Macchine da musica | terza parte

Il progetto come opera d'arte e sfida intellettuale
10.12.2012

 

Alla seconda parte di questo articolo

 

Dead can dance

Il titolo di questa serie di articoli si deve al fatto che quelle del nostro hobby, o piuttosto della nostra passione, sono effettivamente macchine.

Il termine, derivazione del latino machina, fa riferimento in una delle sue accezioni a qualunque “dispositivo, che incorpora meccanismi più o meno complessi, atto a svolgere una determinata funzione”. Inoltre, nell’ambito della riproduzione musicale, ritroviamo almeno due tipologie di trasduttori. I primi assimilabili a macchine motrici o motori “che trasformano in lavoro meccanico energia elettrica”. Questi per noi sono gli altoparlanti, ad esempio. I secondi assimilabili a macchine generatrici o generatori, che, “inversamente alle precedenti, trasformano lavoro meccanico in energia elettrica”. Questi ultimi sono i microfoni e naturalmente anche la testina del vostro amato giradischi analogico. Quasi superfluo specificare che le catene di amplificazione rientrano nella classe delle macchine elettriche.

 

Ora, le macchine vengono pensate, immaginate e soprattutto progettate da ingegneri: non da musicisti, non da ascoltatori, né da recensori, consulenti o rappresentanti commerciali. Lo precisano implicitamente i nostri Direttori nella sezione Metodo di questa rivista ed esplicitamente l’altrettanto famoso John Atkinson, editor di Stereophile, a proposito del leggendario John Curl, un “Engineer”, appunto.

John Curl, per i più giovani, è uno di quelli che potrebbero dire ad alta voce “io sono leggenda”, come recitava il titolo del film interpretato da Will Smith. Gli audiofili ne conoscono i classici disegni per la primissima e mitica produzione del Mark Levinson JC-2, per il preamplificatore phono Vendetta Research, duecento esemplari fatti a mano, considerati altrettante repliche di un’opera d’arte, o per il misterioso preampli linea CTC Blowtorch. Più di recente, per eccellenti prodotti disegnati per Parasound, la serie Halo, o per i nuovissimi incredibili Constellation.

 

John Curl, però, inizia la propria carriera disegnando strumenti professionali e, specificatamente, registratori a bobine per la Ampex. Dopodiché è tra gli autori di uno dei più incredibili strumenti musicali mai prodotti nella storia: The Wall of Sound, il sistema di sonorizzazione che l’ingegner Owsley "Bear" Stanley disegnò per i concerti dal vivo dei Grateful Dead. The Wall of Sound fu progettato con un obiettivo estremamente ambizioso: produrre volumi sonori e avere caratteristiche di dispersione tali da poter essere utilizzato per i concerti, con livelli di distorsione tipici invece di un sistema di monitoraggio.

The Wall of Sound dunque non fu un sistema per la riproduzione della musica, ma piuttosto un sistema per la sua produzione: dunque, uno strumento musicale. E anche gli strumenti musicali sono ovviamente macchine, certamente ispirate, suggerite, richieste dai musicisti, ma progettate da ingegneri.

 

Nella presentazione dello Steinway Lyngdorf Model D, l'unico sistema High-End che si fregia del marchio Steinway – sì, proprio quella dei pianoforti – Peter Lyngdorf parla degli uomini che produssero l’ultimo pianoforte per Franz Liszt. Già Beethoven chiedeva ai costruttori pianoforti più robusti perché al termine di ogni concerto erano inutilizzabili.

Le esecuzioni di Liszt, che iniziava i concerti sfilandosi guanti che gettava al pubblico, una mossa mai tentata neppure da Michael Jackson, compromettevano definitivamente la sopravvivenza acustica di un fortepiano. Perché il fortepiano ottocentesco ha un'arpa in legno al suo interno e spesso nessun tipo di rinforzo metallico. Questo perché il telaio su cui sono montate le corde del pianoforte a coda ha la stessa morfologia e funzione di un’arpa e nel pianoforte verticale questa viene costruttivamente "piegata in due". Sollecitata all’estremo, la struttura in legno si deformava in modo tale da rendere impossibile una riaccordatura perfetta e sufficientemente stabile, perché le corde di un’arpa sono pizzicate, quelle del pianoforte colpite con martelletti, anche con grandissime accelerazioni, e questo dipende dal pianista.

Come verificherete su Wikipedia, all’inizio del XX secolo la Steinway & Sons di New York introdusse un’autentica rivoluzione tecnologica: il pianoforte con il telaio in ghisa. E lo fece grazie a ingegneri e fisici di prima grandezza, come Hermann von Helmholtz, straordinario homo universalis, medico, fisiologo e fisico tedesco. Ma, dirà il pessimista-conservatore, uomini come von Helmholtz non ne nascono più. Certo, ne nascono di diversi e diverse sono le loro “creature”. Cercate, per esempio, notizie su un ingegnere italiano che oggi si permette il lusso di togliere qualche notte di sonno agli uomini di Steinway & Sons. Cercate “Ing. Paolo Fazioli” insieme alla voce “pianoforte”. Ne scoprirete delle belle.

 

Torniamo alle macchine per riprodurre – e non per produrre – la musica sulla base di una considerazione così ovvia che pochi di noi ci fanno caso: nella nostra epoca la “musica”, nel senso comune, è musica riprodotta, molto più che non musica prodotta dal vivo. Come invece è stato fino a circa un paio di secoli fa. Benché, tra gli effetti paradossali che la rivoluzione digitale ha portato nel mercato della musica registrata, vi sia, almeno per i grandi artisti internazionali, il ritorno a una redditività dei concerti dal vivo: perché quelli, almeno, difficilmente arrivano illegalmente su Internet con una velocità proporzionale alla fama dell’autore.

 

Che tipo di strumenti permettano la registrazione e la riproduzione della musica naturalmente è cosa nota ai miei lettori: devono essere qui per questo. E non mi soffermerò a raccontarne la storia: vi indicherò dove trovarne qualche traccia su Internet, per esempio nel dotto articolo di Marino Mariani, indimenticato Direttore di Audiovisione.

 

Mi soffermerò però su un principio. La definizione di Sistemi Trascendenti.

 

Molti, molti anni or sono, in un editoriale intitolato Dr. Kreisel ad Parnassum (Audiovisione, N. 44, 1980) lo stesso Marino Mariani introdusse il concetto di cassa acustica trascendente. Il presupposto era che il suono prodotto dai sistemi high fidelity fosse “uguale al suono reale” e destinato soprattutto a suscitare le stesse emozioni psicoacustiche quando fossero uguali gli spettri di distribuzione energetica, cioè quando il suono riprodotto fosse globalmente e strutturalmente uguale all’evento musicale originale. I due presupposti alla base di questa affermazione erano: 1) la capacità di registrazione numerica senza limitazioni di larghezza di banda e di livello dinamico e 2) la possibilità di costruire le cosiddette casse acustiche trascendenti, definite tali in quanto capaci di “dare risposta sin dalla corrente continua di 0 Hz e di produrre livelli di ascolto superiori a 100 dB al di sotto dei 30 Hz”.

 

Sono passati circa trentadue anni da quando queste affermazioni sono state pubblicate. Molta, moltissima acqua è passata sotto i ponti. In questi anni è stato innanzitutto messo in discussione il principio posto a fondamento di queste affermazioni. Quello che è divenuto chiaro è che l'esperienza dell'ascolto della musica dal vivo è qualcosa di completamente differente dall'ascolto di musica riprodotta. Innanzitutto perché lo stesso processo di "cattura" dell'evento musicale, la registrazione, è una forma di rappresentazione.

Senza mettersi a fare complicate disquisizioni linguistiche e filosofiche, diremo che è possibile fare un confronto tra diverse riprese fotografiche. Se sfogliate i vecchi numeri della rivista Life riconoscerete facilmente le scelte estetiche, che sono anche il portato di scelte e possibilità tecniche, alla base di una collezione di foto in bianco e nero dalla guerra del Vietnam, col contributo delle Nikon F, piuttosto che di quelle a colori che documentavano le missioni Apollo, ottenute con la Hasselblad. Foto del tutto differenti da quelle prodotte, in quegli anni così come in quelli successivi, dai grandi fotografi di National Geographic. E ovviamente sempre radicalmente differenti da quelle di ciascuno dei grandi artisti della macchina fotografica. Non c'è bisogno di essere un esperto: anche chi non capisca nulla di fotografia nota facilmente uno “stile” che rende tra loro riconoscibili le foto di Henri Cartier-Bresson rispetto a quelle di Edward Weston, quelle di Robert Capa rispetto a quelle di Franco Fontana. In tutti i casi, solo uno scimunito riterrebbe che il parametro con cui confrontarsi sia la “scena reale” che la foto documenta. Anzi: la foto di un vero maestro è tale perché ti consente di osservare il reale con occhi diversi dai tuoi. Di osservare cose che tu non saresti riuscito a vedere neppure se avessi guardato direttamente!

 

Viene meno l’idea stessa che sia possibile riprodurre in ambiente domestico spettri di distribuzione energetica analoghi a quelli di un evento musicale reale, perché si affaccia l'idea che l'ingegnere del suono responsabile prima della ripresa, poi del mastering – non sempre lo stesso soggetto, indipendentemente dalle operazioni di remastering – operi sempre delle scelte tecniche ed estetiche che fanno della sua opera una vera e propria interpretazione dell'evento sonoro. Interpretazione che diviene a propria volta il campo in cui vengono giocate le nostre scelte riguardo all'intero sistema destinato alla riproduzione, nell'irrinunciabile rispetto di tutte le condizioni a contorno. A cominciare dall'ambiente destinato all'ascolto e dalla sua messa a punto: Jim Smith docet!

 

A parte la spontanea tendenza umana a dividersi in fazioni per poi condurre guerre di religione, è proprio questo che fa sì che esistano scuole di pensiero nell'ambito della riproduzione, nessuna delle quali possieda una qualche ultima "verità" e indipendentemente dai livelli di costo dei propri oggetti del desiderio. Perché, semplicemente, esistono molti grandi fotografi. Ma, ragionevolmente, niente come il "miglior fotografo del mondo". Come sarebbe ridicolo parlare del "miglior piatto del mondo", del "miglior profumo" e così via.

 

Allora, va bene tutto? Assolutamente no.

 

Il raggiungimento di determinati livelli di accuratezza nella riproduzione del suono è una sfida ingegneristica. Abbiamo parlato di John Curl: sono stati i suoi articoli, insieme a quelli di Matti Otala, Walt Jung, Eero Leinonen (PDF) ad aprire la strada a metodiche di verifica delle forme d’onda che hanno permesso l’individuazione di tipologie di distorsione prima considerate immisurabili, e, infine, a una nuova metodologia di controllo del conseguimento degli obiettivi di progetto. Chiunque si sia interessato anche solo marginalmente all’Hi-Fi o all’High-End o all’High Performance Audio, come si usa dire ora, conosce la diatriba tra “misuroni” e “ascoltoni”.

 

Ci ritorneremo. Oggi, invece, proporrò la possibilità che sia possibile misurare non soltanto le prestazioni di una macchina da musica, ma piuttosto, come sembra ovvio dalla mia formazione – ho studiato medicina, neurologia e radiodiagnostica, non ingegneria, e ho scritto di neuroradiologia, psicologia, biosemiotica – quali diverse risposte fisiologiche possono essere indotte in un ascoltatore dall'utilizzazione di diversi apparati per la riproduzione del suono.

 

In un vecchio articolo, Musica per la pelle, scritto per la rubrica L’Amateur Professionnel sulla rivista Suono, ho già accennato alla possibilità che la musica riprodotta, in forte dipendenza dallo specifico irripetibile momento e dalle modalità con cui la ascoltiamo, e alla specifica significatività che un particolare brano assume per noi, possa provocare una risposta emotiva. Risposta emotiva che potrà sembrare un po' misteriosa agli ingegneri, ma che invece è relativamente facile da misurare per un neurofisiologo.

Alcuni parametri, come la frequenza del battito e quella del respiro o la conducibilità cutanea, riflettono accuratamente una risposta emotiva, come è divenuto molto noto dall'uso oramai pluridecennale delle famosissime macchina della verità. La macchina della verità, infatti, non può "leggere la mente": semplicemente registra e misura una reazione emotiva da stress, innescata da una risposta falsa a una domanda specifica. La macchina della verità funziona perché è sensibilissima, per esempio, al cambio di conducibilità elettrica, che precede il fenomeno delle "mani sudate", quando stiamo raccontando una bugia. Addirittura, quando ci prepariamo a mentire. In soggetti non specificamente addestrati, questa reazione è completamente al di fuori del controllo cosciente.

Così, sistemi che dimostrino in modo consistente, cioè ripetibile e verificabile in più soggetti, di riuscire a "mettere i brividi", a far venire la pelle d’oca, quel fenomeno che gli americani chiamano goosebump, almeno in linea teorica possono essere suscettibili di un confronto basato su misure nelle alterazioni indotte nella conducibilità elettrica cutanea. O nell'accelerazione del battito. O del ritmo respiratorio. È divenuto comune tra i recensori sorvegliare le risposte non verbali all'ascolto: sia le proprie che quelle degli altri presenti. Hai detto che il tale ampli andava così-così... Ma avresti dovuto vedere la faccia che hai fatto quando l’ho attaccato!

 

Si tratta di un parametro molto importante, perché un sistema capace di emozionare impedisce anche al più maniaco degli appassionati di riflettere troppo sui miglioramenti e sulla ulteriore messa a punto di cui il sistema avrebbe sempre comunque bisogno, proponendo in modo spontaneo e naturale una possibilità di contatto con il mondo di significati e di poesia che costituiscono l'intenzione comunicativa del musicista o del compositore.

 

Ora, trascendere letteralmente l'impianto, per entrare in contatto con la Musica, è la prima delle caratteristiche che propongo per la nuova definizione di Sistemi Trascendenti. E parlo di sistemi e non di sole casse acustiche, perché la capacità di risoluzione e la trasparenza relativa che ogni componente di un impianto ha raggiunto in questi decenni fa sì che l'approccio sistemico, quello per cui il tutto è maggiore della somma delle sue parti sia del tutto irrinunciabile. È un pilastro della scienza dei sistemi complessi, spiegabili sempre e solo in termini di proprietà emergenti: “Il comportamento emergente è la situazione nella quale un sistema esibisce proprietà inspiegabili sulla base delle leggi che governano le sue componenti. Esso scaturisce da interazioni non-lineari tra le componenti stesse”.

 

A un livello ulteriore, quello cui si pongono i relativamente rari autentici Capolavori Esoterici, propongo la possibilità che il sistema evochi una esperienza di flusso, detta anche esperienza ottimale, un fenomeno spesso osservato nella trance agonistica. Fu osservato e descritto dallo psicologo Mihály Csíkszentmihályi nel 1975 e accomuna sportivi e musicisti. Che possono scoprirlo in un confronto diretto, come quello avvenuto nel corso della trasmissione E se domani, durante un’intervista di Alex Zanardi a Giovanni Allevi. L'argomento viene toccato circa cinque minuti dopo l'inizio del frammento registrato su YouTube.

 

Occasionalmente, nelle recensioni di sistemi di riproduzione, percepiamo uno strano “rallentamento” durante l'ascolto di un pezzo musicale che ci è noto, magari da moltissimi anni e dopo moltissimi ascolti. Non è un rallentamento autentico: il pitch, il tono delle singole note, non è cambiato, ma percepiamo distintamente ogni singolo passaggio.

È come se il livello di risoluzione permettesse alla musica di presentarsi in forme inedite, di maggiore naturalezza e intelligibilità, ai nostri apparati percettivi. Ed è un’opportunità pressoché unica per i non musicisti. Che solo i grandi sistemi, e solo se ben temperati o, se preferite, perfettamente accordati, riescono a realizzare.

 

Ma perché poi tutto questo? Perché, com’è accaduto per la fotografia prima e per la cinematografia poi, la registrazione permette comunque di immortalare un evento irripetibile. Sappiamo dai documenti storici che, alla fine di un concerto per pianoforte di Beethoven, i pianoforti risultavano inservibili, ma non abbiamo alcuna idea di come effettivamente Beethoven o i suoi esecutori suonassero. Come non abbiamo che resoconti certamente leggendari dei concerti di Paganini.

 

Indipendentemente dalla specifica interpretazione che i diversi "curatori" della registrazione e della riproduzione realizzano, la qualità delle procedure conta. Moltissimo. Un assistente di Edison, Theo Wangemann, nel corso di una mostra ad Amburgo produsse uno dei primi documenti audio: Brahms vi improvvisa al pianoforte la prima danza ungherese.

L’avete ascoltata? Scommettereste chi si tratta proprio di Brahms? Azzardereste valutazioni sulle sue capacità pianistiche? No, perché la qualità della registrazione non lo consente. E, nell'impossibilità di incrementare il contenuto informativo, usare sistemi di riproduzione migliori non potrà che peggiorare la situazione.

Comprenderete facilmente perché, pur risalendo l'invenzione del fonografo a cilindro al 1877 – Liszt è morto nel 1886 – non ci si sia preoccupati troppo per questa “occasione mancata”. Che in alcuni casi meno fortunati ha invece immortalato le non eccelse capacità esecutive di grandi compositori…

 

Ma un sistema trascendente può illuderci in senso letterale, può cioè produrre l'illusione dell’esistenza qui e ora di un evento musicale che ha luogo innanzi a noi: alle nostre orecchie, al nostro cervello, al nostro corpo. Non necessariamente l'illusione di un concerto dal vivo: ma talora in contatto profondo con la mente e il cuore di un'artista. Senza vincoli di spazio o di tempo. Perché Miles Davis e Bill Evans sono morti, ma Kind of Blue è immortale. È proprio così: dead can dance!

 

3 di 4 - Alla quarta parte

 

 

PAROLA DI DIRETTORE | SUPPLEMENTO D'INDAGINE

Questa serie di articoli è iniziata ad agosto del 2011. ReMusic era nata da pochi mesi. Tante le cose da fare per una neonata, né blog e né forum, semplicemente la prima e autentica rivista italiana con versioni internazionali, tuttora unica. Nel frattempo gli articoli si sono affastellati, le urgenze sono cresciute, i contributi moltiplicati. I redattori chiedevano l'oggetto dei propri desideri, dei nuovi apparecchi da provare. I lettori chiedevano soprattutto le prove di nuovi apparecchi. Per questo motivo, anche articoli come questo, densi e fumanti di conoscenza e significati, sono stati ingiustamente "messi da parte", un po' accantonati per seguire il plauso dei click e dei contatti.

Di questo mi scuso, con l'autore e amico Angelo, ma anche con i lettori. Perché è di articoli come questi che è invece scritta la vera storia del nostro settore. E solo con contributi come questi, innovativi e visionari, ma altrettanto argomentati e scientifici, si scrive la storia.

 

G.C.

di Angelo N. M.
Recchia-Luciani
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