Non si può comprendere con fedeltà il valore di un lavoro discografico limitandone l’ascolto nell’arco del periodo emozionale immediatamente successivo alla sua uscita. La forza di un album si misura nel tempo, che ne resta l’unico inequivocabile giudice, saggiandone quotidianamente il decadimento o l’accrescimento della potenziale bellezza originaria. Lo considero un metodo molto efficace, forse l’unico. Di dischi stroncati sonoramente a pochi giorni dalla comparsa negli scaffali e poi assurti a pieno titolo tra i migliori di ogni epoca, ne è piena la storia. Un esempio fra tutti? The Velvet Underground & Nico, datato 1967, incompreso più di Calimero ma, a mio – nemmeno tanto modesto – avviso, uno dei primi cinque dischi rock di tutti i tempi. Non posso sottrarre a questo “trattamento” temporale l’album Il Velo di Iside, di Peo Alfonsi. Attenzione! Siamo al cospetto di un prodotto targato EGEA Music e già questo basta per avere legittime aspettative di profondi contenuti artistici. La data di uscita è il 15 novembre 2012: quattro mesi di ascolto possono essere sufficienti per parlarne. Del curriculum artistico di Alfonsi potrete venirne a conoscenza autonomamente attraverso il suo sito o altri ambienti della rete. Ciò che mi colpisce maggiormente è che la ricerca della musica autentica ci conduce ancora una volta in Sardegna, a dimostrazione del fatto che questa terra, similmente ad altre realtà isolane, pur essendo nota al grande pubblico solamente per approdi di yacht da fantascienza o bollenti estati gossippare di mezze calzette vip più o meno succinte, non è assolutamente da considerarsi emarginata dalle rotte dell’arte, bensì centro pulsante di produzione culturale e fucina di talento. Mamma mia! Arte, talento, cultura… quante parolacce tutte insieme. Sono un volgare disadattato della società contemporanea, ma tant’è. Per fortuna ho la mie compagnie e questo disco ne fa parte, perché è intriso di cultura e, direi, in sospensione tra il mito e l’arte. Il mito di riferimento è, da titolo, quello di Iside. Una statua di Iside fu eretta nelle vicinanze di Menfi, presumibilmente sul luogo della sepoltura. La particolarità era rappresentata dal fatto che la scultura fu ricoperta da un velo nero e sulla base del trono venne incisa l’iscrizione “Io sono ciò che fu, ciò che è, ciò che sarà e nessun mortale ha ancora osato sollevare il mio velo”. Il velo teneva secretati tutti i misteri e la sapienza del passato e la sua rimozione avrebbe significato luce e immortalità.
Peo Alfonsi fa del mito di Iside un’allegoria del suo lavoro e lo racconta nelle note interne del CD. Il mondo materiale è illusorio e il velo resta un simbolo mitologico che, attraverso uno squarcio, presenta l’opportunità, per ognuno di noi, di oltrepassare il confine del vivere materico, in una dimensione dilatata ed emozionante, che fa smarrire le nostre certezze su quale sia il vero universo. Il fenomeno dello squarcio può ripetersi più volte e in ogni occasione ci viene concesso di vivere esperienze incredibili. Non è un caso che tali fenomeni siano accompagnati da musica diffusa nell’aria. Ed eccolo l’aggancio con l’arte e la cultura. La musica come taumaturgo, come dissolvenza dal normale e traghettamento nell’immateriale, nei percorsi cognitivi, all’interno degli spazi della trascendenza. A detta di Peo, nel concetto espresso non c’è nulla di politico o religioso, nel senso di dogmatico. Si sottintende un semplice trasporto tra le coordinate di magnificenza e grazia. La musica, ancora, come fattore alchemico, quell’alchimia praticata al tempo dell’Antico Egitto, quando nasce il mito di Iside e dei suoi Sacerdoti, tra simbolismo e natura. La musica, attraverso l’opera del Gran Sacerdote Peo Alfonsi e le sue chitarre, insieme ai Ministri del Culto:Gabriele Mirabassi al clarinetto, J. Kyle Gregory alla tromba e al flicorno, Salvatore Maiore al contrabbasso e al violoncello, Francesco Sotgiu alle percussioni e al violino, Fausto Beccalossi alla fisarmonica e Maria Vicentini alla viola, a disposizione di chiunque voglia sconfiggere le tenebre del terzo millennio ed avvicinarsi alla conoscenza.
Il transito tra il materiale e l’immateriale, anzi la rubificazione, per citare il linguaggio alchemico, ovvero la fase terminale e definitiva della trasmutazione della materia, non può essere traumatico. Necessita di suoni dolci e accattivanti, privi di strappi, abrasioni ed eccitazioni turbolente. La composizione dei suddetti suoni, per potersi trasformare in lama che lacera il velo, deve essere sintetizzata in un non-genere, che si concentri proprio sull’effetto vibratile dell’espressione strumentale, sull’alchimia appunto. Peo Alfonsi personifica la più autorevole reincarnazione di alchimista moderno del suono. E' un chitarrista dalla tecnica sopraffina e dalla sconfinata padronanza e originalità stilistica. Pur provenendo dal jazz, riesce a metabolizzare una miriade di influenze, tra cui la musica popolare della sua terra, mediterranea, la musica da camera, con venature orientaleggianti, richiami al Messico e alla Penisola Iberica e crea un linguaggio neologico molto attuale e ricercato. I caratteri pervasivi di questa forma sonora sono il lirismo e la cura maniacale del dettaglio. Non c’è una nota superflua, melensa o ammiccante al compromesso melodico. Il significato dei quattordici brani presenti nell’album andrebbe analizzato con un manuale di semantica, più che di armonia, pur essendo totalmente strumentali. Certo, un piccolo commento alle tracce sarebbe stato gradito. Ma è probabile che tutte siano funzionali al filo conduttore, all’idea di fondo, al concept. La chitarra è la congiunzione di ogni capitolo ed il legante di tutti gli strumenti, magistralmente suonati da un combo di musicisti strepitosi. Musicisti i quali, in contrappasso con la propria maestria, subiscono anch’essi un processo di smaterializzazione, a beneficio dei rispettivi strumenti, che, nel libretto interno al CD, sono fotografati in primo piano e in dettaglio, mentre degli esecutori compaiono solamente le mani o porzioni del corpo. Corpo che è materia, e non possiede i mezzi per andare oltre il velo. Può solo disintegrarsi e lasciarsi accompagnare dagli accordi, dagli arpeggi, dalle note e dal tema melodico.
La chitarra è protagonista assoluta nei tre brani solisti. Iñárritu,dalle incisive asperità di radice basca, Routine #6, che strizza l’occhio ad Al Di Meola, con cui Peo collabora costantemente da un paio di anni e da cui è molto apprezzato, e Terra bagnata, dove la matrice folk del richiamo della terra emerge superba e nostalgica. Ma la chitarra resta attrice principale anche nei brani in ensemble, dove costituisce l’humus armonico e contrappuntistico su cui si ricamano con discrezione i temi di un flicorno che emette note di estensione infinita, come in 22 Brooklyn Terrace, nell’atto di avvolgere spirali intorno alle extrasistoliche pulsazioni contrabbassistiche, spruzzate da remoti scampanellii baluginanti. L’inizio è ammaliatore e introduce al successivo: La danza, brano suonato davvero in punta di clarinetto, quello epico di un Mirabassi in stato di grazia. Il basso è sempre li, ma non per assolvere al suo ruolo naturale di sezione ritmica, bensì di fonte di creazione di un piano spaziale pieno. La viola si presenta timidamente, per riproporsi dolcemente in Angel, in un rispettoso intreccio solista con la fisarmonica. E' un quadro musicale che profuma di tradizione popolare, si sente ondeggiare il mare, che culla l’ascoltatore appena accenna a chiudere gli occhi. In Nianà il clarinetto guida il salire delle pulsazioni ritmiche e compaiono con maggiore personalità le micro percussioni, con l’effetto di rendere il pezzo estremamente vivace, pur nella sua concisione. Fraintendimenti è una delle perle dell’album. Il solo in libertà della tromba sembra chiamare una viola in principio docile, poi sfuggente e stridula. La tessitura chitarristico-percussiva è abbagliante e traccia costantemente il sentiero tematico da cui è vietato allontanarsi. Dopo il bozzetto malinconico e dimesso per clarino, flicorno, basso e chitarra di Poi passa, l’album ci regala un’escursione tra le sonorità orientali, magistralmente interpretate dai fiati. Toni misteriosi ed inebrianti, con spazi solisti riservati anche al contrabbasso. Nella title track Il velo di Iside la linea melodica viene introdotta dal violino per lasciare il testimone al flicorno e alla fisarmonica, che alzano la tensione dell’unico brano in cui sono presenti le voci, anche se sotto forma di strumento, non narranti. Nana per Pico è costruita su un fraseggio tra chitarra e clarinetto, quale traccia di interlocuzione verso l’omaggio danzereccio alla tradizione messicana di Pico-Tico. Conclude la lista Verso Itaca, pezzo sanguigno e mediterraneo, evocativo del viaggio, suggestione del ritorno. Si respira grande equilibrio armonico e si distinguono colori acquerello e suoni privi di qualsiasi sbavatura acustica, in un’atmosfera quasi impalpabile.
Tutto l’album manifesta un pregiato spessore narrativo e ci lascia un insegnamento. Come il mito di Iside, ogni velo esiste per essere squarciato. Questa è la metafora della ricerca, del sapere e della crescita, in una tensione continua verso il superamento dell’inganno dei sensi e della fallacia dell’apparenza materialistica. La musica detiene il potere positivo di consentire la realizzazione dei nostri aneliti spirituali. Oltre ogni assioma, o articolo di fede, con leggiadria e bellezza… liberi.
L’incisione del disco mantiene l’eccellenza cui EGEA ci ha abituati. La timbrica degli strumenti è sempre corretta, come pure la risonanza dei materiali con cui sono stati costruiti. Si percepisce come la registrazione ed il missaggio abbiano ricercato una localizzazione estrema degli strumenti stessi, ovvero la collocazione in maniera abbondantemente divaricata verso i diffusori. Forse l’intento era di accrescere l’ambienza, ma fatalmente ne risulta sacrificata la pienezza della scena acustica, pur uscendone esaltata l’intellegibilità dei dialoghi sonori. Immaginandola una scelta deliberata, è prevedibile che sia stata condivisa dagli artisti come metodo di enfatizzazione dei rispettivi stili espressivi e di scrittura.
Peo Alfonsi suona chitarre Enzo Guido e utilizza pick-up e preamplificatori Carlos Juan.
Peo Alfonsi
Il Velo di Iside
EGEA Music
CD
Total time 51’ 18’’
2012