Sono sempre state numerose le dediche postume nel mondo della musica. A dir la verità mi hanno sempre un po’ insospettito, proprio per l’impossibilità di ottenere un qualsivoglia commento dall’interessato. In questo caso però l’operazione di Pete Malinverni, navigato pianista newyorkese che ha dedicato questo On the Town non solo alla città di N.Y. ma anche e soprattutto a Leonard Bernstein, sarebbe certamente piaciuta al leggendario compositore. Di questo non possiamo avere la certezza ma sappiamo della stima dimostrata dallo stesso Bernstein a Malinverni. Si narra, infatti, che una sera di molti anni fa, in un famoso ristorante di lusso dove quest’ultimo si esibiva, Bernstein si trovasse ad ascoltare il rifacimento di alcuni tra i suoi famosi brani. Dimostrando di apprezzarli, esternò i suoi complimenti all’allora giovane pianista. Quindi, Malinverni, che vanta oggi una lunga esperienza d’insegnamento in ambito musicale oltre che a una produzione discografica non sovrabbondante ma tutta di alta qualità, ricevette nel 2018 dal Purchase College di New York l’incarico di una composizione celebrativa in occasione del centenario della nascita dello stesso Bernstein. L’occasione era ghiotta, anche perché era prevista, per la realizzazione del progetto, la collaborazione di quattro musicisti tra cui Joe Lovano. Però, Malinverni, forse sull’onda del ricordo di quell’incontro di anni addietro, preferì ridurre l’ensemble al tipico modulo essenziale del trio piano-contrabbasso-batteria coinvolgendo quindi il bassista di origine nigeriana Ugonna Okegwo e Jeff Hamilton come batterista.
Ecco quindi che On the Town suddivide la sua dedica a Bernstein attraverso brani pescati da tre musical tra i più conosciuti, cioè oltre al più rappresentativo West Side Story - 1957, anche l’omonimo On the Town - 1944 e Wonderful Town - 1953. Ci sono comunque due eccezioni con Simple song, che proviene da Mass, un’opera teatrale scritta negli anni ’70, e l’ultima traccia A night on the Town, una specie di riepilogo sintetizzato di tutti gli spunti raccolti in quest’album.
Malinverni è un pianista piuttosto tradizionale, anche se non disdegna un parco robusto di dissonanze utilizzate ad hoc in alcuni frangenti. La ritmica che l’accompagna si tiene a rispettosa distanza dal leader, pochi assoli, assenza di fantasiose cavalcate ippogrifiche ma, come e ancor più di un tempo, c’è un uomo solo al comando e gli altri nel ruolo di lussuosi gregari. Del resto, il modo di suonare di Malinverni è completamente immerso nello swing con un beat serrato, lavorato molto a metà tastiera. Manieristico, certo, ma molto ben fatto. Definire questa musica come puro intrattenimento mi sembra comunque riduttivo e irrispettoso nei confronti di un musicista che domina lo strumento, soprattutto nelle piccole sfumature timbriche, e che riesce a trattare Bernstein con rispettosa libertà. E poi c’è New York. Un amore duplice, quindi, non solo rivolto al maestro compositore di famosissimi musical ma anche alla città, sentimento che traspare dalla pulsazione costante dei brani che alludono ai dinamismi metropolitani, alla vivacità di una società fatta di luci notturne e di sentimenti contrastanti.

New York New York è il brano di apertura ed è tratto dal musical On the Town. L’approccio di questo brano mi ricorda per analogia Vince Guaraldi e il suo atteggiamento spigliato e ottimista verso la tastiera. Il tema appare in superficie, con lo stesso ritmo dell’originale, pieno di sincopi fino al momento dell’improvvisazione in cui Malinverni colloquia soprattutto con sé stesso assumendo l’atteggiamento del “bopper”, seguito diligentemente dalla coppia contrabbasso-batteria che l’accompagnerà fino alla ripresa del tema, prima del finale.
Sempre da On the Town proviene anche il secondo brano qui proposto, Lucky to Be Me. Malinverni ne rispetta l’intenzione, che nel musical è quasi una ballata dal sapore romantico. Dopo un incipit moderato attacca lo swing con un accompagnamento ritmico metronomico, programmato nel seguire pedissequamente lo sviluppo musicale. Da questo si stacca poi il contrabbasso alla ricerca di un assolo che ripropone il tema, prima che il piano si riprenda il centro della scena. Una pulsar di piatti di batteria vorrebbe animare un poco più il brano, che invece scorre, imperturbabile, fino al termine.
Somewhere è forse uno tra i brani più famosi – ma non il più conosciuto! – di West Side Story. La strada da percorrere è un lento 4/4 in cui il tema un po’ si palesa apertamente e un po’ tende a nascondersi, come nelle migliori tradizioni di rifacimenti jazz di pezzi come questo. Nel clima rilassato della versione di Malinverni, tra qualche piatto vaporoso e un contrabbasso diligente, la musica ci culla senza strappi e quasi ci troviamo dispiaciuti che prima o poi il brano debba finire.
Cool, sempre estratto da West Side Story, dimostra uno spirito un po’ misterioso nell’accompagnamento veramente insolito. L’introduzione è affidata a un piccolo assolo di batteria, giocato tra il tom e i piatti, a imitare il saltellamento sui bassi della mano sinistra del pianista. Swing a manetta con il contrabbasso che accenna talora a dei parziali walking bass. Tra i brani migliori di questo album, anche per merito dell’ostinato ritmico in 2/4 che segue tutto lo svolgimento della traccia.
Simple Song proviene come detto all’inizio da Mass, del 1971, un lavoro teatrale commissionato da Jacqueline Kennedy per l’apertura del JFK Center Performing Arts a Washington. Un piano molto morbido imposta le battute iniziali, ma poi il tempo di base accelera moderatamente e progressivamente in un’improvvisazione circolare costruita sul ritorno di tre accordi che si susseguono creando un interessante groove, che tende a rallentare solo verso le note finali.
Si ritorna a West Side Story con I Feel Pretty dove il tema viene ben scandito sul ¾ originale ma il trattamento swingante di Malinverni riporta il tutto in un’orbita squisitamente jazz. A dire il vero sembra non esserci quasi soluzione di continuità col brano precedente, se non fosse per il tempo di valzer che qui agisce in continuità, tratteggiando il brano con un’impronta più melodica e leggera.
Lonely Town proviene da On the Town ed è, nella canzone originale, una malinconica meditazione sul senso di solitudine che si può provare in una grande città. È uno slow che Malinverni, dopo un bell’intro di solo piano, appoggiandosi alla discretissima e un po’ monotona ritmica, arricchisce di qualche dissonanza per creare un certo senso di tensione interna. Un brano adatto, come nelle vecchie immagini iconiche dei concerti jazz, ai locali fumosi di una volta, dove si chiacchierava tra un bicchiere e l’altro. Il pezzo si mantiene ben squadrato, omogeneo, forse anche troppo.
Anche il brano seguente, Some Other Time, proviene da On the Town e ha un curioso incipit con una fuggevole citazione di So What di Miles Davis e un accompagnamento che rimanda a Dave Brubeck. Il brano è tra i migliori del repertorio di Bernstein e si ricorda, tra le versioni molteplici che ha avuto, quella molto accattivante di Blossom Dearie. In questo frangente Malinverni si supera con uno splendido arrangiamento che rimarca i passaggi armonici originali più interessanti. Molto buono anche l’accompagnamento in tempi dispari e l’assolo di piano centrale che non si dimentica di mantenere i collegamenti tra le varie riprese del tema. Il brano è omogeneo, gli strumenti paiono molto legati e compatti, la piacevolezza è al suo zenit.
It’s Love è stata ripresa da Wonderful Town e qui Malinverni usa note staccate tra loro e fortemente sincopate accompagnate da radi accordi con la mano sinistra, probabilmente per rendere più incisivo il tema. Lo stesso metro si mantiene durante le fasi improvvisative. Un po’ di accademia, con un profilo musicale che mi ha ricordato il pianismo di Beegie Adair. Ascoltiamo pure uno dei rari momenti di gloria di Okegwo e Hamilton con un assolo di contrabbasso e una serie di stacchi alla batteria. Ma chissà perché questo pezzo mi ha fatto pensare a Time of Wine and Roses di Henry Mancini…
A night of the town è una sorta di riassunto emotivo, ideato e assemblato da Malinverni, una specie di omaggio aggiuntivo alla personalità di Bernstein.

On the Town si presenta dunque così, in una forma decisamente poco contemporanea ma non per questo meno interessante. Stupisce il ruolo centrico di Malinverni, fuori tendenza oggi come oggi, ma bisogna dargli atto della sua capacità esecutiva e di aver così tanta personalità da rifuggire il desiderio di stupire con effetti speciali.
Pete Malinverni
On the Town
CD Planet Arts 2021
Reperibile in streaming su Qobuz 16bit/48kHz e su Tidal 16bit/44kHz