La nebbia non può essere considerata un mero fenomeno atmosferico. Specialmente in ambito artistico assurge al ruolo di elemento simbolico per eccellenza. Il velo, la nebbia, sono figure della modulazione visiva e cognitiva. Pascoli ne fa oggetto di una poesia: “Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e scialba, tu fumo che ancora rampolli, su l’alba, da’ lampi notturni e da’ crolli d’aeree frane!”. La nebbia nella realtà impedisce la visione, ottunde i sensi, attutisce i suoni, sfoca i contorni e sovente provoca ansia e angoscia. L’impossibilità di vedere oltre può essere vissuta come incapacità e provocare il disagio dell’inadeguatezza. Al contrario la nebbia può rivelare un aspetto positivo, creativo, gestatorio. La mitologia della creazione racconta le fasi che precedono la comparsa della materia come un nucleo indistintamente nebbioso, ma prima sostanza alchemica da cui tutto evolve, germe in cui tutto è già scritto, possibilità, espansione, trasformazione, vita.
L’intermezzo tra questi due estremi diventa il luogo metaforico in cui Michele Perruggini radica il processo di elaborazione, formazione e maturazione del concept che è la linfa del suo lavoro discografico solista, Attraverso la nebbia, album registrato presso l’Universal Sound Studio di Conversano, Bari, tra febbraio e marzo 2014, mixato e masterizzato presso gli studi Artesuono di Cavalicco, Udine, da Stefano Amerio nel settembre dello stesso anno e uscito nel 2015 con la produzione dell’etichetta indipendente Abeat.
Le composizioni sono tutte scritte e arrangiate da Perruggini medesimo. Inutile dire che dal crossover di queste realtà non poteva che venire fuori un prodotto eccellente anche dal punto di vista sonoro.
Ritornando all’analisi del titolo e facendo riferimento alle riflessioni dell’introduzione, non bisogna pensare che la citazione della nebbia sottintenda una condizione di oscurità, di gotico. Tutt’altro, perché l’introduzione della preposizione “attraverso” associa un elemento di dinamismo che si interseca con l’altra idea di fondo del lavoro, ovvero il viaggio, il movimento, l’incedere. Le foto di copertina del CD rappresentano perfettamente il concetto, laddove l’artista viene immortalato mentre si incammina solitario su un binario di campagna del quale restano incognite le stazioni di partenza e destinazione. L’abbigliamento mimetico del nostro, poi, ci fa capire che il cammino non sarà ne semplice ne breve. Ma non stiamo trattando di un percorso miliare, bensì di un percorso introspettivo a tappe, ognuna delle quali, anche attraverso la nebbia che ne confonde i connotati, rappresenta un avvicinamento a un obiettivo, che Michele chiama sogno, termine con cui spiega il suo reale anelito, ovvero, cito le sue parole, “poter dare finalmente vita anche alla musica che porto dentro e al cui servizio, come sempre, mi presto umilmente, con gioia e infinita gratitudine”.
L’umiltà mi sembra una sfumatura importante del carattere di Perruggini. Ne ho intuito l’essenza nel momento in cui ha proposto a ReMusic e al sottoscritto l’ascolto del suo lavoro, con la timidezza e l’educazione di un artigiano che ama il suo mestiere ma non pretende di essere il migliore del mondo. Insomma non è uno che se la tira, distorsione tipica del medio musicista italiota. Ho accolto la sua proposta con la stessa umiltà, spero di potergli dare soddisfazione.
Michele Perruggini non è certo un novellino. Vanta una serie di collaborazioni di tutto rispetto e ha fatto incetta di premi e concorsi. Vi invito a leggere la sua biografia per farvi un’idea. Alla fine di tutte le esperienze vissute ha deciso comunque di far crescere la sua opera nell’ambiente geografico/musicale natio, quella Puglia che è un caleidoscopio di iniziative artistiche e un bacino espressivo di alto valore, che si tratti di musiche tradizionali, popolari o colte. Curioso è il fatto che il mio recente destino redazionale mi abbia offerto l’opportunità di parlare di due batteristi, U.T. Gandhi prima e Perruggini subito dopo, che hanno in comune il forte radicamento alla propria terra, pur permeati dal desiderio di universalizzare la propria arte. Il primo punterà alla Mitteleuropa, tradotta in ECM, Zawinul, Lechner ecc., il secondo prenderà la direzione del Mediterraneo, crocevia di popoli e culture, chiuso nei confini ma con i raggi proiettati in ogni direzione.
Considerate le profonde riflessioni che animano la composizione di Attraverso la nebbia ci si poteva aspettare un lavoro introspettivo e, se non proprio solitario, condiviso con un trio o un quartetto. Al contrario, siamo al cospetto di un’opera corale, fondata sull’asse portante Mirko Signorile e Giorgio Vendola, rispettivamente al piano e al contrabbasso e magistralmente interpretata da una formazione di quattordici elementi, compresa una sezione d’archi diretta da Leo Gadaleta, che suona anche il violino. Completano l’ensemble Vince Abbracciante alla fisarmonica, Nando Di Modugno alle chitarre, Antonio Marangolo ai sassofoni tenore e soprano, Gaetano Partipilo al sax alto, Gabriele Mirabassi al clarinetto, Fabrizio Signorile al violino, Maurizio Lomartire alla viola, Gaetano Simone al violoncello, Peppe Fortunato alle tastiere, Cesare Pastanella alle percussioni e, ovviamente, Michele Perruggini alla batteria. Un gruppo composto da solisti sopraffini, ognuno dei quali totalmente disponibile a cedere la propria sovranità individuale per farsi interprete del Perruggini pensiero, così come quest’ultimo, pur mantenendo una sorta di regia musicale, affida volentieri le proprie meditazioni personali alla maestria strumentale dei suoi compagni, fornendogli una base ritmica di maestosa presenza, giammai prevaricante o trasgressiva, bensì delicata e compiacente.
Pur essendo un album concept, non possiamo dichiararlo tale nel senso che la progressione dei brani è disposta in una sequenza programmata e strumentale al significato. Sarebbe forse meglio definirlo multi-concept. Se dovessi utilizzare una forzatura lessicale metaforica, lo qualificherei palindromo o meglio ambigrammatico, perché si potrebbe ascoltare o leggere da qualunque direzione o prospettiva senza alterarne il contenuto. Alcuni brani, poi, terminano dando la sensazione di riaffiorare in quelli successivi, custodendo in seno, a propria volta, temi di altre tracce che seguono. In genere, quando sono impegnato con una recensione, ascolto l’album almeno una ventina di volte. Questa pratica è necessaria per fare in modo che il disco diventi più “piccolo”, ovvero che i territori sconosciuti si riducano fino allo zero e la metabolizzazione sia totale. Nel caso di Attraverso la nebbia, confesso di aver fatto più fatica, indizio che gli spazi significanti, ben umerosi, insieme alle soluzioni compositive, sono open, da cogliere in sintonia con il tempo di riproduzione, pena lo smarrimento, almeno fino all’ascolto seguente.
Attraverso la nebbia apre con un duetto di sassofoni aspri che dettano il tema, addolcito dall’ingresso del piano che ne ripete la forma e precede l’ingresso del pieno strumentale e percussivo, con gli archi che giocano sulla melodia accogliendo un solo di sax potente. La poetica dell’album è condensata in questo brano in una cadenza sospesa tra il greve dell’indefinito e il leggero degli sprazzi di trasparenza che si alternano all’interno della coltre bianca in attraversamento.
Verso la follia inizia con un arpeggio di note pianistiche in rapida sequenza, puntellate da un bel gioco ritmico di batteria e percussioni e condito da tastiere dal suono particolare. Un rullante concitato chiama l’assolo del contrabbasso che scandisce l’ingresso orchestrale presente in crescendo fino al termine drammatizzato del brano. La musa ispiratrice è la follia, quella lotta perenne tra razionalità e insania che alberga in ognuno di noi, due poli che si attraggono e si respingono creando un vortice tumultuoso di stati emozionali contrastanti.
Torno a casa sviluppa un tema musicale rassicurante, interpretato da archi trascinanti e sospesi. L’ingresso del piano è l’espressione della gioia, ulteriormente rafforzata da un clarino che profuma di radici. La composizione è la metafora del ritrovamento dell’armonia interiore, fatta di cose semplici e profumi familiari. La scrittura e le sonorità sono molto cinematiche e richiamano un po’ la musica filmica di Nicola Piovani.
In Aria per me finalmente la batteria di Perruggini emerge e dialoga con chitarra e pianoforte da protagonista, in un anelito di libertà e vita anche quando il pezzo si fa più impetuoso. L’ispirazione proviene da un periodo di soggiorno in un trullo a Cisternino, in pace e sintonia rurale con il tempo e la natura. Il linguaggio stilistico di Michele si delinea nella sua abilità di non rimanere mai in una condizione di substrato, bensì di avvolgere letteralmente tutti gli altri strumenti con autentici battiti pulsanti di pelli e piatti.
Come si poteva rendere al meglio la descrizione de Gli occhi di un bambino se non con una composizione adattata a piccola colonna sonora, struggente e gioiosa, sofferente o beata, proprio come le sensazioni che filtrano attraverso uno sguardo infantile nel passaggio dalla capacità di stupirsi ingenuamente alle facili distrazioni legate alla crescita. L’intervento della fisarmonica regala al brano un’intensità assoluta e passionale.
Odore di pioggia è un’immersione nelle percezioni olfattive, anzi nel profumo dei profumi, quello prediletto dall’artista. I timpani dell’introduzione simboleggiano il temporale mentre pianoforte e chitarra interpretano la pioggia che bagna la terra scatenando sensazioni fortissime e malinconiche.
Soul night è il brano atipico dell’album, un atto d’amore di Michele nei confronti della musica Soul e Funk d’oltreoceano. Cambia la struttura ritmica ovviamente, la batteria suona up-tempo, il basso ben percosso, per dare alla composizione quel groove peculiare. Il sax un po’ sguaiato, che sembra voler imitare la voce umana, colora di nero la traccia, che però non si riduce certo a plagio dei maestri americani, mantenendo un profilo elegante e personalizzato, con inflessioni drum’&’bass.
Danza sulle foglie esordisce in stile ballet suite e nel momento in cui il sax o il contrabbasso riportano il pezzo in un contesto jazzy, l’orchestra lo orienta di nuovo verso la classicità e l’eleganza. La batteria è il filo portante che tiene uniti gli strappi stilistici con un drumming determinato e autorevole. Il percorso dell’artista prosegue attraverso un altro ambiente oscuro, questa volta rappresentato dal sottobosco di una foresta pluviale, impenetrabile dalla luce e per questo pervaso da mistero e magia.
Sei petali blu evoca il gioco del m’ama non m’ama, dove la somiglianza dei petali stessi viene messa in discussione dalla loro simbologia in altalena tra il blu avvolgente della notte e il blu incognito e poco rassicurante degli abissi. Il brano scorre in punta di strumenti, tracciando una linea estremamente melodica ma mai banale, con un crescendo centrale dove la fisarmonica e il clarino si esaltano per poi ritirarsi e lasciare al sax il compito di struggere il finale teso su una batteria piena e poderosa.
Il tuo respiro è una ballata armoniosa ed eterea, sul tema elegiaco del proprio respiro accomunato al respiro di un amore vissuto intensamente. Il sottofondo tastieristico crea un humus amniotico dove la chitarra può sviluppare la melodia contrappuntata dal duetto simmetrico piano/basso e ripresa a seguire su una delicatezza percussiva e discreta, che sembra preoccupata di interagire senza rischiare di guastare l’atmosfera.
Tra i percorsi delle fate sembra prendere forma tra piccoli scampanellii fino ad aprirsi alla coralità espressiva dominata dalla fisarmonica, con innesti orchestrali e nuances percussive. Il tema di fondo è la magia. In una notte incantata le fate possono apparire inaspettatamente per prendersi cura dei nostri dolori e rigenerarci verso una vita nuova e priva di sofferenze.
Nei meandri dell’anima chiude la sequenza dei brani ed è la summa della poetica dell’album. Il viaggio diventa introspettivo ed emozionale. La chitarra e la fisarmonica esprimono tutti i turbamenti e le eccitazioni che gridano dall’intimo più profondo, nella consapevolezza che una fase del cammino si è compiuta, lasciando sensazioni tanto impressionanti da indurre ad una meditata pausa, un assopimento per il furore che già inneggia ad una imminente ripresa del movimento. Tutti gli strumenti trasmettono un’aria di benessere e si dissolvono in un commiato dolcissimo.
Questo lavoro esprime straordinaria purezza, arguto carattere musicale, un superbo senso di gioco di squadra e originalità senza eccentricità. Mantiene un portamento classico, ma orchestrato lievemente, non certo sinfonico. Quello che dà a quest’album unità tematica e spirituale è la riuscita opera di osmosi tra quattordici elementi creativi, portatori di esperienze molteplici, ma concentrati nel superamento degli ostacoli armonici generati dalle rispettive diversità, insieme alla determinazione di Michele nel voler farsi penetrare l’anima. Lo afferma il medesimo autore quando, nelle note di ringraziamento, ne dedica uno speciale a Leo Gadaleta, “che ha saputo sposare la mia anima arrangiando gli archi meravigliosamente”. Nessuno dei musicisti presenti mi sembra un accompagnatore puro. I frequenti assolo di ognuno di loro, almeno un paio per traccia, creano complementarità o contrastanti disegni autonomi lungo la dorsale dell’accuratissimo beat di Perruggini. Improvvisatori di tale spessore, esposti in uno spazio aperto, sviluppano relazioni in continua evoluzione armonica e melodica, fluttuando privi di costrizioni. Tutti i numerosi stili musicali presenti nell’album, jazz, classico, tradizionale, world, risultano completamente piegati proprio alla melodia, unico linguaggio dell’anima universalmente riconosciuto.
Michele Perruggini
Attraverso la nebbia
Total time 57’49’’
Abeat Records – Abiz 543
CD – 2015