Integrato Hegel H190

28.05.2019

Perché proprio questo amplificatore integrato? Sull’Hegel H190 si è puntato molto, dotandolo di un DAC interno di ultima generazione con cui lavora in modalità estremamente sinergica. È un’elettronica che, pur non ponendosi al vertice della categoria, dato che Hegel ha nel proprio listino ulteriori amplificatori integrati di fascia economica e potenza superiore, quali gli H360 e H590, racchiude tutta la migliore tecnologia sviluppata dal costruttore norvegese col dichiarato intento di fare breccia in una fascia di mercato strategica in cui la concorrenza è dannatamente agguerrita.

 

Vi anticipo che il nuovo integrato di Hegel è un prodotto particolarmente riuscito. Malgrado uno chassis minimalista e snello, offre una grande flessibilità d’impiego, un vero e proprio hub che strizza l’occhio alla musica liquida, vista la ricca dotazione di ingressi digitali di cui è dotato, ivi compresa la connessione AirPlay. Ma quel che più importa, ha un suono che lascia di stucco e un rapporto qualità/prezzo inusuale.

 

I dati di targa li trovate in calce all’articolo e vi risparmio la storia del marchio scandinavo che trovate in inglese sul sito ufficiale qui. Vado dritto al sodo, ovvero all’esperienza d’ascolto, cercando di dare dei riferimenti utili che consentano di farvi una buona idea del carattere di questa elettronica.

 

Hegel H190

 

Inizio utilizzando l’H190 solo come amplificatore, lasciando il compito della conversione del segnale digitale a un DAC esterno, ovvero alla sezione DAC dell’Esoteric K-03xs.

Rilevo che l’Hegel ha dei tempi piuttosto lunghi per entrare in coppia e l’assenza di una modalità di standby certo non aiuta. Diciamo che durante la prima mezz’ora di funzionamento non è nemmeno il caso di esprimere giudizi, il suono resta piuttosto piatto, anemico e privo di microcontrasto, il pianoforte è appena accennato, secco e nasale, insomma, un mezzo disastro. Appena i circuiti cominciano a scaldarsi, la musica inizia a fluire in maniera sempre più plastica e realistica, fino a raggiungere, dopo un’oretta di funzionamento, un livello decisamente soddisfacente, suscettibile di ulteriore miglioramento nel corso della sessione d’ascolto. A memoria non ricordo di amplificatori che non abbiano margini di miglioramento più o meno pronunciati rispetto all’accensione, eccezion fatta per quelle macchine che nascono per stare sempre in modalità “acceso”. Tuttavia, qui, il margine di miglioramento dopo il warm-up mi è parso particolarmente evidente e cruciale.

 

Le prime impressioni d’ascolto sono coerenti con le principali specifiche del progetto. Ricordo che ci stiamo occupando di un integrato a stato solido potente, 150 watt su 8 ohm, stabile fino a 2 ohm e con un fattore di smorzamento elevato, 4000!

Il basso è talmente controllato e rigoroso da apparire appena più indietro rispetto ai miei riferimenti, anche se definito e articolato e ottimamente integrato nell’impostazione sonora complessiva, piacevolmente laid back.

La gamma media beneficia dell’estrema compostezza della gamma bassa, restando immacolata, asciutta e levigata, olograficamente piuttosto arretrata. La focalizzazione spinta rende estremamente ariosa la scena e nettamente definite e localizzate nello spazio le dimensioni dei protagonisti, anche se, come spesso accade nelle realizzazioni a stato solido, meno generose di quelle proposte da un valvolare di qualità.

La gamma alta è molto estesa e favorisce lo sviluppo di orizzonti lontani e un’altezza della scena fuori dal comune. Ottima prestazione davvero.

Un altro parametro sul quale concentrarsi, soprattutto quando ci troviamo di fronte a un integrato, è la profondità della scena, ovvero la capacità dell’elettronica di dare sviluppo prospettico alla distanza dei protagonisti dal punto d’ascolto, collocando su piani differenti le fonti di emissione sonora presenti nella registrazione. Ciò in quanto, per mia esperienza, questo parametro viene esaltato da un grande preamplificatore attivo, mentre, sempre per me, resta sacrificato nelle soluzioni integrate, il più delle volte caratterizzate da un notevole stadio finale pilotato da un attenuatore di volume o poco di più. Come già detto, l’H190 tende a spostare la scena piuttosto indietro rispetto al fronte dei diffusori, accentuando quel senso di ambienza e prospettiva che quasi inganna l’orecchio sulla reale attitudine selettiva dell’elettronica.

La larghezza della scena si colloca su livelli soddisfacenti, senza dilatare eccessivamente l’evento, ma occupando agevolmente gli spazi ben oltre la linea esterna dei diffusori.

 

Una conferma della bontà del progetto viene dall’ascolto del DAC integrato che riprende buona parte della componentistica dei DAC della casa, firmata Asahi Kasei Electronics, con chip di conversione AK4490EQ. Supporta file PCM 24 bit 192 kHz con collegamento USB asincrono, mentre da PC, non richiedendo l’installazione di driver, è limitato a 96 kHz. I file DSD, purtroppo, non sono supportati.

Ho collegato il mio streamer player Auralic Aries Mini con alimentazione esterna sovradimensionata e ho ascoltato file PCM da TIDAL, anche in formato MQA, e file PCM da hard disk interno allo streamer. Il confronto si è svolto alternando il DAC interno dell’Hegel, collegato all’Auralic via USB, e il DAC dell’Esoteric K03xs, collegato a monte all’Auralic, via USB e, a valle all’Hegel, via connessione analogica. Come ho premesso, il DAC dell’Hegel lavora in maniera straordinariamente sinergica con l’amplificatore integrato e non sembra soffrire di complessi di inferiorità rispetto all’Esoteric. Il suono della musica liquida è dinamico e col giusto peso e spessore. Ho il sospetto che l’ottimizzazione spinta di questa soluzione integrata mortifichi ogni velleità di ottenere risultati apprezzabili con l’impiego di un DAC esterno di qualità. Passando alla connessione digitale S/PDIF, che è quella che continuo a prediligere nel mio setup, mi è parso che l’Esoteric ne traesse grande giovamento, ma se dovessi scegliere in base a ciò che ho ascoltato, non cambierei il DAC interno con il DAC dell’Esoteric.

Purtroppo, l’H190 è sprovvisto di uscite digitali per poter utilizzare il DAC dell’H190 come unità stand alone e testarne le qualità in campo neutro con altra amplificazione. Resta il fatto che il risultato complessivo è notevole, a riprova del know-how maturato dal costruttore norvegese in fatto di convertitori.

 

Tornando all’ascolto dell’H190 come amplificatore, approfitto della disponibilità dell’amico Davide per prendere a prestito il suo Burmester 082 e avere come riferimento anche un integrato a stato solido, senza dubbio più coerente e in linea con le caratteristiche dell’Hegel rispetto alla mia accoppiata Audio Research. Tra l’altro i due integrati hanno in comune anche un fattore di smorzamento elevato, anche se suonano in maniera alquanto differente.

Il Burmester nel mio setup è stato più convincente in modalità alta corrente malgrado le Acapella siano un diffusore tutt'altro che ostico.

La ricostruzione scenica del Burmester appare meno sviluppata ed estesa rispetto a quella riproposta dall’Hegel, con una sofferenza più evidente nel parametro dell’altezza dove il norvegese se la gioca quasi ad armi pari con gli Audio Research.

Timbricamente l’Hegel propone toni appena più caldi rispetto al Burmester. Ne beneficia l’effetto plastico dei protagonisti che emergono da un fondo più buio della norma, un po’ come accade nella visione dei migliori schermi al plasma che, a prima vista, danno la sensazione di essere meno luminosi dell’LCD, salvo poi stupire quanto a resa prospettica e naturalezza.

E Hegel illude ancora l’orecchio con una timbrica percepita come molto naturale, che rende l’ascolto estremamente piacevole e rilassante senza abbagliare mai l’udito anche a volumi d’ascolto esplosivi. Burmester, dalla sua, propone un suono appena più spostato in avanti, presenta una trama più vivace e contrastata, godibilissima finché il volume non sale. Poi, fa capolino quella cosiddetta “fatica d’ascolto” che non lascia indulgere a lungo con volumi più impattanti, anche se, a onor del vero, non registro quel classico effetto schiacciamento della dinamica che ne è il principale responsabile, quanto piuttosto un leggero sbilanciamento verso le alte frequenze in controtendenza col soggettivo desiderio di roll-off delle stesse, che invece renderebbe più confortevole e appagante l’ascolto ad alto volume.

 

Estrema linearità, dinamica e compromessi domestici. Ci sarebbe da scrivere un trattato, ma non posso sottrarmi dal dare evidenza anche di sensazioni soggettive, quali il confort acustico percepito nell’ascolto a manetta di Amused to Death di Roger Waters rispetto alle altre amplificazioni a disposizione. Del resto, se Audio Research, nel Reference 5, ma anche nel Reference 6, si è posta il problema prevedendo un leggerissimo e progressivo roll-off delle frequenze più alte quando il volume / livello di uscita sale oltre un certo limite, evidentemente quello che può apparire un mero discorso di psicoacustica soggettiva per i progettisti americani è diventata una priorità. Nel dettaglio, Audio Research decide che la risposta in frequenza vari al variare del volume con una prima leggerissima attenuazione delle altissime frequenze, nell’intervallo da 10 kHz a 100 kHz, presente già a circa 40 step su 103 del volume, - 0,2 dB a 20kHz e - 3,2 dB a 100 kHz, che si fa progressivamente più evidente con volumi più elevati.

 

Se Burmester strizza l’occhio alle valvole con tutta questa luminosa vivacità, riconosco nell’H190 un eccellente e più rigoroso interprete delle amplificazioni a stato solido.

E, infatti, siamo agli antipodi rispetto alle prestazioni offerte da un valvolare puro di tutt’altre caratteristiche quale il Leben CS600. Qui ritroviamo il più tipico suono delle valvole in push-pull, luminoso, grasso, ricco, esuberante quanto a presenza scenica, con protagonisti che si materializzano appena dietro il fronte dei diffusori, praticamente in mezzo alla stanza. Il basso del Leben è decisamente più impattante, ma anche più scomposto, la scena è piacevolmente congestionata, plasticamente vivace e debordante di armoniche ma, forse per questo, meno, ampia, ariosa e leggibile. Con programmi intimistici, strumento acustico e voce, è uno spettacolo, ma appena sul palcoscenico sale qualche altra persona si rimpiange quella leggiadra pacatezza con cui un Hegel riesce a fare ordine e presentare didascalicamente l’evento.

 

L’austera rigorosità dell’Hegel è una qualità che si apprezza non in ascolti fugaci ma dopo lunghi periodi di convivenza. La sua performance ricorda molto da vicino quella di una coppia di pre e finale di alto livello – e sottolineo l’alto livello – quali i gloriosi progetti della serie 20 di Mark Levinson, caratterizzati da quel tono apparentemente dimesso e ambrato ma capace di esprimere un tessuto armonico vellutato a trama fine, così fortemente impattante e suggestivo.

 

Burmester rappresenta, invece, un’interpretazione più moderna di stato solido, forse più estremizzata su alcuni parametri. Un suono meno immediato ed estremamente lineare da interfacciare con cura, un buon assaggio del modo di intendere la musica riprodotta da parte del costruttore tedesco.

 

Veniamo ora alla domanda che sento insinuarsi nel lettore più impaziente. In termini assoluti dove ci collochiamo? Mi ripeto, molto in alto. Parliamo di elettroniche che per la maggior parte degli appassionati potrebbe risultare definitiva. La prestazione dell’Hegel, che ho trovato molto in linea col mio ideale di musica riprodotta, con il plus di un DAC interno con cui l’amplificatore lavora in modalità estremamente sinergica, ne fa come anticipato un piccolo campione in termini di rapporto qualità/prezzo. Se avesse uno chassis più imponente e un prezzo più elevato probabilmente sarebbe già in cima alla lista degli oggetti più desiderati da parte della platea audiofila, senza parlare del fatto che questa recensione risulterebbe quanto meno più credibile.

Volendo tracciare qualche limite, rispetto ai riferimenti utilizzati, pre Audio Research Reference 5 e finale Audio Research VT100 mk3, riconosco facilmente quel DNA da stato-solido-con-fattore-di-smorzamento-elevato dell’Hegel e del Burmester. Gli strumenti acustici in particolare sono quelli a mio avviso che impressionano di più al primo ascolto salvo poi soffrire maggiormente il confronto con elettroniche di vocazione Hi-End e per giunta a valvole. Il suono del pianoforte con l’Hegel e il Burmester resta bello solido, scontornato a tinte forti, meno materico e legnoso dei riferimenti, più puntiglioso e focalizzato sulla percussione delle corde. Mi manca un po’ di quella massa riverberante e armonicamente cangiante che con i riferimenti riempie la parete di fondo, lo spessore della tessitura del suono, la profondità dei contrasti capaci di rendere a tutto tondo certi strumenti. Insomma, questi integrati appaiono didascalicamente concentrati a far capire lo strumento e la partitura più che a veicolarne l’emozione intrinseca. Sanno leggere e scrivere correttamente, ma senza arrivare a quella proprietà di linguaggio evocativa dei grandi maestri. Che poi è il confine tra la prosa di una eccellente elettronica Hi-Fi rispetto alla poesia di un’elettronica Hi-End. Mi rendo conto, c’è molto di soggettivo in tutto ciò, ma c’è molto di soggettivo anche nell’affrontare le cifre folli dell’Hi-End, e ciascuno deve darsi una giustificazione più o meno credibile in questa ricerca forsennata di una perfezione che non esiste, dalla mera ossessione narcisistica del possesso, alle valutazioni pseudo-tecniche o di gratificazione psicoacustica. Del resto, Hegel e Burmester offrono ampie soluzioni per chi ha voglia e denaro per inseguire chimere e complicarsi la vita.

 

Se invece siete persone concrete alla ricerca di un apparecchio integrato che vi semplifichi la vita, questo Hegel può fare al caso vostro. Posso assicurarvi che spendere molto, ma molto di più, anche con soluzioni pre, finale e DAC separato, potrebbe non valerne la pena. Questo apparecchio ha trama fine, raffinatezza e piacevolezza d’ascolto proprie di elettroniche di alto rango, sa ricostruire grandi palcoscenici ed è capace di pilotare grosso modo di tutto. Personalmente lo abbinerei a un grande woofer piuttosto che a piccoli woofer in parallelo, andando così a stemperare un po’ del rigore dello scandinavo a favore di un’ulteriore piccola manciata di armoniche.

E per i super smaliziati aggrediti dai sensi di colpa, questo apparecchio potrebbe essere l’occasione per meditare un onorevolissimo downgrade senza rimpianti, o semplicemente sostituire degnamente l’impianto della domenica in ascolti quotidiani o estivi, visto che non scalda. Un vivo invito ad ascoltarlo!

 

 

Caratteristiche dichiarate dal produttore

Potenza: 2x150W su 8ohm

Carico minimo: 2ohm

Ingressi analogici: 1x bilanciato XLR - 2x sbilanciato RCA

Ingressi digitali: 1x coassiale, 3x ottico, 1x USB, 1x rete

Uscite linea: 1x fisso RCA, 1x variabile RCA

Fattore di smorzamento: > 4.000

Distorsione: < 0,01%

Uscita cuffie: 6,3mm frontale

Dimensioni: 43x12x41cm LxAxP

Peso: 19kg

Altro: telecomando RC8 in dotazione, controllo IP configurabile

 

Distributore ufficiale Italia: al sito HiFight

Prezzo Italia alla data della recensione: 4.090,00 euro

Sistema utilizzato: all’impianto di Emilio Paolo Forte

di Emilio Paolo
Forte
Leggi altri suoi articoli

Torna su

Pubblicità

DiDiT banner
Omega Audio Concepts banner
KingSound banner
Vermöuth Audio banner

Is this article available only in such a language?

Subscribe to our newsletter to receive more articles in your language!

 

Questo articolo esiste solo in questa lingua?

Iscriviti alla newsletter per ricevere gli articoli nella tua lingua!

 

Iscriviti ora!

Pubblicità