La registrazione ad Alta Fedeltà

19.06.2017

Nella foto principale: microfono Shure 5575LE “FatBoy”, replica aggiornata del famoso Shure 55 Unidyne introdotto nel 1939

 

Un impianto ad Alta Fedeltà e di alta qualità per quanto mi riguarda ha la sua ragion di esistere se può contare su un buon assortimento di materiale musicale, valido sotto l'aspetto artistico ma anche tecnico. Non è difficile, negli ambienti audiofili, imbattersi in impianti dal pedigree stellato, messi assieme con una cura che si potrebbe definire morbosa più che meticolosa. Ma… il materiale audio a loro disposizione è spesso troppo poco oppure inadeguato per qualità. Alcuni di questi sistemi suonano in prevalenza registrazioni definite audiophile-grade ma appare evidente, sentendole, che molte di queste sono da considerare appena mediocri.

Un'incisione di qualità si evidenzia dopo i primi secondi di ascolto, per il corpo del suono, il senso di equilibrio tra le gamme e il respiro dinamico, caratteristiche che in tanti CD ed LP definiti audiophile test sono talvolta carenti o del tutto assenti. Oppure sostituite da altro.

Ho provato CD test, alcuni dei quali anche in mio possesso, che suonavano male in quasi ogni condizione e solo in un paio di circostanze li ho potuti sentire senza quel senso di perplesso fastidio, che sempre mi hanno provocato.

La storia che certi CD possano suonar bene solo su quei pochi fortunati impianti veramente a punto non mi ha mai convinto. La verità per me è ben diversa, sono più propenso a pensare che si tratti di impianti attentamente costruiti attorno a un tipo di suono. Suono che poi da questi impianti viene sempre riproposto, indipendentemente dal disco che suona. Certo è che il prodotto musicale inciso è vastissimo, ma quello davvero valido dal punto di vista della fedeltà pura è – ahinoi – in proporzione assai scarso. Per fedeltà non intendo che suoni in modo piacevole: una registrazione o un sistema possono risultare molto gradevoli pur avendo una bassa fedeltà. Mi riferisco invece al rispetto della voce e della dimensione degli strumenti in relazione al contesto musicale, ai giusti rapporti dinamici tra le parti e la presenza corretta dello spazio-tempo all'interno dell'evento.

Realizzare una registrazione e successivamente un mastering con tutte queste caratteristiche non è una cosa semplice e nemmeno economica: questo è uno dei motivi per cui molta della musica in circolazione non suona bene.

 

Le tappe di una registrazione

Dalla prima fase della ripresa microfonica a quella ultima della stampa sui supporti commerciali l'evento originario così com'è stato acquisito e salvato subisce diverse variazioni sostanziali, tra cui la quasi inevitabile riduzione della banda e della gamma dinamica e la perdita/modifica dei rapporti dimensionali o prospettici tra gli strumenti. Questo nei migliori dei casi, mentre nelle produzioni più economiche e in quei lavori dove il musicista o il produttore non badano troppo alla qualità tecnica, il risultato che si ascolta può essere solo una fotografia in bassa definizione di quello che era il suonato originale.

Spesso quando si ascolta un disco che “va male” si dice che è una pessima registrazione, ma in realtà non è dato sapere come fosse la registrazione originaria. Quel che è sicuro è che la registrazione, e dunque il master originale, quasi certamente saranno stati di buona, se non ottima, qualità.

 

Dalla ripresa multi-microfonica al mastering due tracce

Parlando di musica acustica suonata dal vero – quella puramente elettronica nasce interamente al computer, quindi la sua masterizzazione avviene in maniera differente – la prima tappa del lavoro è proprio la registrazione della performance in studio o live da cui si ottiene il master originale del progetto.

Verso il finire degli anni ‘50, all'alba della registrazione stereofonica commerciale, le riprese avvenivano con due o al massimo quattro microfoni, per cui il master finale aveva da due a quattro tracce, una per microfono.

Con l'evoluzione delle tecniche di ripresa, il numero di microfoni per ogni strumento e per ogni sessione è andato via via crescendo e così, di pari passo, il numero dei canali necessari in registrazione. La praticità di avere una o più tracce per ogni strumento sta nel poterlo manipolare con molta libertà nella fase successiva di mixaggio e mastering e deciderne il livello, la presenza, la posizione e il colore all'interno della scena musicale che si va a costruire e ri-costruire. Già da molto tempo, per comodità ma anche per ragioni legate alla disponibilità dei musicisti, si usa registrare in multisessione, cioè in fasi temporali distinte le varie parti del lavoro, partendo in genere dalla ritmica e aggiungendo poi le parti armoniche e le finiture. Questo tipo di tecnica, basata sul taglia e cuci, dà però risultati alquanto freddi e piatti e viene adottata quasi sempre solo per il pop-rock e i generi più commerciali.

Per la musica jazz, il blues, la classica e tutti quei generi dove la registrazione deve restituire il pathos e la coesione tra i musicisti, la ripresa avviene con la band o il gruppo che suona al completo: a seconda poi del risultato che si vuole raggiungere si scelgono le tecniche di microfonazione più adatte. Riprendere un evento così come viene suonato, magari impiegando pochi microfoni, restituisce un palcoscenico e una presenza tra i più naturali. Tuttavia è una delle modalità di ripresa più difficili da settare. Per questo motivo richiede esperienza e preparazione, visto che poi i margini di correzione a posteriori sono molto ridotti rispetto a quelli offerti da una multi-microfonazione, magari fatta in salette separate. Molte delle buone incisioni jazz e blues del passato, per lo più metà anni ‘60 inizio ‘70, erano fatte con pochi microfoni sapientemente adoperati: a stessa, famosissima Jazz at the Pawnshop, deve buona parte del suo successo a questo tipo di ripresa.

Una volta che la registrazione dell'evento si è conclusa, si dispone finalmente del master multitraccia primario, da cui poi si ricaverà il lavoro finito e cioè il master di stampa per la distribuzione.

 

La sequenza successiva di questo processo è il mastering. Il momento più delicato del processo di produzione e anche il più creativo: qui si decide il risultato finale e la resa sonora. Purtroppo è anche la fase dove molte valide registrazioni originali vengono snaturate e rese artificiose a causa di una manipolazione eccessiva. Qualcosa che avviene anche a posteriori, a volte nel re-mastering e ristampa di dischi del passato.

 

Negli anni ‘80 il numero di canali di una registrazione era limitato dal numero di tracce complessive che era possibile allocare su un nastro master: massimo 16 nel caso di un registratore analogico e 24 per quelli digitali. Mentre per quanto riguarda il mastering, il limite era legato al numero massimo di tracce che poteva gestire il banco di missaggio, comunque superiore alle 32. Allo stato attuale non vi è limite virtuale al numero di tracce su cui è possibile lavorare contemporaneamente.

Se, per fare un esempio, abbiamo un master su 20 tracce e dobbiamo lavorarci, a questo numero di canali si aggiungeranno le tracce effetti – riverberi, compressori, equalizzatori, ecc. – usati in questa fase per costruire il suond del disco e che andranno uniti assieme.

Considerando che la maggior parte dei dischi commerciali, tolte le versioni DTS multicanale, è stereofonica due canali, si può immaginare come non sia facile far convergere in due sole tracce stereo, una moltitudine di canali ognuno col suo livello, la sua dinamica e la sua dimensione spaziale nella scena. Questo in parte motiva il perché molti dischi del passato suonano meglio di quelli moderni: perché venivano da un processo più semplificato e spesso, ma non sempre, le cose semplici sono quelle che rendono meglio.

Non era tutto rosa e fiori però. Il rovescio della medaglia, parliamo degli anni '60/'70, stava nel fatto che la lavorazione era molto più complessa e lunga perché, per ottenere un effetto, era necessario smistare la singola traccia o alcune di queste, attraverso le varie outboard – compressori, limiter, riverberi... – e il segnale, analogico, attraversava qualche centinaio di metri di cavi, con tutti i problemi che si possono immaginare in termini di attenuazione, rumore, sfasamenti. Problemi che nell'era digitale si sono drasticamente ridotti visto che il segnale compie percorsi molto più brevi in studio e viaggia in formato numerico, molto meno sensibile.

Diciamo che il risultato migliore si otteneva con quei lavori dove in fase di produzione non si facevano grossi interventi, al limite un po' di equalizzazione complessiva. Era il caso dei dischi jazz e blues e dei piccoli ensemble classici o vocali. Che sono poi quelli che ritroviamo meglio riusciti, sotto l'aspetto della bontà del suono, tra i vecchi dischi. Mentre i dischi rock quasi sempre suonavano alquanto male, piatti e aspri, perché c'era parecchio lavoro di effettistica durante il mastering e il suono si deteriorava.

Anche l'orchestra era spesso un disastro, perché i registratori e i nastri di allora non erano in grado di gestire dinamiche così ampie e variabili, inoltre, la multi-microfonazione non era praticata e quella panoramica non era sufficiente a riprendere tutto con la giusta proporzione: il suono il più delle volte appariva lontano e piatto. Solo le produzioni delle etichette più costose ottenevano risultati ottimi per l'epoca, registrando l'orchestra da vicino in vari punti e sommandoli assieme, equalizzando i singoli livelli.

 

Analisi qualitativa di una registrazione commerciale

Può essere interessante a questo punto, guardare in dettaglio qualche brano tratto da incisioni vecchie e nuove, commerciali e audiophile, osservando se effettivamente qualcosa cambia, a livello di spettro e risposta, tra l'una e l'altra. Le tracce in esame sono tutte estratte dal supporto CD originale, per mantenere costante la fonte di acquisizione e il formato.

Per comprendere meglio cosa differisce tecnicamente tra questi è utile vedere graficamente il loro spettro e leggerne il contenuto energetico: il contenuto energetico non è la dinamica ma dalla sua distribuzione sulla banda dipende, in buona parte, anche il colore del suono, cioè la sua sonorità calda oppure brillante. Tuttavia una semplice analisi strumentale come questa non è indicativa di come potrà suonare realmente il pezzo, fornisce però alcune utili indicazioni.

I brani scelti sono quattro:

  1. Patricia Barber, Too rich for my blood, da Cafè Blue, 2004, Premonition Records
  2. Chet Baker Trio, Love for sale, da Chet's Choice, 1985, Criss Cross Jazz
  3. Josef Strauss, Magic bullets fast polka, da Super Test CD, 1997, Telarc
  4. Eros Ramazzotti, Musica è, dal disco omonimo, 1988, DDD/BMG

Nota: il grafico di analisi energetica per frequenza usa la scala lineare, senza la correzione logaritmica, esprime quindi il reale livello energetico del brano.

 

La registrazione ad Alta Fedeltà

 

La registrazione ad Alta Fedeltà

 

1. Il disco della Barber è uno dei migliori in commercio dal punto di vista tecnico e sonico, la gamma dinamica è tra le più ampie in assoluto con punte che superano i 32 dB. Il timbro tende al calore ma non perde in luminosità. Osservando lo spettro semplice della traccia scelta, notiamo due cose: il livello medio di registrazione è stato mantenuto insolitamente basso, ciò per garantire l'ampia escursione dinamica che serviva e che effettivamente ritroviamo. Esiste però anche un difetto: la parte finale del brano, a partire dal quinto minuto circa, è fortemente saturata, come mostra la tosatura del livello. Da quel punto in poi la sonorità cambia e diventa fastidiosa, s’indurisce in maniera avvertibile e si impasta, pur mantenendo di base il timbro caldo e luminoso proprio del brano. Questo taglio è presente sia nella versione CD che LP, vuol dire che a saturare era probabilmente già il master 2 tracce ricavato per le stampe. E che la registrazione originale multitraccia possedeva una dinamica certamente maggiore, difficile da contenere in due soli canali stereo. Avrebbero potuto evitare questo inconveniente abbassando ulteriormente il livello medio di registrazione sul master, ma questo poi avrebbe potuto creare qualche limite di utilizzo a molti utenti finali, oppure ridurre la dinamica massima con una sapiente compressione. Ma evidentemente hanno preferito accettare un po' di distorsione ma non soffocare il bel respiro dinamico dell'incisione originale. E su questo mi trovo pienamente concorde. Uno sguardo al grafico energetico, ci mostra una distribuzione molto regolare e uniforme, con un andamento discendente molto dolce.

 

La registrazione ad Alta Fedeltà

 

La registrazione ad Alta Fedeltà

 

2. Questo CD di Chet non è molto noto, ma trovo contenga diversi pezzi davvero notevoli per qualità artistica e una registrazione niente male. Non è un disco audiophile ma potrebbe esserlo tranquillamente. Ho scelto la traccia 7, la più bella a mio avviso. L'incisione è vecchio stampo analogico, come ci mostrano lo spettro e la figura energetica, dove si nota anche una certa carenza in gamma più acuta. Questo però non si traduce in un suono buio e poco vivace, anzi, il suono è molto morbido e tendente al caldo ma brioso, complice l'andamento energetico molto orientato verso il basso-mediobasso, con una zona acuta quasi assente ma che all'ascolto non risulta affatto spiacevole. Merito dell'equilibrio tra le gamme e le dinamiche di cui dicevamo sopra e un gain di registrazione originario non eccessivo.

 

La registrazione ad Alta Fedeltà

 

La registrazione ad Alta Fedeltà

 

3. Un Test CD non poteva mancare in questo tipo di analisi e ho preferito un Telarc AAD, tra quelli che suonano meglio. Tutto il disco ha un suono bello e pulsante, piacevolmente old style. La traccia selezionata è la 14, un brano di classica piuttosto spinto dove vengono fuori però i limiti di un master analogico vecchio tipo, che non permetteva escursioni dinamiche troppo elevate, pena un’eccessiva comparsa di soffio di fondo dovuto alla modulazione del nastro. Infatti questo pezzo presenta evidenti segni di clipping in corrispondenza dei picchi più alti e, come mostra lo spettro grafico, non è stato possibile scendere troppo con il livello di registrazione minimo, a causa del soffio del nastro. Qui la saturazione, diversamente dal disco 1, è presente quasi certamente già sul master originale e anche qui si è preferito lasciare tutto com'era anziché correggere con un soft clipping che, se ben calibrato, avrebbe giovato al senso di naturalezza, penalizzando però quella sensazione d’impatto dirompente tipica di questa traccia. Ma, trattandosi di un CD test, avranno pensato bene che lasciarlo così avrebbe fatto certo più scena.

 

La registrazione ad Alta Fedeltà

 

La registrazione ad Alta Fedeltà

 

4. Come ultimo tester, un CD commerciale di larghissima diffusione all'epoca, confezionato dunque per suonare un po' in ogni genere di stereo e condizione: il compatto casalingo, il walkman a cassette – siamo negli anni ’80 – l'autoradio, il boombox con l'immancabile equalizzatore e il loudness. La fedeltà non era certo la priorità in questo caso... E infatti, pur derivando il CD da una produzione di major discografica, la resa sonora è molto scadente: suono aspro, compresso, confuso e nessuna separazione. Eppure il master originale doveva essere certamente di qualità, se non altro perché prodotto in studi dotati di strumentazione seria e da cui sono usciti tanti altri lavori decisamente migliori, sotto il profilo tecnico. I grafici in questo caso dicono poco, se non che il livello di registrazione medio appare il più alto fra i quattro e la risposta energetica molto ripida.

 

In conclusione, abbiamo visto che risposta in frequenza e distribuzione energetica hanno un'influenza limitata nella piacevolezza di ascolto di un registrazione e contribuiscono essenzialmente al colore del suono. Invece un ruolo primario nella resa dei contrasti e nella intelligibilità delle parti lo assolvono la dinamica e la sua modulazione: il rispetto dei tempi e dei livelli. Se uno di questi aspetti è carente, il disco suonerà piatto, senza chiaroscuri e poco naturale.

E va da sé che ciò che manca in partenza non può più essere recuperato in seguito, al massimo si può cercare di ricrearlo, o di compensarlo, come fanno certi amplificatori e sorgenti, che producono una gran quantità di armonici aggiunti, dando l'impressione di restituire “più musica”.

È quindi molto più facile far suonare bene, con buone incisioni, un impiantino equilibrato e molto economico, che un sistema ultra-selezionato e costoso con delle mediocri registrazioni.

La registrazione ad Alta Fedeltà,<br />entriamo dei misteri dello studio...
La registrazione ad Alta Fedeltà,
entriamo dei misteri dello studio...
Nastro, vinile e CD, i supporti
Nastro, vinile e CD, i supporti "fisici" ancora più accreditati
Spettro Patricia Barber, Too rich for my blood, da Cafè Blue, 2004, Premonition Records
Spettro Patricia Barber, Too rich for my blood, da Cafè Blue, 2004, Premonition Records
Contenuto energetico Patricia Barber, Too rich for my blood, da Cafè Blue, 2004, Premonition Records
Contenuto energetico Patricia Barber, Too rich for my blood, da Cafè Blue, 2004, Premonition Records
Spettro Chet Baker Trio, Love for sale, da Chet's Choice, 1985, Criss Cross Jazz
Spettro Chet Baker Trio, Love for sale, da Chet's Choice, 1985, Criss Cross Jazz
Contenuto energetico Chet Baker Trio, Love for sale, da Chet's Choice, 1985, Criss Cross Jazz
Contenuto energetico Chet Baker Trio, Love for sale, da Chet's Choice, 1985, Criss Cross Jazz
Spettro Josef Strauss, Magic bullets fast polka, da Super Test CD, 1997, Telarc
Spettro Josef Strauss, Magic bullets fast polka, da Super Test CD, 1997, Telarc
Contenuto energetico Josef Strauss, Magic bullets fast polka, da Super Test CD, 1997, Telarc
Contenuto energetico Josef Strauss, Magic bullets fast polka, da Super Test CD, 1997, Telarc
Spettro Eros Ramazzotti, Musica è, dal disco omonimo, 1988, DDD/BMG
Spettro Eros Ramazzotti, Musica è, dal disco omonimo, 1988, DDD/BMG
Contenuto energetico Eros Ramazzotti, Musica è, dal disco omonimo, 1988, DDD/BMG
Contenuto energetico Eros Ramazzotti, Musica è, dal disco omonimo, 1988, DDD/BMG

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