Lady Blackbird | Black Acid Soul

10.06.2022

“Superior stabat lupus” scriveva Fedro in una delle sue famose fiabe pedagogiche. Una posizione dominante si merita Marley Munroe, in arte Lady Blackbird, che con un disco come questo Black Acid Soul può sbaragliare quasi tutte le cantanti soul-jazz di questi ultimi anni, a eccezione forse della sfortunata Amy Winehouse, di cui la Munroe sembra la versione 2.0. Il suo canto sa essere così toccante, malinconico, disperato e deflagrante che francamente faccio fatica a trovare dei paragoni calzanti sulla scena musicale odierna, per cui posso solo riferirmi a esempi del passato. La voce potente e dolce nello stesso tempo, roca quanto basta, lavora principalmente in un registro contralto, tanto che timbricamente possiamo collocarla in una via di mezzo tra Nina Simone e Mahalia Jackson. Quando invece si toccano gli acuti più squillanti e rabbiosi allora il nostro pensiero corre ad Aretha Franklin e alla presenza ferina di Tina Turner. Anche perché il divario qualitativo tracciato da Lady Blackbird con questo suo tribolato album ho l’impressione che non sarà tanto facilmente colmabile nel prossimo futuro.

 

Questo lavoro, in realtà, lo si deve alla stretta collaborazione tra la cantante e Chris Seefried, musicista ma soprattutto produttore con il fiuto giusto che si innamora dello spontaneo – Lady Blackbird è un’autodidatta – magistero esecutivo della Munroe. La pandemia e le sue conseguenze bloccano l’uscita del disco per più di due anni fino a quando, nel settembre dell’anno scorso, finalmente avviene la pubblicazione.

Le undici tracce che compongono Black Acid Soul sono in prevalenza rifacimenti di brani che non possiamo chiamare standard, in quanto sono riproposizioni del repertorio di autori diversi, alcuni dei quali poco conosciuti dalle nostre parti. Ma anche dove, ad esempio nella traccia iniziale, si rivisita una famosa canzone di Nina Simone, l’operazione si svolge in piena, personale autonomia creativa, come del resto è riscontrabile per tutti i riarrangiamenti di musiche altrui che troveremo nell’album. Il tono generale di questo disco si snoda tra melodie insidiose, istanze malinconiche, subitanei picchi di rabbia e qualche accenno romantico, il tutto ottimamente suonato e partecipato da un gruppo di validi musicisti.

Accanto all’uncinante voce di Lady Blackbird troviamo una band composta dal già nominato Chris Seefried alla chitarra, Deron Johnson al piano e tastiere elettroniche, Jon Flaugher al contrabbasso, Jimmy Paxson alla batteria e Troy Andrews alla tromba.

 

Lady Blackbird - Black Acid Soul

 

Andiamo quindi alla prima traccia, la già segnalata Blackbird, composta da Nina Simone e H.E. Sacker, pubblicata in Nina Simone With Strings, LP del 1966. Questo brano divenne una sorta di inno per i diritti civili e la Munroe ne rispetta in parte la forma ritmica originale, ripescandone l’accompagnamento battente giocato con scampoli di batteria e una specie di bordone di contrabbasso, a dare l’impressione quasi di una danza rituale. Ma la versione della Blackbird introduce delle modulazioni armoniche che il brano della Simone non aveva, ad esempio scivolando dal I al IV e al VI grado, con la compartecipazione del piano che sgocciola alcune liquide note sulla direzione della linea melodica.

Segue un'altra cover, It’s Not That Easy, un brano uscito nel 1967 e pubblicato da Reuben Bell & The Casanovas, un autentico lentaccio strappamutande a cui Lady Blackbird toglie ogni parvenza di dolcezza, immedesimandosi nell’energia irradiante di una Tina Turner. Organo, contrabbasso e pianoforte mandano la batteria in soffitta e bastano da soli per mantenere intatta la quasi oltraggiosa sensualità del canto.

Ma è Fix It, il vero capolavoro dell’album. Nasce dalla riproposizione dell’iconico brano di Bill Evans, Peace Piece, che appare per la prima volta nel 1958, all’interno di Everybody Digs Bill Evans. Lo stesso dondolio armonico completamente modale ricomparirà in forma leggermente diversa e con il titolo Flamenco Sketches nell’epocale album Kind of Blue del 1959. Il brano nasce spontaneamente, con la stessa Munroe a improvvisarci un testo, accompagnata dal timbro scintillante del piano di Johnson. La sua voce è fantastica, lavorata su toni mediobassi e con puntate moderate sugli acuti di modo che il brano si trasformi in una piacevole, perdurante carezza.

Ruler of My Heart è ancora una cover di un brano portato alla ribalta da IrmaThomas, presente nell’album Too Soon To Know del 1962 e firmato da Naomi Neville e Allen Toussaint. Rispetto all’originale il tempo appare leggermente più rallentato e reso nella veste asciutta drumless, ma con un paio di accordi d’organo che compaiono nella seconda parte della traccia. Notevole la presenza del piano, vero centro armonico attorno a cui può ruotare con tranquillità sia il canto che il diligente contrabbasso di Flaugher.

Nobody’s Sweetheart è invece una canzone nuova – anche se non nel titolo – scritta da Seefried, che dimostra le sue doti di chitarrista fornendo, con pochi ma azzeccati accordi insieme al contrabbasso, la rarefatta e fumosa atmosfera di un locale notturno com’è nel nostro immaginario. Munroe la canta bene, come sempre, ma la scena le viene rubata dall’assolo di tromba di Andrews con uno strumento suonato senza alcun riverbero che contribuisce al mood cantinaro e raccolto della canzone.

Si torna alle cover e questa Collage è veramente una scelta molto strana. Il brano era dei James Gang, fu scritto da Joe Walsh e apparteneva all’album Yer Album del 1969. Forse uno dei brani qualitativamente meno buoni, non tanto per l’interpretazione di Lady Blackbird, ma perché proprio l’originale aveva una costruzione melodica non brillantissima, appesantita dai violini che in questa circostanza vengono sostituiti dal mellotron. L’atmosfera generica è un po’ più cupa per l’intervento di percussioni timpaniche accoppiate a un carnoso giro di contrabbasso.

Five Feet Tall è invece un brano nuovo, composto per l’occasione. Una classica, fantastica jazz ballad con l’immancabile brushing di batteria e con un assolo incrociato e simultaneo di contrabbasso e chitarra, assolutamente misurato e soppesato con cura.

Lost and Looking è una cover di un brano di Sam Cooke estrapolato dall’LP Night Beat del ’63. Lady Blackbird rispetta profondamente la stesura del pezzo conservandone l’aspetto di blues ballad che aveva in origine. Ma se il brano di Cooke restava essenzialmente concentrato su basso e voce, qui viene aggiunto un coretto delizioso a metà brano e sul finire. Inoltre, c’è un grande assolo di piano supportato da un vibrafono delicatissimo, insomma veramente un bell’arrangiamento fatto con criterio, senza inutile desiderio di stupire.

La seconda vera gemma del disco, dopo la già citata Fix It, è una splendida versione di un brano di Tim Hardin, It’ll Never Happen Again, estratto dal suo primo LP del 1966. Direi che questa prova mi sembra addirittura molto migliore dell’originale, senza l’ingombro micidiale dei violini che Hardin aveva utilizzato. La musica è ben scandita, ariosa e lavorata all’osso dalla voce eccezionale – dobbiamo rimarcarlo – della cantante, qui molto somigliante a una Winehouse con l’innesto di un turbo, e dal pianoforte di Johnson, sempre prodigo di note premurose.

Altra cover è Beware The Stranger, che viene dalla ri-scrittura di Curtis Mayfield, avendo egli lavorato su un brano originale dei Krystal Generation, rieditato negli anni ’70 con il titolo di Dead or Alive e portato al successo da The Voices of East Harlem. Splendido frammento di puro soul con tanto di coro accattivante con un inizio gestito dal solito, generoso contrabbasso di Flaugher.

Chiude Black and Acid Soul, esclusivamente strumentale, che lo si ricorda per qualche invenzione estemporanea, tipo l’archetto sul contrabbasso, il vibrafono – naturale o elettronico che sia – e poi un assolino di tastiera accompagnato da un breve coro sicuramente anch’esso campionato. Tutto molto suggestivo, che chiude in bellezza senza barocchismi né particolari ridondanze ma con un secondo coro, vero questa volta.

 

Lady Blackbird

 

Così va a concludere un disco ricco di spigolosi rhythm & blues, soul fluorescenti, torch songs, tutti immersi nell’idea profondamente jazzy di un gruppo di musicisti adatti a dar risalto alla voce urbana di Lady Blackbird, che sembra sempre provenire da quel locale laggiù, in fondo alle scale, dove suonano sempre buona musica per pochi appassionati.

 

Lady Blackbird

Black Acid Soul

CD e vinile BMG 2021

Reperibile in streaming su Qobuz 24bit/44kHz e Tidal MQA

di Riccardo
Talamazzi
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