Io e le mie passioni

Diritto d’autore: i redattori si presentano
16.04.2012

Musica, musica!

 

Un celebre aforisma di Friedrich Nietzsche afferma che “senza musica la vita sarebbe un errore”. Sono tra coloro che “sentono” quanto questo sia profondamente vero.

 

Come i bambini di Hamelin, quelli che nella fiaba seguirono il pifferaio magico restando incantati dalla musica sino ad annegare, non ho mai resistito al magnetismo della musica, un magnetismo "letterale" per la musica dal vivo. Forse le mie figlie gemelle ricorderanno, anni fa, l'attraversamento, mano nella mano, del centro storico di Angers, in Francia, a far da coda a una banda di artisti ambulanti. Una banda come quelle che dalle mie parti, in Puglia, fanno sì che non ci sia vecchio nei paesi che non conosca a memoria tutta l'opera italiana.

 

Pur lavorando con le immagini, la mia sindrome di Stendhal è sempre stata con la musica. A parte la letteratura, altre forme d'arte mi parlano. Molto più difficilmente mi toccano.

Non vi racconterò di fonovaligie e registratori a cassette dell'infanzia e dell'adolescenza da babyboomer, che pure ci sono stati. In uno dei capitoli degli articoli Macchine da musica ho già raccontato di aver rinunciato alla prima automobile per una coppia di Dahlquist DQ10.

L'alta fedeltà, come si chiamava una volta, per quelli che hanno la mia età, cioè nei dintorni dei cinquanta, è stata importante da ragazzi. Forse più di quanto non lo siano i telefonini per i giovani d’oggi. Succede, con la tecnologia: la generazione precedente alla nostra impazziva per i rasoi elettrici. Io scoprii quello che l'alta fedeltà poteva fare per la musica, e non solo in funzione di status symbol, in un pomeriggio di trentacinque anni fa.

Bruno Martino, uno che non stavo a sentire perché masticavo di tutto ma soprattutto di altro (da Bizet, la Carmen, ai Santana, passando soprattutto per i Soft Machine e Terje Rypdal) mi inchiodò mentre cantava Estate attraverso le indimenticabili JBL Paragon. Non conoscevo ancora la versione di João Gilberto, né quella di Chet Baker, né ovviamente quella fantastica di Michel Petrucciani o quella di Jon Hassel in Fascinoma (correte a comprarlo). Per me Bruno Martino poteva essere allora “solo” un cantante da night e, in quanto tale, oggetto del più profondo disprezzo. Tanti, allora, si giocavano per me la reputazione per molto meno, per la cosiddetta musica commerciale.

Ma, grazie alle Paragon, ero entrato in contatto con ciò che davvero Bruno Martino era: un Musicista. Da brividi. Giù il cappello.

 

Mi è successo almeno un altro paio di volte. Con Pavarotti, in quello che credevo un improbabile duetto con Celine Dion. La tipica situazione in cui ci si chiede con un certo orrore “chi ha portato questo disco”. La seconda volta, molto recentemente, con Roberto Rocchi e il suo Stratosferico Impianto (N.d.R. Non è il nome di un gruppo musicale), ascoltando Renzo Arbore e l'Orchestra Italiana, vinile giapponese di Fonè. Perché Renzo Arbore è certamente conduttore e comico grandioso, ma da quella sera è soprattutto, per me, un Musicista. Giù di nuovo il cappello. Grazie, soprattutto per la capacità di metterci in comunicazione letteralmente con un altro mondo: anzi, con il mondo di un altro.

 

Provengo, dalla parte di papà, da una famiglia di musicisti. Non ho mai conosciuto l'uomo di cui porto il nome e cognome: mio nonno, il padre di mio padre, anche lui Angelo Recchia Luciani, che faceva due mestieri. Portava il pane a casa facendo il funzionario dell'ECA, cioè si occupava di reduci ed ex combattenti. Ma era anche, e soprattutto, l'organista della cattedrale di Altamura, in provincia di Bari.

Per anni non ho saputo niente di lui. Mio padre non me ne parlò mai e solo una volta toccammo l'argomento, per ore, con la mia nonna paterna.

Per decenni non ci ho pensato, almeno non prima di essere fulminato dall'ascolto della Passacaglia BWV 582 /1. Karl Richter che suona Johann Sebastian Bach, 1685-1750, e io che per la prima volta mi chiedo che uomo sia stato mio nonno, l'organista di una cattedrale. Non ci ho mai parlato, ma qualcosa di lui ho capito e la riconosco in me.

La musica non è mai stata mia. L'ho sempre sentita fin nel più profondo, non sono mai stato in grado di suonarla, anche se ho studiato pianoforte, e per quattro anni!

Forse è per questo che ho “massacrato” le mie figlie portandole a lezione di ritmica, secondo il metodo Suzuki, a tre anni e mezzo. Mentre scrivo ne hanno quasi sedici e studiano ancora.

 

Questa Magnifica ossessione ha generato l’impianto mio e dei miei soci: completamente, testardamente, orgogliosamente concepito e certamente auto-costruito ma, concedetemelo, non con la psicologia dell'autocostruttore. (N.d.R. Per questo motivo, attualmente indescrivibile)

Anche il compianto Jim Thiel raccontò in un'intervista di aver costruito il suo primo impianto per non essere in grado di acquistare quello dei suoi sogni. E nessuno dubita che Jim Thiel abbia lasciato quella traccia di sé che lasciano soltanto coloro che riescono a incidere sul mondo, lasciandolo diverso da come l'hanno trovato, grazie al modo in cui lo hanno ripensato.

Questo infatti fa di qualcuno un costruttore, magari di una sola opera, di un solo apparecchio. Non un produttore di cloni: di qualcuno che cerca di rifare, copiando, quel che altri hanno fatto. Senza alcun disprezzo per gli autocostruttori, perché copiando si impara, si modifica, si cambia, si intuisce di poter fare quello che certi uomini fanno. Come il primo astronauta, raggiungono luoghi in cui non è stato, fino ad allora, nessun loro simile.

Io e un paio di amici da una dozzina d'anni dedichiamo tempo ed energie alla realizzazione di questo sogno: perché la riproduzione musicale, di cui l'umanità dispone solo da qualche generazione, a modo suo rende la musica e i musicisti immortali. Di quel che abbiamo fatto insieme, poi, avrete notizie, contateci.

 

Sono un medico, specialista in neurologia e in radiologia diagnostica. Per quindici anni ho diretto il reparto di neuroimmagini in un grande gruppo ospedaliero privato di Bari. Insegno a contratto Fondamenti bio-medici delle tipologie di handicap presso l’Università della Basilicata e Anatomia, fisiologica e clinica neurologica nel corso di Specializzazione in Musicoterapia del Conservatorio di Musica E. R. Duni di Matera.

Ho prodotto oltre sessanta pubblicazioni scientifiche negli ambiti della neuroradiologia, dell'informatica medica, della psicoterapia e della biosemiotica.

Sono innamorato di Antonella, che ho sposato il 28 dicembre del 1989, e delle nostre Giulia e Sara, entrambe nate il 26 settembre 1996.

Oltre alla mia famiglia, la musica e la biologia della coscienza sono le mie passioni.

 

di Angelo N. M.
Recchia-Luciani
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