Tra coloro che diffusero per primi la conoscenza della musica armena in Europa occidentale ci fu sicuramente un non musicista come George Ivanovic Gurdjeff. Nei primi del ‘900, recuperando nella sua memoria stratificazioni di secoli di tradizione popolare e facendole eseguire dal pianista e compositore russo Thomas de Hartmann, egli considerò quella musica come parte di una totalità di antichi saperi spirituali di cui si erano quasi perse le tracce nel lungo cammino della Storia. Probabilmente, però, il lustro maggiore in campo musicale lo portò Aram ll’ic Chacaturjan, nato in Russia ma di origine armena, quello della Danza delle spade, tanto per intenderci. In Italia tutti ci ricordiamo di un grande cantante franco-armeno come Charles Aznavour e, in questi tempi di grandi condivisioni musicali e di altrettante liquide influenze da un continente all’altro, abbiamo potuto conoscere l’ottimo pianista jazz armeno Tigran Hamasyan, che non ha mai esitato d’immettere nel suo pianismo contemporaneo tracce di musiche della propria tradizione etnica.
In una certa misura questa operazione viene effettuata anche da Macha Gharibian, pianista e cantante francese di origine armena, che con questo suo recente lavoro, Joy Ascension, si presenta al pubblico con la sua terza uscita discografica. Provenendo da una preparazione pianistica classica ma avendo respirato l’aria intrisa di jazz e di ritmi neri di New York, la Gharibian ottiene qui una mescola frutto di una misurata combinazione d’ingredienti in cui jazz, blues, tradizione euroasiatica, perfino frammenti di rock progressive e raffinata pop song, si avviluppano come tralci di vite attorno al suo pianismo e alla sua ambrata vocalità. Proprio la sua voce ricorda, nelle timbriche più gravi e in certe sfumature più calde, il canto di Patricia Barber. Il suo gruppo si avvale di Drè Pallemaerts alla batteria e di Chris Jennings al contrabbasso con le ospitate di Bert Joris alla tromba e Artyom Minasayan al duduk.
La musica che ne consegue ha la particolarità, dato il suo assemblaggio eterogeneo, di poter accontentare i gusti di gran parte del pubblico ma non c’è apparentemente alcun calcolo evidente alla base di questo atteggiamento. È nella spontaneità e nella bravura della Gharibian mostrarsi in questo eclettismo, nella sua capacità di amalgamare direzioni differenti trasvolando in assoluta sicurezza dal canto tradizionale a un jazz irrobustito da una ritmica spesso rock o soul blues. I rimandi sono vari e diversificati ma mi colpisce l’analogia con gruppi altrettanto ibridi come i Bad Plus, soprattutto quelli prima dell’arrivo di Orrin Evans, dimostrando la stessa energia disciplinata e l’analoga distanza dalla matrice originaria classicamente jazz.
L’impronta spiritualista è sottolineata dal titolo del disco, di reminiscenza coltraniana, ma si avverte in quasi tutto il suo percorso come un’eco sentimentale, che dona profondità alla musica e ne costituisce l’effettiva ossatura intellettuale.
Joy ascension, il brano che dà il titolo all’album, è una sorta di asciutto rhythm & blues supportato da un contrabbasso martellante, dalla voce della Gharibian e poi null’altro se non una percussione elementare che aiuta la scansione del tempo. Georgian mood ha una struttura armonica di base semplice, quasi rarefatta, dove piano acustico e Fender Rhodes s’incrociano accennando a una melodia che sa di canto tradizionale ma che deve alla ritmica il suo incedere incalzante. Basso e batteria rockeggianti in Fight, mentre il piano si propone con sequenze di coppie di accordi ripetuti in un assetto progressive che mi rimanda agli anni ’70. Con The woman i am longing to be si entra nel formato canzone, una ballata pop elegantemente vestita, con la voce della Gharibian che, pur non essendo nulla di travolgente, mantiene una buona intonazione, insieme alla tromba di Joris a dare colore. Sembra di ascoltare, a tratti, una Sade meno sofisticata o una Barber con più verve in corpo. Il brano che segue, Sari siroun yar, introdotto dall’espressivo duduk di Minasayan, è uno degli aspetti migliori dell’intero disco. Il piano si scioglie in accordi più interessanti e meno lineari, la voce della Gharibian perde un po’ di formalità e s’accorda perfettamente al mood carico d’intensa malinconia della canzone. Si continua con la versione di un noto brano di Paul Simon, 50 ways to leave your lover, rifatto come, secondo me, l’avrebbe riallineato la nostra Maria Pia de Vito, con un’intenzione analoga e un accompagnamento tra il jazz e il rhythm & blues atto ad animarne lo spirito. Anche la caratteristica della voce evidenzia qualche sfumatura simile con l’artista napoletana. Crying Bohemia dimostra come la Gharibian si trovi maggiormente a suo agio con la musica tradizionale, soprattutto in un brano come questo con molte influenze arabeggianti. Una versione al femminile dell’espressività di Dhafer Youssef, per capirci meglio. Freedom nine dance è un gioiellino introdotto da un’esposizione al piano giocata sulla tastiera più acuta, intenso esempio di semplice struttura in cui la voce corre leggera e brillante disegnando un brano dai colori chiari. Qui il synth e l’organo, con le loro intrusioni e i cambi di tempo, portano tanto indietro le lancette dell’orologio che pare di riascoltare i Renaissance o addirittura certi passaggi dei Caravan.
La stampa specializzata ha incensato questo disco forse in modo eccessivo, sottolineandone gli aspetti più piacevoli ed eclatanti, parlando di “enorme talento” e probabilmente eccedendo in aggettivi un po’ enfatici. Si tratta di un buon lavoro, questo è certo. C’è però a mio parere una certa tendenza talora eccessivamente sintetica a lavorar di pialla che semplifica le forme musicali fino a elementarizzarne alcuni aspetti armonici. L’indubbio carattere positivo sta nella sensazione di gioia interiore che si riesce a percepire in diverse parti, soprattutto nelle tracce d’impronta più tradizionale. Quest’ultima particolarità rende Joy Ascension un lavoro comunque di valore, che merita la dovuta attenzione e un ascolto in piena apertura d’animo.
Macha Gharibian
Joy Ascension
CD Rue Bleue 2021
Reperibile in streaming su Qobuz 24/48kHz