Chi non avesse molta dimestichezza con il jazz contemporaneo potrebbe cogliere l'occasione di farsi il palato con il nuovo album del batterista portoghese Mário Costa. Raramente si ascolta un disco come questo che produca musica decisamente moderna ma che non si dichiari “free” e non si lasci andare a improvvisazioni senza criterio.
Con la proposta di una miscela di suoni aliena, forse proveniente da una sconosciuta quinta dimensione, Costa è maturato nel tempo seguendo un canovaccio ormai consolidato da molti giovani jazzisti europei, arricchendo cioè il suo già notevole bagaglio tecnico con l'immancabile viaggio di perfezionamento negli Stati Uniti, avvenuto nel 2010 a ventiquattro anni. Dovrà aspettarne altri otto prima di pubblicare il suo primo disco da titolare, Oxy Patina, del 2018. Si ripresenta oggi all'attenzione del pubblico con questo nuovo lavoro, Chromosome, realizzato con altri tre compagni di strada in una formazione a quartetto che, oltre al titolare, comprende Benoit Delbecq al pianoforte, già insieme a Costa nell'album del 2018 con in più oggi gli interventi al synth e la gestione delle elettroniche, Bruno Chevillon al contrabbasso e Cuong Vu alla tromba.
La musica di Chromosome viaggia quindi su un'orbita irregolare, spesso esponendosi al lato più oscuro della creatività, dove tra strumenti acustici e incursioni elettroniche, si dà adito a una serie di tracce enigmatiche, impervie a momenti, camminando sul filo della stranezza senza però essere mai disturbanti, lasciando l'ascoltatore immerso in un'intrigante sospensione interpretativa. Gli è che questo jazz non può essere “previsto”, non evidenzia limiti certi tra scrittura e improvvisazione, a volte scopre la sua voce vulnerabile, in altri casi diventa impenetrabile, con un suono che sembra a tratti frutto di scelte cervellotiche e di una linea progettuale generosamente utopista.
Non ci sono strumenti più esposti, gli assoli si disseminano brevemente emergendo come vapori dall'asfalto ma colpiscono per la loro libertà espressiva gli interventi di Delbecq, mentre più in linea melodica si dimostrano quelli di Vu alla tromba. L'aspetto interessante e stimolante di questo album è quello di evidenziare un metamondo inaspettato, privo di estremismi rabbiosi, dove però spesso gli aspetti melodico-armonici tradizionali sono sottoposti a una progressiva strategia di sparizione.
Insomma, trattasi di musica poco adatta a chi si aspetta qualcosa di facilmente leggibile, però capace di attrarre gli eterni curiosi e soprattutto di non intimorire gli indecisi con bordate di suoni rabbiosi e rivendicativi.
Adamastor è il titolo di testa. Una melodia intaccata da una certa dose di tristezza si fa avanti con le note della tromba, intercalate dai misuratissimi interventi di piano. Quando sembra che l'evoluzione del brano debba indirizzarsi quasi sui binari di una ballad, Delbecq aumenta gradatamente la velocità del suo arpeggio ed entra la ritmica. Il procedere del contrabbasso e i piatti stimolati da Costa s'intersecano con le percussioni elettroniche mentre la tromba vagheggia territori di libera improvvisazione. Sale la dinamica, ritorna un bandolo di scrittura rapida e puntigliosa eseguita in sincrono tra Vu e Chevillon, poi è la volta del piano con un assolo alla Keith Tippett, oserei dire, informale come un dipinto di Vedova.
La title track Chromosome inizia con un tripudio di percussioni e friccichi elettronici. Ancora tromba e piano in uno scampolo di melodia sincronica, con suoni di synth che sembrano evocativi, echi di un passaggio lontano di delfini ma la parte principale la sostiene la batteria con un lungo assolo suddiviso tra percussioni e poliritmie di vario tipo. Quindi largo spazio all'improvvisazione con il solito Delbecq che si diverte a disseminare segni indecifrabili e vagamente insensati. Fortunatamente il contrabbasso con un accompagnamento ripetuto è il corrimano a cui ci sosteniamo per non cadere. Nella seconda metà del brano le acque apparentemente si chetano, un bell'assolo di tromba evoca spazi dilatati, il tempo rallenta. Ma progressivamente il ritmo s'impenna, il volume sonoro aumenta e si finisce in corsa.
Victoria è senz'altro uno dei brani più suggestivi dell'intero album con un tema sostenuto dalla tromba e dal piano in approccio velatamente felliniano disturbato da risacche elettroniche ma con Delbecq che finalmente si concentra sull'armonia, sequenziando una processione sommessa di accordi. Quasi una forma di igiene aurale, questo brano, con i suoi silenzi e quei brandelli sonori che fluttuano nello spazio uditivo.
Moluccas vede sempre la tromba protagonista quasi in solitaria, in equilibrio sulle percussioni. Quando entrano gli altri componenti del gruppo il brano prende un andamento da ballad ma si tratta di una momentanea illusione. Il pezzo tende a
“s-formarsi” in una nuvola sospesa di note surreali nel contrasto tra la robusta sezione ritmica, soprattutto ad opera dell'energica cavata di Chevillon, e le note tippettiane del piano. Parte poi un assolo di contrabbasso dall'eidos imperscrutabile, lo spazio si dilata per poi restringersi di nuovo, interrompendosi d'improvviso con una nota tronca di tromba giusto sul finale.
Moonwalk dimostra tutta la propensione alle ritmiche dense di Costa, ben coadiuvato da Chevillon che si spella le dita con le spesse corde del suo contrabbasso. La corsa ritmica pare poi interrompersi o quantomeno mutare di registro tra una spiritata progressione discendente di accordi di piano e una serie di interventi elettronici. Il brano assomiglia agli ultimi lavori di Zawinul proprio per quell'intercalarsi tra percussioni e synth ma con la tromba di Vu che resta, in questo caso, la nota più peculiare del brano.
Antipodes è un bosco di piccole meraviglie, con il passo di Chevillon a condurci per mano all'interno di questo rarefatto paesaggio. Tromba e piano sembrano finalmente seguire un percorso più lineare, tra improvvise apparizioni fantasmatiche. Il pezzo si mantiene scarno e melodico mentre la tromba tramuta sé stessa da raggio di sole a disturbante e distorto soffio di basilisco. Come accennato nelle note iniziali di questa recensione, il lavoro di Costa non è prevedibile nei suoi sviluppi, il suo endoscheletro è così elastico che la creatura muta continuamente d'aspetto. Tuttavia, questo brano resta tra i più curiosi e affascinanti dell'album.
La Grotte risuona del cupo brontolio dell'archetto che scorre sul contrabbasso. Una paramelodia proposta in sincrono tra piano e tromba si priva d'una qualsiasi dimensione di tangibilità e infatti la traccia si disorganizza in un mare dispersivo, un quasar destinato all'inghiottimento autogravitario. Tripudio di lampi percussivi e di piatti, interventi astratti di pianoforte, commenti lamentosi di tromba. Può piacere, certo, ma sono molto perplesso e anche un pizzico annoiato dalla visione di questa grotta sottomarina.
Con Chamber Music sembra sia destino restare prigionieri dell'antro di cui sopra. L'inabissamento liquido prosegue come catabasi inconscia in conflitto con il forte desiderio, persino rabbioso, di riemergere dall'immersione. Cosa che avviene energicamente nella seconda metà del brano, con uno scoppio ribollente d'improvvisazione da leggersi come riconquista della luce che si fa persino abbagliante.
Astrolabe è il punto finale dell'album ed è una sorpresa largamente inaspettata. Un tema fortemente melodico e appassionato, forte e dolente come un adagio settecentesco, viene presentato dal contrabbasso e dall'archetto di Chevillon, contornato dal piano che cerca una chiave di lettura moderna per questo passionale e inatteso finale.
Non c'è dubbio che i quattro musicisti di Chromosome siano dei talenti fuori scala, com'è altrettanto vero che questa musica non si presta alle normali valutazioni che usualmente si utilizzano per forme più normali di jazz. I suoni non sono respingenti, anzi, tendono ad avvolgere l'ascoltatore in coordinate armoniche del tutto nuove. Ma è indubbio che il jazz stia cambiando, mutando pelle, stagione dopo stagione e che queste nuove trasformazioni non riescano a innescare in tutti quella metanoia necessaria alla comprensione degli eventi. Almeno però, gusti personali a parte, sia concessa la curiosità di una prova, la pura affascinante tentazione di accostare l'orecchio a questa nuova conchiglia di suoni misteriosi, spesso tutti da decifrare.
Mário Costa
Chromosome
CD Clean Feed 2023
Reperibile in streaming su Qobuz 24 bit/96kHz e Tidal 16bit/44kHz