Tra pandemie alla fine, ma non finite, e guerre iniziate alle porte dell’Europa, che si spera finiscano quanto prima, il 2022 mi ha personalmente portato almeno già a rifare totalmente il mio impianto e a testare alcune cose veramente interessanti, anche se pre-serie od oggetti unici. Preciso questo perché noi di ReMusic non proviamo apparecchi non ancora sul mercato o dalla reperibilità ridotta. Però in alcuni casi è praticamente necessario farlo, per il loro valore intrinseco e per le enormi potenzialità che hanno. Ora, e non per caso, grazie all’abile regia dell’amico diretùr, parliamo di un apparecchio che è una contraddizione in essere, quello che tra le cose viste è tecnicamente il meno innovativo ma che è anche quello più “unico” nelle motivazioni che hanno portato alla sua costruzione. Stiamo parlando dell’amplificatore integrato a valvole in configurazione SET - single ended triode della maison italiana Alchimista 830 SE, un nome questo che è il marchio di un’azienda one man band.
Nel dire che non è innovativo si intende che l’amplificazione a tubi termoionici è vecchia quanto l’alta fedeltà stessa e che la topologia single ended è la prima a essere stata implementata. L’originalità invece, come detto, la si deve cercare nella filosofia di progetto unita al modo di proporsi al mercato.
Come al solito, ecco poche righe di premessa chiacchierona che chi vorrà potrà saltare. Il compito che ReMusic impone ai redattori – per me è implicito – è quello di informare correttamente, di dire la propria opinione ma anche di lasciare al lettore la mente sgombra, per farlo decidere da solo. Il mercato alta fedeltà – in particolare il segmento alto, quello delle cose che suonano meglio – oramai non ubbidisce più alle regole consumer come poteva essere fino a qualche anno fa, è diventato – non sempre ma in molti casi – un mercato del lusso. Qui le dinamiche e le scelte sono diverse, infatti con numeri di vendita stile anni ‘80, un amplificatori Hi-Fi, solo per rimanere in tema ma è vero per tutte le tipologie di apparecchi, accessori compresi, dovrebbe essere costruito in modo da rispettare un certo rapporto tra prezzo di vendita e costo, e il primo e di conseguenza il secondo non dovrebbero superare il limite che affidabili studi di mercato stabilirebbero come quello che l’utente target – entry level, mid range, state of the art… – ritenga essere il massimo che si possa ragionevolmente spendere.
Nel lusso tutto questo non c’è più. Il costo non è limitato, ma è una diretta conseguenza di quello che si vuole ottenere, e il prezzo di vendita non ha rapporti da rispettare, deve invece ubbidire agli imperativi di collocarsi nel segmento che si ritiene più opportuno e di soddisfare le aspettative e le necessità del produttore. Aspettative e necessità che quasi sempre non sono di natura industriale quanto piuttosto di occupare una nicchia elitaria e di rientrare rapidamente dell’investimento. Motivazioni che spesso vengono non dalla bramosia ma dalla mera necessità di sopravvivere. In alcuni casi poi il costo non è nemmeno calcolabile: quanto valgono venti anni di esperienza oppure dodici mesi di ricerche e diversi prototipi buttati solo per fare il miglior trasformatore di uscita? Difficile quantificarlo, e diventa impossibile fare un piano di business quando il risultato di questo sforzo è vendibile solo in numeri piccolissimi, nemmeno prevedibili.
Non si tratta di una disamina cinica, le cose stanno così. E il fatto che, come in tutte le attività, ci siano offerte oneste, altre furbe e alcune assolutamente da evitare, complica di molto la possibilità di comprendere e di scegliere con le corrette informazioni. Qui entriamo in ballo noi, dobbiamo dire, spiegare e maieuticamente aiutare in modo che chi voglia “ascoltare” possa decidere con cognizione di causa, senza tralasciare o disprezzare altri aspetti meno audiofili ma che oramai fanno parte dell’Hi-End, quali l’estetica, la cura costruttiva e, perché no, l’univocità e il posizionamento come status symbol. In altre parole, dobbiamo fare critica ma non integralismo. Di sicuro però, se sta su queste nostre pagine, alla voce “lussuoso” ci si deve poter mettere anche il “come suona”.
Filosofia di progetto
Fatta la premessa, parliamo dell’Alchimista, al secolo Claudio Piovesana, che della musica sa tutto, da come si crea a come si riproduce, passando dalla produzione, l’editing in studio e la progettazione di amplificatori valvolari lungo un bel periodo della sua vita: trovate qualche info in più qui.
Forte di questi tanti anni di esperienza, non me ne voglia ma non è più un giovanotto, e animato da una forte passione ha audacemente intrapreso una strada progettuale abbastanza inconsueta per un prodotto da vendere.
Lui parte da due constatazioni.
La prima è che di valvole se ne producono ancora molte, ma non più quelle particolari, come alcuni triodi di media potenza destinate alla trasmissione radio. Queste si trovano solo usate o, nella migliore delle ipotesi, NOS - New Old Stock, ovvero vecchie ma inutilizzate. Il loro numero è limitato e sono destinate a esaurirsi, in altre parole non ce ne sono abbastanza per fare una selezione sufficiente a una produzione in serie, anche se piccola.
La seconda constatazione è che le valvole, anche se dello stesso tipo, non sono mai, elettricamente, identiche tra loro. Sono oggetti meccanici prodotti con macchinari non di assoluta precisione, non come la intendiamo adesso e come conseguenza le variazioni anche significative delle caratteristiche sono una cosa normale. Gli audiofili diventano matti nel discutere le differenze tra le marche per un medesimo tipo, ad esempio una 300B, in alcuni casi anche tra dove è stata costruita, in quale fabbrica, o addirittura tirano in ballo gli anni di produzione, il che ci sta perché i macchinari che le producono si usurano. Anche nel caso di valvole nuove i venditori più seri le misurano e mostrano i valori ottenuti per consentire un accoppiamento che sia, se non ideale, almeno sufficientemente prevedibile.
L’approccio dell’Alchimista è una conseguenza logica di queste due considerazioni: se devo e voglio fare un amplificatore che utilizzi al meglio delle valvole rare, portandole alla loro massima espressione è necessario progettare non sui data sheet ma sulle curve reali di quell’esemplare che ho a disposizione. I valori della componentistica passiva si devono adattare alle caratteristiche elettriche reali e non a quelle teoriche. Se realizzo degli amplificatori in questo modo, “sartorialmente” adattati alla singola valvola che ho, saranno tutti diversi tra loro anche se utilizzano lo stesso tipo di triodo. Costruirò quindi degli esemplari tutti leggermente diversi, se poi di quel tipo di valvola ne riesco a trovare solo così poche, buone abbastanza per costruire un solo esemplare e mettere da parte i necessari ricambi, allora sarà un modello unico.
L’apparecchio che abbiamo in prova appartiene proprio a questa categoria e ha infatti numero di serie “uno di uno”. Il che significa che è messo a punto, e ci vuole molto tempo, come una macchina da competizione adattando le altre parti alle caratteristiche reali del componente più importante. Il contrario di una qualsiasi produzione industriale. Una cosa che può venire in mente solo a un appassionato. In teoria, ma è ovvio che lo sia anche in pratica, questo approccio da artista più che da ingegnere, porta l’apparecchio a raggiungere le prestazioni più elevate possibili in relazione alla configurazione e ai componenti scelti. Prestazioni che però sono, alla prova dei fatti, sorprendentemente migliori di quanto sia lecito attendersi. Il bello di questo metodo è che funziona, a prescindere dal tipo di valvola. Infatti, nella nostra redazione virtuale, diffusa per tutta Italia, è in prova un altro Alchimista con valvole diverse, le 800, che suona altrettanto bene e in modo abbastanza simile da non influire nel giudizio generale. Cambia la potenza e la possibilità di interfacciare i diffusori, ma le caratteristiche soniche di base sono congruenti.
Un po’ di tecnica
Altri due cardini della filosofia di progettazione dell’Alchimista sono la semplicità topologica e la sovrabbondanza del margine rispetto ai punti di lavoro scelti. Vediamo come si esplicano nella realtà. L’apparecchio in prova si chiama 830 SE e deriva il nome dalla valvola scelta per lo stadio finale, la 830, e dal modo di utilizzarla, cioè single ended. Provo a sintetizzare le note del progettista. Innanzitutto, la scelta di un ampli integrato è dovuta al fatto che permette di non doversi preoccupare di interfacciare un preamplificatore, che magari ha caratteristiche soniche diverse. Si eliminano i mal di testa dovuti all’ottimizzazione delle impedenze o al fine tuning con i cavi. Personalmente mi trova d’accordo: il mio pensiero è che non c’è miglior cavo di quello che non c’è. Per quel che riguarda la scelta del tipo valvola, ovvero di un triodo per trasmissione radio, il motivo sta nel fatto che, pur essendo perfettamente adattabili per l’impiego in BF - bassa frequenza sono più robuste e costruite con lo scopo di farle sopportare un impiego continuativo H24 rispetto a quelle come – 2A3, 300B, 845. PX4, PX25 e altre – progettate essenzialmente per l’utilizzo domestico o comunque non professionale. Tra i progettisti audio questa scelta non è rara e in letteratura ci sono diversi schemi, soprattutto giapponesi, che lo dimostrano. La 830, rubando le parole a Piovesana, ha una “placca in grafite in grado di sopportare una dissipazione di 60 watt, una costruzione eccezionale in una dimensione tutto sommato compatta, sembra una piccola 211 con l'anodo in testa”.
La circuitazione single ended è la più semplice possibile, può funzionare solo in classe A, e un amplificatore così fatto richiede l’impiego di pochissimi tubi. In questo progetto però, invece della più nota e diffusa classe A1, si è scelto di utilizzare la classe A2. La differenza sta nella polarizzazione della griglia, che nel caso A1 è sempre negativa, o al massimo leggermente positiva, mentre nella A2 è sempre positiva, attirando gli elettroni invece di respingerli. L’effetto è quello di ottenere una maggiore efficienza, il 40 contro il 25 percentile, a fronte però di alcune complicazioni quali la necessità di avere un driver in grado di erogare più energia alla griglia – corrente – e la necessità di una messa a punto certosina, che però, come abbiamo visto, è il punto centrale del progetto stesso. Alcune valvole, la 830 tra queste, in classe A2 sono estremamente lineari e quindi non perdono affatto le buone cose della classe A1, aggiungendovi l’innegabile vantaggio della maggiore efficienza che, a parità degli altri parametri, è sempre una buona cosa, sotto tutti i punti di vista.
Riguardo la parte di preamplificazione, o driver se preferite, si è deciso per la configurazione con il minor numero di componenti possibile, uno degli altri due cardini della filosofia di progetto, e quindi il front end è costituito da un pentodo 713A della Western Electric e da un buffer costituito da un triodo 6BX7, metà valvola, l’altra è per il secondo canale. La scelta del pentodo consente di evitare un altro triodo lungo il percorso del segnale che, come abbiamo detto, è un prerequisito.
Altro fatto importante da sottolineare è la scelta dei punti di lavoro e dei margini di tensione, corrente e temperatura entro cui i componenti devono rimanere. Qui siamo nella più sana tradizione audiofila e la parola “sovrabbondanza” regna sovrana. Solo che la motivazione non è il “tanto di più tanto meglio”, che non ha senso, semplicemente lo scegliere di non “tirare” le finali oltre i 9 watt – e potrebbero allegramente arrivare al doppio – o avere dei trasformatori enormi rispetto alle correnti in gioco, che consente di avere temperature più basse, meno stress elettromagnetico e quindi meno vibrazioni meccaniche con il risultato di allungare la vita a tutti i componenti e avere un rumore di fondo più basso. E, visto che abbiamo citato il rumore di fondo, possiamo iniziare a certificare che questo apparecchio è uno dei valvolari più silenziosi che mi sia mai capitato di ascoltare. A livello soggettivo, cioè a orecchio in ambiente di ascolto, c’è pochissima differenza con uno stato solido, e questo la dice lunga.
Il merito, oltre per quanto abbiamo appena detto, va soprattutto all’alimentazione con due filtri pi greco e quindi con due bobine, montata alla perfezione, schermando i cavi, orientando e distanziando le induttanze e i trasformatori, infine utilizzando condensatori e resistori di pregio. La preamplificatrice vera e propria, la 713A, è alimentata in modo separato dal buffer che la segue, mezza 6BX7, proprio per evitare che, al variare delle richieste di energia, ci possa essere una qualsivoglia interferenza dell’una sull’altra.
L’alimentazione dei filamenti è in continua e realizzata con regolatori a stato solido, un compromesso con la modernità non solo necessario ma addirittura obbligato, mentre l’alta tensione è regolata da due diodi a gas. Nell’esemplare che ho si tratta di due 866A a vapori di mercurio ma si possono tranquillamente sostituire con delle 3B28 allo xeno, che hanno caratteristiche uguali.

Note di utilizzo e ascolto
L’amplificatore viaggia in un contenitore heavy duty professionale, trovate qualche immagine dell'unboxing al fondo dell'articolo, e non potrebbe essere altrimenti visto che, in condizioni di trasporto, pesa circa 55 chilogrammi! All’interno oltre all’apparecchio si trova un set completo di ricambio per tutte le valvole, il manuale e la descrizione della filosofia di progetto.
Più che cercare le parole, lascerei il compito della descrizione alle foto. L’oggetto è sorprendente: molto grande, tutto in acciaio inox lucidato a specchio e curato nei particolari in modo maniacale. Tra questi mi piace citare le serigrafie, in corsivo e con scritte piacevolmente inusuali. Quello che le foto non possono descrivere è la sensazione di “imponenza”. Questo integrato è largo mezzo metro, letteralmente, e pesa 40 chilogrammi. La sua rilevanza nell’ambiente è pazzesca. Di sicuro non passa inosservato.
Per metterlo in funzione occorre rispettare la semplice procedura di accendere prima i filamenti e aspettare trenta secondi prima di agire sull’interruttore dell’alta tensione. Fatto questo l’amplificatore suona immediatamente in modo perfetto, però, dopo che sono passati una decina di minuto o poco più, le temperature e i punti di lavoro si stabilizzano e il suono migliora: di poco ma lo si sente. Il direttore ha misurato un lievissimo aumento del livello di uscita, circa un dB, che ne è probabilmente il motivo.
Sul retro ci sono connettori per quattro sorgenti ad alto livello e le uscite per una coppia di altoparlanti, potendo scegliere l’impedenza tra 4, 8 e 16 ohm.
L’ascolto è stato condotto inserendo l’ampli integrato nel mio impianto di riferimento, che al momento dispone di due diffusori Acoustic Energy AE 520, di concezione moderna, quindi multivia, capaci di 91 dB di efficienza. Le sorgenti, come al solito sia digitali che analogiche, sono una meccanica CD CEC TL51X con una DAC Musician Pegasus, un PC audio da me assemblato e il giradischi Holbo, ora con una testina Audio Technica AT-ART9XA interfacciata con un pre phono Mobile Fidelity. Cavi di segnale Wireworld e di potenza Furutech. La parte dei cavi di alimentazione è invece autocostruita. L’ambiente di ascolto, di poco meno di 40 mq, è mediamente trattato. Questo impianto, ovviamente, lo conosco benissimo ed è stato assemblato con lo scopo di suonare in modo analitico ma non fastidioso. Amo raggiungere livelli abbastanza alti senza incorrere in distorsione o fatica di ascolto mantenendo al massimo possibile il potere risolutivo. Prendendo a prestito la definizione direi che è un impianto ad “alta definizione”.
Un apparecchio come l’Alchimista 830 SE potrebbe non interfacciarsi al meglio in questa situazione, infatti appartiene a una categoria Hi-End che richiede una progettazione globale della catena di riproduzione. Soprattutto la parte a valle dovrebbe essere complementare con le sue caratteristiche: diffusori ad alta efficienza e alta dinamica, preferibilmente con crossover semplici. Invece, anche senza questa accortezza le cose sono andate benissimo e ben oltre il livello di eccellenza che già mi aspettavo prima di iniziare, a parte ovviamente di non pretendere, con diffusori di efficienza media come i miei, una elevatissima pressione sonora indistorta.
Ricordando ancora una volta che un amplificatore monotriodo single ended ha come caratteristica migliore la naturalezza di espressione e l’assoluta trasparenza in gamma medio alta senza mai essere faticoso, se non portato oltre i suoi limiti, devo dire che questo 830 SE, rispetto alla sua categoria, ha una marcia, forse due, in più.
Innanzitutto, il rumore, ne abbiamo parlato prima ma all’ascolto questa caratteristica, spesso trascurata dagli analogisti vecchia scuola, è fondamentale. La sua assenza consente una migliore definizione dei piani sonori, aumenta la separazione tra gli strumenti e il contrasto. Spieghiamo i termini: nella riproduzione musicale ci sono alcuni aspetti che solo un impianto veramente buono e ben calibrato ripropone in termini paragonabili con la realtà, tra questi uno dei più difficili è la ricostruzione dell’immagine virtuale, la possibilità di individuare da dove viene uno specifico suono, e la percezione della separazione fisica tra gli strumenti, tra le voci. Il contrasto o, come preferisco definirla, la microdinamica, riguarda la tessitura armonica del singolo strumento, ovvero le differenze di livello e di tono che si possono sentire, ad esempio, nelle note di un violino, e che permettono di distinguere un pezzo di legno da uno strumento di pregio. Tutte queste cose dipendono dalle registrazioni, dai diffusori, principalmente, e dall’ambiente ma, a parità di queste condizioni, non sempre si ha una chiara idea di quanto un amplificatore possa incidere nel bene e nel male. I monotriodi, io ne ho uno con le 300B veramente ottimo, eccellono in questo, ma anche nei casi in cui sono tecnicamente ben fatti e silenziosi si perdono spesso nel controllo delle frequenze più basse, più o meno a seconda dell’accoppiamento con i diffusori, e distorcono sempre di più man mano che si avvicinano a potenza massima. Che dire invece dell’830 SE? Nelle qualità intrinseche arriva a vette finora inascoltate, mentre in quelle che non sono i punti di forza dei monotriodi non porge il fianco ad alcuna critica. Il basso è solido e rimane a bassissima distorsione quasi fino a piena potenza.
Non posso paragonarlo ai miei pre e finali a stato solido, li ho da anni e li adoro anche se è arrivato il tempo di un ulteriore upgrade, perché dal punto di vista musicale se li beve, mentre dal punto di vista dell’impatto e del controllo non cede di un millimetro. È nel in confronto con gli altri valvolari che ho a disposizione, monotriodi o push-pull, di bassa e media potenza, che il paragone dovrebbe essere più equo, ma in realtà diviene impietoso. Questo integrato unisce, come se fosse la cosa più semplice del mondo, un silenzio da stato solido con la dolcezza della riproduzione, fantastico sentire le voci) con il dettaglio stratosferico, quasi lo sfiorare delle labbra sulle ance, con una più che sufficiente dinamica e impatto energetico, fatto salvo il discorso sull’efficienza dei diffusori che deve essere almeno quella di cui dispongo ora, in un mix del tutto soddisfacente anche per la musica sinfonica o, per chi volesse mescolare sacro e profano, per una rock band o per la musica elettronica.
Ripeto, per chi possa e volesse costruirsi un esclusivo impianto Hi-End, raffinato ma sufficientemente potente anche nel volume, non vedo un modo migliore di iniziare se non posando questa prima pietra.
Conclusioni
Non so se e quando esisterà una produzione dell’Alchimista in grado di soddisfare più di una manciata di fortunati audiofili ma l’esperienza di avere tra le mani un oggetto unico, costruito e messo a punto come uno strumento di misura, è stata emozionante. Ci racconta che, se maneggiata con sapienza, anche una tecnologia che tra poco compirà un secolo è ancora in grado di arrivare dove molta della produzione moderna stenta ad avvicinarsi. Ci dice anche che nove watt, se accoppiati con cura a dei diffusori ad hoc sono più sufficienti. Certo, e anche Piovesana stesso lo dice, non ci si può aspettare che questa sia la tecnologia che ci porterà alla fine di questo secolo, come lo ha fatto con quello precedente, ma, a questi livelli, c’è poco da preoccuparsi di quello che accadrà domani. Insomma, per ora questo passato lasciatecelo ancora per un po’ di tempo, per favore. Ne vale la pena.
Caratteristiche dichiarate dal produttore
Prestazioni ottenute: alla tensione di alimentazione nominale di 220V
Potenza di uscita: 9W RMS con entrambi i canali funzionanti
Banda passante: 16Hz-45kHz entro +0-3dB a 1W e a piena potenza
Sensibilità in ingresso: 200mV RMS per la piena potenza
Tipo e classe di funzionamento stadio finale: monotriodo in single ended in classe A2
Valvole impiegate: sette/7
- stadio di ingresso e preamplificazione WE 717 oppure WE 713 x 2
- stadio pilotaggio finale 6BX7
- stadio finale 830
- raddrizzatrici 866A x 2 oppure 3B28 x 2
Consumo corrente massimo: 250Va
Dimensioni esterne: 50x24x42cm circa LxAxP comprese manopole, connettori e levette
Peso: 40kg circa
Per ulteriori info:
scarica qui il manuale d'uso 830 SE
scarica qui la scheda tecnica 830 SE
Distributore ufficiale Italia: vendita diretta, al sito Alchimista Audio
Prezzo Italia alla data della recensione: 77.000,00 euro
Sistema utilizzato: all'impianto di Maurizio Fava