Continua la pubblicazione in integrale di una serie di capitoli selezionati del nuovo libro di Bruno Fazzini, il Dizionario Enciclopedico dell’Audio Hi-Fi. Trovate la segnalazione dell'opera in questa News. Si tratta di un'altra esclusiva ReMusic, su amichevole concessione dello stesso autore ed editore, che qui ringraziamo ancora. Buona lettura e viva l'Hi-Fi...
Giuseppe Castelli
Premessa | Per rispettare le scelte progettuali dell'editore, le modalità di impaginazione e scrittura del seguente testo sono conformi allo stampato originale.
Il compact disc, la cui abbreviazione comune è “CD”, é una tipologia standardizzata di disco ottico utilizzata in vari ambiti per la memorizzazione di informazioni in formato digitale. E’ composto da un disco di policarbonato trasparente, generalmente di 12 centimetri di diametro, accoppiato nella parte superiore ad un sottile foglio di materiale metallico sul quale, nella parte inferiore vengono memorizzate le informazioni come successioni di "buchi" e "terre" (in inglese "pits" e "lands") successivamente letti per mezzo di un laser (per questo motivo sono detti anche dischi ottici).
La sua genesi è dovuta alla ricerca, da parte del mondo della telefonia, di un sistema efficiente di moltiplicazione delle informazioni, attraverso la numerizzazione e semplificazione dei segnali. L'applicazione congiunta del sistema numerico binario al suono e del laser diede vita al compact disc.
Nei primi anni il progetto fu inizialmente seguito da una joint venture tra DuPont e Philips. DuPont poteva vantare un'enorme esperienza nel policarbonato (inventato nel 1928 proprio da DuPont) e una forte presenza in Olanda con un'installazione chimica a Dordrecht, vicino a Rotterdam. DuPont aveva inoltre già una joint venture con Philips, la sfortunata PDM (Philips-DuPont Magnetics, sponsor anche della PDM-Concorde), per sviluppare nastri magnetici che utilizzassero altri due suoi prodotti: il supporto in poliestere Cronar (invenzione DuPont del 1955) e l'ossido di cromo Crolyn (invenzione DuPont del 1956). DuPont aveva inoltre un'altra joint venture con British Telecom (BT&D) per sviluppare microlaser e fibre ottiche. C'erano perciò tutte le premesse per eccellenti sviluppi. Dopo i primi prototipi si riunì a Ginevra il management DuPont europeo per analizzare gli sviluppi del progetto e gli investimenti necessari. Tali investimenti comprendevano anche una possibile fabbrica in Italia, per utilizzare l'alluminio dell'Ilva.
Gli studi preliminari misero in luce che lo sviluppo del CD avrebbe consentito la creazione di un disco con una capacità oltre 600 MB di dati e probabilmente oltre un'ora di musica in formato digitale. La cosa non entusiasmò i manager DuPont per via degli enormi investimenti richiesti: tenendo conto che i personal computer di allora avevano memorie da 64 KB a 4 MB e hard disk da 20 MB, la capacità del nuovo supporto sarebbe stata esagerata in confronto alle reali necessità dell'epoca.
Anche per la musica era impensabile che il mondo intero sostituisse i giradischi e i registratori con i nuovi costosissimi lettori di dischi ottici, ed in effetti la cosa non avvenne a livello di massa per i successivi venti anni. Il management DuPont rifiutò il progetto e chiese quindi a Philips di continuare da sola, costringendo così la stessa a cercare altre alleanze per lo sviluppo del supporto. Per qualche anno, comunque, rimase in vita la PDO (Philips-DuPont Opticals) che stampava CD con produzione in Gran Bretagna (principalmente musica) e U.S.A. (dati). La PDO chiuse nel 1990 per “divergenze di interessi”.
Si può dire quindi che la vera paternità del CD sia da attribuire a Philips e DuPont, anche se DuPont non partecipò ad alcuno sviluppo successivo ed uscì completamente dal progetto nella fase iniziale. Di fatto la progettazione del CD nella sua configurazione definitiva risale al 1979, e si deve ad una nuova joint venture della Philips con l'azienda giapponese Sony, la quale già dal 1975 stava sperimentando in modo indipendente la tecnologia per un disco ottico digitale.

Storia del CD. La prova dei giganti. Philips-Karajan-Sony (fonte: research.philips.com)
Nel 1979, quando Philips e Sony proposero il Compact Disc, pochi sapevano che si trattava di un’applicazione del sistema numerico binario congiunta al suono, e che la nascita di quello strano oggetto che avrebbe rivoluzionato il mondo della musica proveniva da una ricerca prodotta dal mondo della telefonia. Tale unione commerciale pochi anni dopo si sciolse, come si è poc’anzi anticipato, poiché i dirigenti della Du Pont non intuirono le gigantesche potenzialità di quel supporto nell’immagazzinamento dei dati.
Il 17 agosto 1982 il primo CD per utilizzo commerciale venne prodotto in una fabbrica della Philips ad Hannover in Germania: Sinfonia delle Alpi di Richard Strauss diretta da Herbert Von Karajan con la Berliner Philharmoniker. Il primo album musicale pop ad essere stampato sul nuovo supporto fu The Visitors del gruppo svedese degli ABBA, ma il primo ad essere immesso sul mercato fu 52nd Street di Billy Joel, commercializzato dal 1º ottobre 1982 in Giappone insieme al lettore.
I dati contenuti all’interno del CD sono ordinati lungo una traccia a forma di spirale che, al contrario di quanto accade con i dischi in vinile, parte dal centro del disco per andare verso l’esterno. L’avvento della musica in formato digitale fece velocemente piazza pulita di quella in formato analogico, lasciando sul campo di battaglia numerosi cadaveri. I dischi in vinile sparirono quasi completamente in favore dei compact disc i quali, appena usciti, a causa dei sistemi di lettura dell’epoca e delle incisioni piuttosto approssimative, suonavano in maniera orribile.
Nonostante questo, molti appassionati si liberarono del vecchio supporto in favore del nuovo, non rendendosi conto che i risultati sonici prodotti dal CD erano ben peggiori di quelli offerti dall’LP. La praticità, il desiderio del nuovo, la pubblicità martellante di Sony e Philips che avevano investito fortune ingenti su questo cambiamento portarono, spesso, a scelte affrettate. Ci sono volute tre decadi per mettere il CD in condizione di suonare decorosamente, e oggi che si sono raggiunti risultati di buon livello, le multinazionali del disco hanno decretato la morte del supporto digitale per proporre un non supporto digitale (i file audio), generando una svolta davvero epocale nel modo di fruire della musica.
Questa volta, però, noi audiofili siamo stati più fortunati rispetto al 1980, dal momento che, ormai un po’ tutti, addetti ai lavori e appassionati, abbiamo capito che i file suonano decisamente meglio dei rispettivi CD. Più avanti spiegherò perché.
Come è costituito e come funziona un CD
Le caratteristiche fisiologiche dei CD vennero scritte, nella prima metà degli anni settanta, su una “Bibbia” che ne determinava lo standard: il Red Book, una raccolta di definizioni che distingue il formato di compact disc CD-DA, modello di registrazione audio digitale su compact disc. In esso vi erano contemplate le peculiarità che deve avere un CD: una capacità massima di 747 MB con un audio stereo PCM, una frequenza di 44.1 KHz, 16 bit di risoluzione ed una capienza massima di 74 minuti. I CD Audio, inoltre, dovevano avere un range di frequenza che arrivava a 20.000 Hz e una dinamica di almeno 96 dB. Andiamo a vedere più nel dettaglio come è costituito un supporto digitale di questo tipo.
Il CD è un dischetto di policarbonato da 12 cm con un buco al centro e, a differenza degli LP, ha un solo lato inciso, quello lucido; su questo è inserito il materiale registrato tramite i bit, diversificati in pit (aree incise della dimensione di circa 0,6 micron) e land (aree non incise). Per convenzione, il segnale registrato non può avere due 1 consecutivi e il numero di 0 consecutivi deve essere compreso fra due e dieci.
Quando il laser opera una lettura tramite il pick up ottico, il passaggio da pit a land viene considerato come 1 bit, mentre le zone che si trovano prima o dopo questi passaggi sono considerate come 0 bit. La lettura di pit e land determina una sinusoide (segnale RF) che, dopo opportuna filtratura, viene trasformata in un’onda quadra. Quest’onda avrà i giusti valori di 0 e 1 che determinano la traccia audio e che verranno poi utilizzati anche per sincronizzare la velocità di rotazione.

Sezione di un CD (a sinistra) e di un DVD (a destra) che mostrano le diverse dimensioni di pit e land (fonte: physics.udel.edu)
Il supporto del CD presenta sempre un’area non incisa nella parte più estrema. Il disco digitale, a differenza di quello analogico, non ha i solchi che determinano, internamente ad essi, il canale destro e sinistro, ma il materiale è registrato su due canali che ne costituiscono la stereofonia. Per distinguere le varie tracce in un CD non si hanno degli spazi fisici, come avveniva negli LP, ma si adottano dei particolari codici detti P, mentre la zona incisa viene chiamata PA (Program Area).
A differenza dei dischi in vinile che, se rovinati non possono più essere letti, i CD adottano dei sistemi di correzione che sono in grado di aggiungere alcuni bit, così da ricostruire i dati mancanti (un graffio sulla superficie) con dati corretti (Codici Ciclici).
Come si stampa un CD
L’origine di ogni CD è il Glass Master, così chiamato perché costituito da un piatto vetroso molto particolare: ha un alto grado di levigatezza e la sua superficie deve essere pulita alla perfezione, dal momento che anche la più piccola particella di polvere può degradare la correttezza della lettura. Sul Glass Master viene spalmato un sottile supporto che verrà inciso da un laser a luce ultravioletta. È questo laser che produrrà i pit di cui ho parlato.
Dopo un attento controllo al microscopio, il Glass Master viene metallizzato con vapori di nickel. Attraverso un processo galvanico viene creata una copia del Glass Master su un disco metallico detto padre, che presenta delle bollicine dove prima erano i pit. Dal padre, dopo opportuna, accuratissima pulizia, derivano tutte le copie figlie, necessarie alla stampa dei CD in policarbonato. Una volta stampato, il CD subisce un trattamento ad opera di vapori di alluminio e, infine, viene ricoperto da una lacca esterna protettiva.

Fasi di lavorazione del Glass Master CD (fonte: plus.google.com)
Il processo di replica consiste nella duplicazione dei supporti ottici per mezzo del Glass Master, i quale costituisce lo stampo che riproduce i dati contenuti nel master che, per mezzo degli Stamper (figlio), permette la realizzazione delle copie desiderate. Lo Stamper viene inserito nella pressa che, attraverso un processo di pressofusione del policarbonato, fa si che nel momento in cui viene creato il supporto (cd o dvd), esso abbia già le piste di lettura incise con i dati. Le fasi della produzione del cd replicato sono:
- produzione del Glass Master/Stamper
- creazione del supporto (il policarbonato viene iniettato a +/- 270° dove si trova lo Stamper e nel medesimo istante la pressa chiude formando il cd)
- raffreddamento cd a +/- 80° ed estrazione del cd
- metallizzazione
- laccatura
Il controllo del funzionamento dei pezzi prodotti viene fatto attraverso un macchinario che misura i parametri elettrici del master con quelli delle copie prodotte. Per eccesso, con il processo di replica, se i parametri del primo cd sono identici a quello dell'ultimo e corrispondono a quelli del master, si può dire che la produzione è conforme. Normalmente il controllo viene effettuato durante la produzione in modo da poter tenere sotto controllo lo Stamper. Il supporto replicato deve essere prodotto rispettando che i parametri rientrino nei range stabiliti dai manuali della Phillips (Red Book).
L’esposizione del disco a temperature estreme, alla luce diretta del sole, ad un alto tasso di umidità o il sottoporlo a urti e polvere che possono danneggiare la superficie, ne riduce di molto la durata.
Il segnale contenuto in un CD
Il mondo in cui viviamo è costituito da grandezze analogiche; pertanto è necessario che le informazioni (nel caso specifico di tipo musicale) che vogliamo registrare tramite microfoni analogici e immagazzinare su un supporto digitale, vengano trasformate da un’apposita macchina deputata a farlo. E’ questo il lavoro del convertitore analogico-digitale (A/D) di cui, però, non parlerò, dal momento che, a noi audiofili interessa, per i nostri impianti e ai fini dell’ascolto, il sistema contrario, ossia il convertitore che trasforma il segnale digitale in analogico (D/A). Quello che, invece, ritengo interessante, è il fatto che il segnale analogico, per essere inciso in digitale, deve essere campionato, ossia va registrato ad una certa frequenza (44.100 KHz) in un certo intervallo di tempo (1 secondo), come dichiarato nel codice Red Book di cui ho parlato in precedenza. Ad ognuno di questi 44.100 campioni corrisponde un numero pari all’ampiezza dell’onda analogica in quel secondo.

Sinusoide di un segnale analogico e lo stesso convertito in digitale - sequenza seghettata (fonte: illusionFX)
Il sistema binario a due cifre (0 e 1) a 16 bit è quello che ci consente di realizzare questo delicato lavoro. 2 elevato 16 è pari a 65.536 valori che si hanno a disposizione. Grazie a questo, ad ogni intervallo di tempo di 1 secondo e ad ognuno dei 44.100 campioni del segnale audio, verrà assegnato uno dei 65.536 valori disponibili. Questo porterà ad avere, al posto della elegante sinusoide analogica di partenza di un pezzetto del nostro segnale, una curva seghettata che è la causa della “sofferenza” della maggioranza dei lettori CD, i quali devono tradurre questa curva spezzettata in una curva continua analogica.
Lo standard del SACD, quello del DVD Audio e dell’HDCD hanno ovviato a questo problema tecnico elevando la frequenza di campionamento (da 44.1 fino a 96 KHz) e il numero dei bit (da 16 a 24), ma la potenza commerciale è stata superiore a quella tecnologica e i tre standard citati sono stati tutti “fatti cadere sul campo”. Il passo successivo che risolverà questa problematica sarà quello di pensare a questi standard dalle elevate risoluzioni, non più a livello di supporti audio, ma di file audio che praticamente non risentono delle difficoltà descritte. Nel grafico è visibile la sinusoide di un segnale analogico e il complementare segnale convertito in digitale. Notate l’inevitabile forma seghettata di quest’ultimo, risultato di tutti i problemi che ha dovuto affrontare il convertitore.

Campionamento di un segnale a diverse frequenze (fonte: morphfx.co.uk)
Il libro
Bruno Fazzini
Dizionario Enciclopedico dell’Audio Hi-Fi
edito in proprio
formato digitale 9,99 euro euro
L'autore
Bruno Fazzini dal 1994 è stato recensore per la rivista Fedeltà del Suono, arrivando a rivestire dal 2006 il ruolo di Coordinatore di Redazione.
Attualmente dirige due riviste online: la Hi Fi Time Review e la Vintage Hi Fi Club.
Da circa dieci anni è il patron del punto vendita Sophos Hi End, specializzato in componenti di gamma alta.
Dal 2015 è anche il titolare, insieme al socio Massimo Piantini, della Blue Moon Audio Technology, che produce tutti gli anelli della catena d’ascolto, dai file audio ai lettori per i file, dai convertitori ai preamplificatori, dagli amplificatori finali ai sistemi per la multiamplificazione, dai grandi diffusori in array a cavi, tavolini portaelettroniche e basi antivibrazioni. Ognuno di questi prodotti vuole avere carattere fortemente innovativo in ambito audio.