Macchine da musica | conclusione

Il progetto come opera d'arte e sfida intellettuale
14.01.2013

 

Alla terza parte di questo articolo

 

Vi propongo un esercizio.

 

Cliccate sulla nostra pagina Redazione. A parte un paio di eccezioni, Silvia De Monte e il sottoscritto, che raccontano di sé e delle proprie passioni, ma non del proprio "stereo", troverete la descrizione degli impianti cui una serie di appassionati fa letteralmente "riferimento" per gli ascolti.

Come in ogni rassegna di questo tipo, troverete una notevole varietà e una diversità di impostazione, diciamo pure di "gusto" degli impianti.

In alcuni casi, Rocchi, ad esempio, abbiamo addirittura una duplicazione formale: un impianto valvolare con casse ad alta sensibilità e un impianto a semiconduttori con casse a sensibilità medio-bassa.

Tutti conosciamo le "guerre di religione" in cui si trovano invischiati gli audiofili. Valvole contro transistor, trombe contro radiazione diretta e, in quest'ultimo campo, dinamici contro elettrostatici/planari ecc. Per non parlare di sorgenti puntiformi contro lineari e variamente distribuite sino alle omnidirezionali. Di vinile contro CD. Se non addirittura di vecchi nastri analogici contro musica liquida, con o senza compressione!

 

Facciamo finta di poter osservare il fenomeno dall'esterno: come se riguardasse qualcun altro.

 

Negli articoli precedenti abbiamo detto che la nostra passione non riguarda una riproduzione dell'evento musicale "reale". La cosiddetta musica "riprodotta" fa riferimento invece a una rappresentazione.

Vi faccio fare un salto su un sito "concorrente", l'interessantissimo Confessions of a Part-Time Audiophile, in particolare su questa pagina. Cercate un po' in basso, dove si vedono due immagini di una ragazza dai capelli rossi. L'autore mette a confronto una fotografia e un accuratissimo disegno, facendo poi notare a qualunque sprovveduto che abbia preso la foto per il proprio riferimento "reale" che un volto è reale, ma che la sua foto o il suo disegno sono soltanto due modi di rappresentarlo. Ognuno con le sue regole, con la sua estetica. Naturalmente è assolutamente legittimo scegliere quali siano i parametri cui si conferisce maggiore importanza: forse non per produrre l'illusione di un evento reale, ma per percepire quegli "indizi" che rendono un evento musicale significativo.

 

Marino Mariani ci ha spiegato che il grammofono e l'alta fedeltà non sarebbero mai divenuti tali se non ci fosse stata la voce di Enrico Caruso.

 

Norman Lebrecht ha descritto il fenomeno comunicativo del “mito del maestro” come un argomento promozionale intimamente connesso all'avvento del disco in quanto prodotto commerciale, anche qui con un paio di casi esemplari, Arturo Toscanini e Heribert Ritter von Karajan, detto Herbert. Se vi interessa l'argomento non perdetevi questo prezioso libro uscito vent'anni fa: Norman Lebrecht, Il mito del Maestro. I Grandi Direttori d'Orchestra e la loro lotta per il potere, Milano, Longanesi & C., 1992.

 

Sergiu Celibidache fu direttore d'orchestra del tutto straordinario, predecessore di Karajan ma soprattutto successore di Wilhelm Furtwängler alla guida dei Berliner Philharmoniker. A pochi anni dalla sua morte, nel 1996, relativamente pochi, anche tra gli appassionati, ne conoscono il nome. Perché Sergiu Celibidache, laureato in matematica e in filosofia all'Università di Bucarest, non credette mai al disco? Ebbe addirittura a dire che “fare dischi è come andare a letto con la fotografia di Brigitte Bardot”. Sergiu Celibidache interpretava ed eseguiva musica: non gli interessava rappresentarla. Una scelta estremamente controcorrente, che verosimilmente costerà alla sua memoria futura molto più di quanto non gli sia costata in vita. Non si trattava di un capriccio. Celibidache sapeva che l'esecuzione musicale è un evento irripetibile e irriproducibile.

 

Considerate, da audiofili, soltanto un aspetto: l'enorme importanza nel posizionamento dei diffusori acustici e della posizione dell'ascoltatore nell'ambiente d'ascolto. Per l'equilibrio timbrico, per quello tra suono diretto e suono riflesso, per le sue conseguenze sull'immagine sonora, ecc. Immaginate ora, senza fare alcun riferimento a tutti gli altri possibili parametri umani che regolano l'unicità della relazione tra musicisti e pubblico, che lo stesso direttore, la stessa orchestra e lo stesso spartito vengano eseguiti nella stessa sala da concerto. Ma in stagioni e orari diversi... Anche le sole diversità nella temperatura e nell'abbigliamento del pubblico produrranno una differenza importante nel modo in cui le onde sonore vengono trasmesse e riflesse. E queste apparentemente minime alterazioni nel dominio del tempo producono situazioni percettive anche radicalmente differenti. L'esecuzione è un gesto comunicativo vivo e vitale. Certo, suscettibile di una registrazione. Ma la cui qualità, qui intesa in riferimento alla sua capacità di evocare risposte nei fruitori, è estremamente variabile.

 

Ma possiamo definirla ed eventualmente misurarla questa qualità?

 

Nella teoria musicale si distinguono alcune componenti fondamentali del linguaggio musicale. Esse sono melodia, ritmo, armonia, timbro, dinamica e agogica.

Ciascuno si sarà ritrovato a canticchiare tra sé e sé una melodia, la componente più facilmente individuabile della composizione, quella di solito affidata alla voce o al solista. E non sembra richiedere spiegazioni quella periodica regolarità che caratterizza il ritmo, spesso affidato a strumenti percussivi e sulle cui misure si strutturano la musica e la danza. Già più complessa è la definizione di armonia, ambito della teoria musicale che studia il modo in cui i suoni si amalgamano per produrre la tonalità. Accordi e note sono legati e reciprocamente strutturati in principi armonici e melodici. In entrambi i casi, armonia e melodie sono prodotte da strumenti dal diverso timbro: quella serie di rapporti in ampiezza e durata tra fondamentali e armoniche che permettono di distinguere due suoni con uguale intensità e altezza, per esempio emessi dalla tromba o dal pianoforte. Familiare agli audiofili è il concetto di dinamica, che in teoria musicale fa riferimento alla notazione, in partitura, delle intensità sonore. Nel nostro campo, è comune la differenziazione tra le capacità di un sistema di rispettare la microdinamica così come la macrodinamica dell'evento musicale. Ultima, ma non ultima, è la misteriosa agogica, che in teoria musicale è quella componente del linguaggio che regola la velocità di esecuzione di un brano, un parametro della massima importanza per l'esecuzione della musica classica. Perché, se la notazione musicale, lo spartito, prevede istruzioni piuttosto specifiche e vincolanti per quanto concerne la melodia (una definita successione di suoni di diversa altezza e durata), il ritmo (che suddivide il tempo in forme e misure variabili, regolari-simmetriche o irregolari-asimmetriche) e l'armonia, meno stringenti sono le specificazioni possibili riguardo al timbro, come dimostrato dalle infinite polemiche che si sono succedute sull'uso degli strumenti originali. Mentre sono affidate largamente all'interpretazione dell'esecutore le indicazioni riguardanti la dinamica e quelle sulla struttura temporale o agogica, al punto da non poter neppure fare riferimento a uno spartito "astratto", se non nella specifica interpretazione che ne dà un particolare esecutore.

 

In moltissimi casi il parametro su cui sembriamo concentrarci è anche quello di più immediata comprensione: l'equilibrio timbrico di un sistema, riflesso della sua rappresentazione grafica, la risposta in frequenza.

 

Certamente è un parametro essenziale rispetto al timbro. Cui peraltro spesso ci riferiamo in un range limitato di livelli sonori, quelli "medi", simili a quelli raggiungibili dalla voce umana o da strumenti acustici. Sono sistemi estremamente corretti a questi livelli, ma che possono perdere la propria congruenza quando chiamati a riprodurre elevate pressioni sonore, o, viceversa, a livelli bassissimi.

Un limite di cui spesso non teniamo conto è quello del range dinamico effettivamente possibile già in fase di registrazione: più limitato per le apparecchiature anche allo stato dell'arte, e per decine di decibel, rispetto alla dinamica dell'evento sonoro originale.

Indipendentemente dalle patologie introdotte nei prodotti più commerciali, e famose "guerre del loudness", che in certe registrazioni tendono a distruggere la dinamica musicale per l'ottenimento di valori di pressione sonora costantemente elevati, che, si è dimostrato, con tecniche di psicologia comportamentista, hanno maggiore successo commerciale, anche le registrazioni "audiofile" sono necessariamente caratterizzate da una più o meno presente compressione. Qui si tiene conto dei limiti dell'apparato di registrazione e di quelli medi utilizzati per la riproduzione in modo diverso a seconda del destinatario. Un modo non casuale, ma scientifico, dunque sistemico: l'ingegnere del suono non terrà conto soltanto del vostro impianto medio, ma anche dei livelli medi di rumore con cui confrontarsi... Molto diverso a seconda che siate dotati di una stanza d'ascolto dedicata, che ascoltiate con le cuffiette mentre fate jogging in mezzo al traffico o che dobbiate tenere conto del livello base di rumore nell'abitacolo della vostra automobile.

 

La compressione introduce forme di distorsione del tutto differenti da quelle con cui usualmente facciamo i conti in alta fedeltà.

 

Può per esempio alterare del tutto, semplicemente cambiandone i volumi reciproci, i rapporti tra melodia, ritmo e armonia, anche quando riesca a rispettare il timbro degli strumenti. Una delle ragioni che continua ad alimentare la passione per impostazioni dell'estetica sonora apparentemente "vintage" è legata a funzioni di espansione della dinamica che vengono prodotte da taluni sistemi valvolari coniugati a trasduttori ad alta sensibilità. Espansione della dinamica che approssimativamente compensa la compressione della registrazione!

 

Sistemi elettrostatici o planari che necessitano di migliaia di watt per muoversi, purtroppo talora senza neanche il corredo di una tenuta in potenza tale da produrre davvero pressioni sonore elevate, magari per tempi brevissimi, possono produrre la percezione di una elevatissima trasparenza, percepita peraltro come artificiale, proprio perché non rispettosa di rapporti dinamici tra strumenti diversi, anche quando particolarmente idonea a una buona riproduzione degli aspetti timbrici: melodia, ritmo e armonia sono tutti essenziali per una corretta riproposizione della tonalità.

 

Tra tutti i parametri che regolano il linguaggio musicale quello che la tradizione occidentale ha meno formalizzato è senz'altro quello temporale.

 

L'introduzione dei ritmi metronomici è relativamente recente: J. S. Bach non compose per pianoforte, perché il pianoforte non esisteva, e per una analoga ottima ragione, non esisteva neppure il metronomo, non specificò mai il tempo metronomico all'inizio delle sue composizioni. Tutta la sua musica, come per esempio anche tutto il repertorio antico, canto gregoriano compreso, sono stati concepiti per essere eseguiti secondo un ritmo naturale.

Qualcosa che ci dice quanto profonde siano le ragioni per l'altra storica divisione che divide il campo audiofilo, quella tra l'analogico e il digitale, con quest'ultimo che solo molto di recente sembra aver compreso che i bit debbano essere forniti al convertitore digitale-analogico con un rispetto assoluto per la loro "puntualità" – il jitter! – e, forse, non ancora del tutto che essi "viaggiano" su un supporto di per sé "analogico" nella sua natura, la corrente, la cui qualità e la cui costanza producono effetti di rilievo sconcertante all'ascolto.

 

Insomma, guardati dal di fuori, gli audiofili non sembrano così strani: se stiamo davvero a sentire quel che hanno da dire, troveremo che tutti hanno un po' ragione. Che tutti fanno “necessariamente” attenzione a parti specifiche del linguaggio musicale, forse in relazione alla diversa importanza soggettiva che per ognuno di loro riveste quella parte del linguaggio della musica, nel conferire significato all'esperienza dell'ascolto. Un'esperienza che sarà sempre differente dall'evento reale e che verosimilmente migliorerà, insieme alle capacità della tecnologia di rispettare contemporaneamente più parametri, tutti importanti.

 

Parametri che, scientificamente, saremo in grado di studiare solo se e quando saremo stati in grado di comprenderli, di descriverli e formalizzarli.

 

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Enrico Caruso
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Elbie e Norman Lebrecht
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Arturo Toscanini
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Herbert von Karajan
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Sergiu Celibidache
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Wilhelm Furtwängler
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di Angelo N. M.
Recchia-Luciani
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