essenziale del rock per esperienza vissuta di chi ha razzolato dapprima nei vicoli sul retro dei pub per raccoglierne gli umori e poi ha cominciato a calcare quei palcoscenici, via via sempre più importanti, fino a diventare un personaggio molto rispettato tra il pubblico ma soprattutto dalla critica musicale. Forse è quell'aria comune, un po' sfuggente, di chi anche se vestito col canonico giubbetto di pelle sembra sempre l'impiegato che la sera si diletta alla chitarra. Eppure, lo si cerca, Parker, se ne sente il bisogno quando si voglia recuperare una dimensione umana della musica, lontana dalla macelleria mercantile e dai riflettori che spesso illuminano il niente. Il musicista londinese possiede uno swing interiore naturale che gli permette una chiarezza espressiva quasi radiografante. Questo è, e questo alfine dimostra di essere.
Graham Parker & The Goldtops
Last Chance to Learn the Twist
CD e LP Big Stir records 2023
Disponibile anche in streaming su Qobuz 16bit/44kHz e Tidal qualità max fino a 24bit/192kHz