Napoletano, quindi internazionale

Redazionali
09.01.2015

Molte canzoni di Pino Daniele fanno da tempo parte dell’immaginario collettivo.

 

Ad alcune strofe in particolare si ricorre anche per affrontare situazioni emotive quotidiane. Con piccole citazioni di Je sò Pazzo ci si può tirare fuori con soddisfazione da sempre più frequenti occasioni di rabbia o sfinimento: garantito! Com’è vero che alcuni stralci di testo rappresentano le parole che chiunque avrebbe voluto pronunciare nei momenti di intimità sentimentale.

 

Quando, durante le feste giovanili, s’imbracciavano le chitarre per suonare, nel repertorio non mancavano mai i pezzi di Pino Daniele. Non erano brani facili, musicalmente parlando, con accordi complessi e desueti rispetto allo standard del cantautorato dell’epoca, parlo degli anni tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80. Perché Pino è stato certamente un eccezionale scrittore, alla ricerca costante di un’espressività testuale esclusiva, a tal punto da essere riuscito a creare un neo-linguaggio nato sull’intreccio e la manipolazione armoniosa della lingua italiana, inglese e – perché di lingua si tratta – napoletana. Un neolinguismo attraverso il quale ha potuto cantare la tradizione e la classicità, ma anche oltrepassare i confini aprendo la sua musica al mondo.

 

Ma è stato anche uno straordinario musicista. In un’intervista racconta come, da ragazzo, si recasse a scuola passando per Vico San Sabastiano e si trovasse proiettato nell’Eldorado del chitarrista. Per chi non conosca Napoli, questa via nei paraggi di Santa Chiara è il luogo dove si concentrano decine di negozi di strumenti, in particolare chitarre. I proprietari non sono di quelli che se la tirano ma invece ti consentono di provare per ore. Ricordo di aver trascorso una mattina intera da Acustica, dove ho potuto maneggiare in sequenza quattro Taylor, tre Martin e una Gibson. Poi ho acquistato un mandolino, ma questa è un’altra storia. Quello che voglio raccontare è che questa stradina in salita è folgorante per chiunque abbia velleità artistiche. Perché Pino voleva fortemente diventare un chitarrista. Per perseguire il suo sogno chiese a James Senese di entrare a far parte dei Napoli Centrale. James, che si considera, essendone ricambiato, la parte mancante dell’amico, lo assoldò, ma come bassista, lasciandogli però lo spazio di aprire i concerti del gruppo con la propria musica, limitandosi ad accompagnarlo con il sax.

 

Anche a livello strumentale Pino Daniele ha creato un linguaggio innovativo, partendo anche in questo caso dalla tradizione e dalla classicità italo-napoletana, operando però un innesto progressivo di blues, jazz, soul, rhythm & blues, fino alla completa metabolizzazione. Alla base di tutto c’è la melodia italiana e il tentativo, riuscito perfettamente, di esplorarne le possibilità di congiuntura con altre forme musicali. Le collaborazioni con musicisti come Wayne Shorter, Herbie Hancock, Pat Metheny, Eric Clapton e Richie Havens sono la testimonianza che la sua musica ha un’anima profonda e una universalità espressiva senza limiti, pur conservando le proprie radici.

 

L’annuncio della morte getta un velo di immensa tristezza, perché se ne va un rappresentante dell’Italia sana, creativa, positiva, stimata e, per tanti aspetti, ribelle e combattente. A Pino Daniele va certamente riservato un posto nell’Olimpo dei Grandi Artisti. Come per altri musicisti che sono stati vittime di un simile destino, De Andrè, Gaber, Battisti, Dalla, Gaetano e Ciampi su tutti, resta, nella consolazione del suo genio compositivo, il rammarico di quello avrebbe potuto ancora fare e l’obbligo di ringraziarlo per il contributo che ha dato alla nostra crescita e alla formazione culturale individuale e collettiva.

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