Piattaforme di musica in streaming

17.06.2020

La rivoluzione digitale c'è stata giusto pochi anni fa. Era l’ottobre del 2008 quando, senza eccessivo clamore, in Svezia veniva lanciata la piattaforma Spotify. L’idea tanto semplice quanto ambiziosa era quella di rendere legale ciò che Napster aveva fatto nel lontano 1999. Quel primo sistema di condivisione musicale durò solo due anni, ma il rogo che seppe appiccare alle fondamenta dell’establishment discografico divampò molto più a lungo sotto altri nomi e attraverso altre tecnologie.

 

Piattaforme di musica in streaming | Spotify

 

Nonostante la sua chiusura per ripetute violazioni del copyright – Napster fu poi acquistato da Roxio nel 2002 diventando una piattaforma per l’acquisto di musica in formato digitale – fu chiaro anche ai più distratti che nulla sarebbe più tornato a essere come prima. In verità il file-sharing nacque in America qualche anno prima, nel 1990 per la precisione, allorché le chat testuali su IRC si dotarono della possibilità di condividere file. L’anno successivo veniva posta un'altra pietra miliare per la rivoluzione digitale. Il Moving Picture Experts Group decideva di adottare il sistema di compressione audio messo a punto dalla Fraunhofer Society quale standard per il MPEG-1 Audio Layer 3 – utilizzato nei Video CD – noto a tutti come MP3. Da quel momento in poi, grazie alla crescente disponibilità di software shareware, chiunque dotato di un semplice personal computer fu in grado di convertire il PCM dei file WAV in MP3. Per dirla in altre parole, era ora possibile trasformare le canzoni contenute in un compact disc in file di piccole dimensioni, adatti a essere archiviati all’interno dei poco capienti hard disk di quegli anni. Per le prime chiavette USB da soli otto megabyte di capacità, occorrerà aspettare fino al duemila! Un altro anno e, nel 1992, l’introduzione del MIME - Multipurpose Internet Mailing Extensions permise di allegare alle nostre mail delle immagini e per l’appunto l’audio. Il processo di liquefazione era iniziato e si dimostrò fin da subito inarrestabile, nonostante proprio in quegli anni nascessero le prime campagne contro la copia non autorizzata all'epoca promosse dalla SPA - Software Producers Association.

 

Il processo di digitalizzazione procedeva in maniera sempre più spedita. Erano gli anni in cui nei nostri computer risiedevano più versioni di player per gli MP3, di encoder e di programmi di masterizzazione. Alzi la mano chi non ha utilizzato almeno una volta Winamp o Musicmatch Jukebox o Nero. Il CD era ancora un supporto molto utilizzato e la sua capacità era più che sufficiente per contenere la musica nel suo nuovo formato light, sostituendo di fatto la vetusta musicassetta. Contestualmente all’aumento dei file posseduti, nacquero le playlist e si diffuse la pratica del tagging dei file audio. Allorché nel settembre del 1997 Windows Media Player con la versione 6.1 integrò per la prima volta il supporto al formato MP3, la conquista dei nostri computer poteva ritenersi conclusa con successo.

 

Non restava quindi che compiere il passo più importante, invadere gli apparecchi – all’epoca non eravamo ancora soliti chiamarli device – utilizzati per sentire musica fuori dalle mura domestiche. I “radioloni” e il Walkman e i suoi cloni. Il Walkman, nato nel 1979 come lettore portatile di musicassette, seppe rinnovarsi negli anni trasformandosi dapprima in lettore di CD portatile e poi di MiniDisc. Ma fu proprio a causa dei forti investimenti destinati a quest’ultimo formato e per la codifica ATRAC che Sony rimase al palo, favorendo, di fatto, il travolgente successo di Apple con il suo iPod. Era il 2001, quattro anni più tardi Sony ripensò la propria strategia iniziando la commercializzazione dei Walkman con disco rigido interno e supporto al formato MP3, non riuscendo però più a riguadagnare la propria leadership nel settore.

 

Il primo iPod conteneva un hard disk da 5 gigabyte, una porta Firewire per la sincronizzazione, che era 35 volte più veloce di una USB 1.1 e, ancor più importante, un sistema di controllo a dir poco geniale. Insomma, una figata pazzesca! Il problema era che funzionava solo con i computer Macintosh. Ma l’anno successivo, con la seconda generazione, la capienza interna venne portata a dieci e venti gigabyte, la ghiera di selezione meccanica sostituita da una sensibile al tatto e, più di ogni altra cosa, venne introdotta la compatibilità con Windows… Fu scacco matto!

 

Piattaforme di musica in streaming | Apple Music

 

Il mondo in tasca

D’improvviso ci ritrovammo fra le mani un dispositivo poco più grande di un pacchetto di sigarette, che potevamo portare con noi ovunque decidessimo di andare e che conteneva migliaia e migliaia di brani ordinatamente organizzati per album e artista. Se ci avessero detto che si trattava di tecnologia aliena proveniente dall’Area 51, nessuno avrebbe battuto ciglio!

Fu così che iniziò il binge musicale dei primi anni 2000, armati di lettore portatile e computer scandivamo il nostro tempo ascoltando di giorno quanto avevamo taggato e immagazzinato durante la notte. Un andirivieni di file e playlist in cui iTunes giocò un ruolo di cruciale importanza per Apple, che lo utilizzò come cavallo di Troia per traghettare molti utilizzatori di Windows all’interno del proprio ecosistema. Gratuito, dotato, come da tradizione Macintosh, di un’ottima interfaccia grafica, iTunes divenne presto ubiquitario anche nei computer non prodotti da Cupertino.

 

Tempo presente

Ed eccoci qui, con il computer pieno zeppo d’intere discografie che mai ascolteremo, giacché doppioni di quanto già posseduto in CD se non addirittura anche in vinile. Perennemente impegnati in estenuanti procedure di backup delle nostre librerie musicali e frustrati dall’impossibilità di domare i metadati – perché, statene certi, qualche copertina mancherà sempre all’appello – quando, anche per noi, arriva il momento per fermarsi e riflettere sul percorso che ci ha portato fin qui e sull’eventualità di riconsiderare le modalità con cui fruiamo della musica a noi così tanto cara.

 

Piattaforme di musica in streaming | Deezer

 

Il progredire delle telecomunicazioni e le aumentate possibilità di condivisione a distanza suggeriscono ogni giorno nuovi scenari dagli effetti potenzialmente dirompenti per le nostre abitudini più consolidate. Come già accaduto in altri contesti, anche per la musica stanno prendendo il sopravvento nuovi modelli di fruizione che mirano a sostituirne il possesso con l’utilizzo dietro pagamento di un corrispettivo. Va da sé che, per abbracciare un cambiamento di questa portata, occorra – per dirla all’inglese – anche un cambiamento del mindset. Quello che seguirà non vuole perciò essere una guida per orientarsi nella scelta dei servizi di streaming musicale – di questo, internet è piena – niente stelline e classifiche, quanto piuttosto una raccolta di riflessioni sull’argomento frutto dell’esperienza personale che spero possa essere utile a chi, sebbene incuriosito, non abbia ancora abbracciato il cambiamento.

 

Spotify e i suoi fratelli

All’inizio fu Spotify. Poi vennero Deezer, Tidal, Qobuz, Amazon Music e Apple Music. Ma l’elenco delle piattaforme disponibili non finisce qui. Meno conosciute ma non per questo meno interessanti, val la pena ricordare anche YouTube Music, HighResAudio e Primephonic.

 

Piattaforme di musica in streaming | Amazon Music

 

Spotify, dall’alto dei suoi centotrenta milioni di abbonati paganti e in virtù de suo ruolo di apripista, è la piattaforma di streaming con la maggiore esperienza sul campo. Molte delle innovazioni e delle strategie di marketing adottate dalla società svedese sono state poi copiate anche dai suoi concorrenti. La scelta, tuttora attiva, di permetterne anche un utilizzo gratuito, seppure con limitazioni, ne ha permesso una forte penetrazione del mercato. La stessa soluzione è stata poi adottata anche da Deezer, mentre per le altre piattaforme è d’abitudine offrire un periodo di prova gratuita, generalmente della durata di un mese. In verità al loro esordio sia Spotify che Deezer permettevano un uso per così dire full-optional delle rispettive piattaforme. Con l’aumentare della loro popolarità e degli utenti a pagamento, entrambe hanno poi intrapreso una politica di downgrade degli account gratuiti che, per limitati periodi di tempo e in maniera incostante, ha di volta in volta limitato il numero massimo di ore di utilizzo mensili, l’ampiezza della libreria disponibile, la libera scelta dei brani che era possibile ascoltare, il numero massimo di ascolti ripetuti di uno specifico brano, fino a impedire il download per l’ascolto offline. Al momento, entrambe le formule free delle due società consentono la sola riproduzione casuale dei brani appartenenti all’artista scelto, un limitato numero di skip per ogni ora di ascolto e la presenza di pubblicità e di canzoni suggerite che di tanto in tanto interrompono l’ascolto della musica da noi scelta.

 

Piattaforme di musica in streaming | HighResAudio

 

Per tutti quanti i servizi è possibile l’utilizzo tramite computer e, con l’unica eccezione di HighResAudio, smartphone e tablet. Sono supportati i sistemi operativi desktop, Windows e Mac OS, e quelli per mobile, Android e iOS. Nel caso si utilizzi un personal computer tramite browser web, è bene sapere che qualche funzione potrebbe non essere disponibile. Con Tidal, ad esempio, l’ascolto dei brani in formato MQA è possibile solo attraverso l’omonima applicazione gratuita. Indipendentemente dalle specifiche limitazioni, il consiglio che vi do è quello di utilizzare le applicazioni fornite, perché migliorano l’esperienza d’utilizzo, in particolare per quanto riguarda la creazione delle playlist e la gestione della propria musica preferita.

 

Piattaforme di musica in streaming | Qobuz

 

Al netto delle preferenze individuali l’interfaccia dei vari servizi di streaming prevede un’impostazione molto simile, che prevede una sorta di barra degli strumenti posta lateralmente nella versione per computer o in basso in quella per smartphone, accanto a un’ampia area scrollabile verticalmente e orizzontalmente, in cui si susseguono le varie sezioni che compongono la libreria musicale. A mio gusto l’impostazione di Spotify e Tidal sono quelle che preferisco. Mentre l’interfaccia di Deezer e Qobuz si basa su di uno sfondo bianco, quella di Spotify e Tidal predilige il nero. Trovo che quest’ultima soluzione renda più confortevole la lettura su display di piccole dimensioni permettendo al contempo di risparmiare batteria. Anche le varie sezioni che compongono il database musicale presentano solo lievi differenze tra le diverse piattaforme.

 

Piattaforme di musica in streaming | YouTube Music

 

Solitamente avremo una sezione in cui sono raccolti i nostri ascolti recenti, una che raggruppa le playlist create da noi stessi e quelle suggerite dal programma in base ai nostri ascolti abituali, una sezione che evidenzia le nuove uscite e così via. Da questo punto di vista, Deezer è quello che si discosta maggiormente dai suoi concorrenti, organizzando la musica più in base al mood dell’ascoltatore o all’utilizzo suggerito: fitness, relax, etc. Personalmente ho trovato più efficace la consueta organizzazione basata sull’artista e il genere musicale. In generale i servizi per così dire mainstream come Spotify, Deezer, Apple Music, Amazon Music e YouTube Music, tendono ad avere una home page molto più affollata e ricca di playlist preconfezionate utili a soddisfare tutti i gusti e le occasioni. Mentre quelli a maggior vocazione audiofila quali Tidal, Qobuz, Primephonic e HighResAudio hanno un’impostazione più tassonomica e tradizionale.

 

Piattaforme di musica in streaming | Primephonic

 

Una menzione particolare va a Primephonic che, forte della sua specializzazione e di un sistema di catalogazione specifico e molto dettagliato, costituisce de facto la piattaforma di riferimento per tutti gli appassionati di musica classica. Basti pensare che accanto alle consuete raccolte per autore, artista e genere sono disponibili playlist assolutamente geniali come quelle per solista, direttore d’orchestra, area geografica o strumento: impareggiabile!

 

Piattaforme di musica in streaming | Tidal

 

Orientarsi all’interno delle sconfinate librerie musicali dei servizi di streaming può essere talvolta difficile, se non addirittura frustrante. Per muoversi agevolmente fra sessanta milioni di brani – è quanto dichiarato da Tidal – occorre un motore di ricerca ben congeniato. Tutte le piattaforme permettono una ricerca testuale variamente efficace, ma qualcuna offre di più. È il caso di Deezer che, oltre alla ricerca vocale, mette a disposizione dei suoi utenti anche Song Catcher, attraverso il quale è possibile conoscere il titolo e l’autore di una canzone sfruttando il microfono di smartphone o tablet. Una comoda alternativa che, senza digitare nulla, in puro stile Shazam – ora di proprietà Apple – ci permette, qualora il brano sia presente nel database musicale di Deezer, di aggiungerlo ai nostri preferiti o a una playlist senza uscire dall’applicazione. Amazon Music, dal canto suo, replica integrando l’assistente personale intelligente Alexa, cui possiamo impartire comandi del tipo: “metti l’ultimo album di Neil Young”, “fammi sentire una playlist di musica italiana” o “riproduci musica rilassante”. Se lo desideriamo, in ambito home, possiamo comandare il tutto tramite gli smart speaker Amazon Echo ed Echo Dot. Veramente molto comodo quando si ascolta musica facendo altro.

 

Piattaforme di musica in streaming | Spotify

 

Spotify, infine, ha da alcuni anni introdotto un sistema di codici che, alla stregua di quelli QR, ci permettono di cercare e condividere brani e album con estrema facilità. L’utilizzo è facile e immediato. Basta fare un tap sull’icona della fotocamera a destra della barra di ricerca e inquadrare l’immagine contenente il codice per riprodurre un album, un brano o una playlist specifica. Un’alternativa più macchinosa della condivisione di un link tramite WhatsApp – possibilità offerta da tutti i programmi – ma estremamente interessante per la promozione musicale tramite web o carta stampata.

 

Sempre a proposito dell’interfaccia utente, mentre la ricerca di album e artisti tramite motore di ricerca rimane sempre la via più rapida per ascoltare quanto già conosciamo, per fare nuove scoperte è meglio invece avvalersi dei suggerimenti offerti dalla IA, l'Intelligenza Artificiale dei vari programmi. Per sfruttare al meglio quest’utilissima risorsa è consigliabile spendere il tempo necessario per una buona messa a punto iniziale, istruendo l’IA su quali sono i nostri gusti personali e in particolare su quale sia la musica a noi non gradita. Fra le varie provate, mi sento di affermare che quella di Tidal ha una marcia in più, raggiungendo dopo circa un mese di utilizzo una capacità di previsione pressoché perfetta. Inizialmente la cosa potrà apparirvi impossibile, ma in seguito i suggerimenti che saprà offrirvi saranno così pertinenti che, come è accaduto al sottoscritto, vi verrà il sospetto che l’IA abbia dato una sbirciatina all’interno della vostra libreria personale!

 

Qualche riflessione sulla qualità

Girovagando per le pagine ufficiali delle varie piattaforme di streaming online, la prima cosa che ha catturato la mia attenzione è stato scoprire che la caratteristica più importante per noi appassionati, ovvero la qualità della musica offerta, non è necessariamente quella più pubblicizzata. Sia pure con intuibili differenze, tanto i servizi in qualità lossy che quelli lossless spesso obbligano il potenziale nuovo abbonato, in cerca di maggiori dettagli circa la codifica adottata o il bitrate impiegato, a consultare le sezioni di supporto o le FAQ per veder soddisfatta tale curiosità. A prescindere da questa sorprendente constatazione, in linea generale possiamo distinguere i servizi di streaming musicale in due grandi categorie: quelli che propongono musica codificata tramite algoritmi di compressione con perdita – il gruppo più numeroso – e quelli che offrono musica non compressa, solitamente in qualità CD o in alta risoluzione. Esistono poi società come Tidal, Deezer, Amazon Music e Primephonic che hanno scelto di proporre entrambi i servizi, con costi mensili di abbonamento ovviamente differenti.

 

Piattaforme di musica in streaming | Tabella comparativa

 

Piattaforme di musica in streaming | Tabella comparativa - Cliccare per ingrandire

 

I piani di sottoscrizione meno costosi e conseguentemente più diffusi si affidano ai classici algoritmi di compressione con perdita come MP3, utilizzato dal piano in standard quality di Deezer, o AAC, impiegato da Spotify, Apple Music, YouTube Music, e da Tidal per la sua proposta di abbonamento lossy. Per quanto riguarda il bitrate si parte da un valore minimo di 24 kbit/sec corrispondente a una bassa qualità, fino ad arrivare a un massimo di 320 kbit/sec, che rappresenta la massima qualità offerta dagli abbonamenti a qualità lossy. In genere l’ascolto tramite semplice browser web determina una minore qualità di riproduzione – di solito 128 o 256 kbit/sec – rispetto a quella ottenibile con l’uso delle app desktop o mobile fornite. Queste ultime sono da preferirsi anche per la possibilità di modificare la qualità della riproduzione, sia durante l’uso in mobilità che sotto copertura Wi-Fi, permettendoci di ridurre il consumo del nostro piano dati o per evitare interruzioni momentanee dello streaming in presenza di reti congestionate e poco performanti. In aggiunta, i piani a pagamento – ma non le versioni free – offrono la possibilità di effettuare il download della musica in locale per consentirne l’ascolto anche in zone prive di copertura e in aereo.

 

Per gli abbonamenti lossless tutte le società utilizzano la codifica FLAC a 16 bit 44.1 kHz per i brani in risoluzione standard e fino a 24 bit 192 kHz per quelli in high-res. Fa eccezione Tidal, che per i brani in alta risoluzione utilizza il codec MQA - Master Quality Authenticated messo a punto da Meridian.

Senza voler entrare nella disamina dei dettagli tecnici che lo contraddistinguono o prender parte alla diatriba sulla presunta superiorità o inferiorità rispetto alla codifica FLAC, qui ricorderemo soltanto che il codec MQA è un algoritmo di compressione con perdita – lossy – in grado di incapsulare contenuti high-res in file di ridotte dimensioni ideali per lo streaming o per il download. I file così codificati, all’apparenza dei semplici file FLAC o ALAC possono essere aperti – unfolding – a diversi livelli, per adattare la massima qualità di riproduzione possibile alle caratteristiche dell’hardware utilizzato. Per esperienza personale posso affermare che, se valutato in questo contesto, per un uso “nomade”, come personalmente mi piace definirlo, le differenze qualitative rispetto a un flusso high-res non compresso non sono avvertibili nemmeno per mezzo di un ascolto critico effettuato tramite DAP e IEM di elevata qualità. Al contrario, il risparmio di banda che MQA consente rispetto a un flusso high-res non compresso ne rende più efficace l’uso in mobilità anche quando la copertura 3G o 4G non è ottimale, limitando di molto le fastidiosissime interruzioni di riproduzione che si verificano in questi frangenti. In ambito casalingo, confrontando Qobuz e Tidal per mezzo di diffusori o tramite setup in cuffia, capaci di una maggiore risoluzione del dettaglio, è possibile avvertire minime differenze qualitative. Mentre Qobuz offre una rappresentazione più neutra e lineare, con bassi controllati e asciutti, Tidal restituisce un suono più corposo e rotondo con voci maschili di maggior impatto. Curiosamente, se anziché utilizzare le app fornite, sfruttiamo un player software compatibile, come Audirvana o Amarra Luxe, tali differenze scompaiono o si riducono a tal punto da renderne impossibile l’identificazione tramite blind test. Pur non avendo trovato nessuna informazione al riguardo, è ragionevole supporre che le app fornite dalle varie società si avvalgano di una sorta di equalizzazione caratteristica, utile per differenziarsi dalle piattaforme concorrenti. Nel caso di Tidal, la massiccia offerta di musica hip-hop e rap potrebbe spiegare la scelta di un sound più corposo. Considerando la resa in bassa frequenza delle cuffie utilizzate in mobilità, in particolar modo dei modelli in-ear, non mi sento di dissentire troppo da questa scelta, avendo al contrario gradito il boost offerto anche con generi musicali completamenti differenti quali il jazz o la classica.

 

Qual è il miglior servizio di streaming musicale

Gli amanti delle classifiche e delle stelline, come già detto, non troveranno qui la risposta che cercano, non certo per utilitaristico esercizio di diplomazia ma perché quella che parrebbe una lecita domanda non può trovare un'unica risposta in grado di soddisfare tutti quanti. Meglio quindi interrogarsi su quali caratteristiche siano irrinunciabili per soddisfare i propri gusti e le proprie esigenze, caratteristiche che non corrisponderanno necessariamente a quelle del sottoscritto, ma che saranno dettate dalle vostre abitudini d’utilizzo e dalle apparecchiature impiegate per la riproduzione. Come appassionati di Alta Fedeltà suppongo che, anche per voi, la scelta più facile da prendere sarà quella in merito alla qualità. Molto probabilmente sceglierete un servizio lossless, che vi permetterà, come minimo, di ascoltare a qualità CD e, per una parte più ridotta del catalogo, in high-res. La conditio sine qua non per apprezzare tale differenza in mobilità, sarà quella di dotarsi di un paio di cuffie di qualità o, meglio ancora, di sostituire lo smartphone con un DAP - Digital Audio Player. Per esperienza, il consiglio che mi sento di darvi è quello di utilizzare una qualità di 320 kbit/sec ogni qualvolta vi troviate lontani da casa. Personalmente, quando sono in auto, in treno e in tutte le occasioni in cui l’ambiente che mi circonda con il suo rumore di fondo mi impedisce un ascolto attento e privo di distrazioni, riduco il bitrate, mantenendo comunque una qualità elevata e risparmiando non pochi gigabyte del mio piano dati. Per chi fosse alla ricerca di una maggiore flessibilità di utilizzo e preferisse utilizzare player di terze parti in luogo delle app fornite dai vari servizi di streaming, val la pena ricordare che, per sfruttare appieno il materiale high-res di Tidal, occorrerà dotarsi di un player compatibile con MQA. L’offerta al momento non è particolarmente ampia, un’app a pagamento molto interessante è USB Audio Player Pro e relativo plug-in MQA. UAPP è un must have per tutti gli appassionati che non vogliono rinunciare alla qualità anche quando sono lontani da casa. Può essere installato indifferentemente su smartphone e DAP con sistema operativo Android – al momento non esiste ancora una versione per IOS – consentendo la riproduzione di musica in formato FLAC, DSD e MQA dalla memoria interna del dispositivo, da scheda di memoria, o tramite streaming. Collegando il proprio smartphone a un DAC USB esterno, UAPP è in grado di riprodurre file fino a 32 bit di risoluzione a tutti i sample rate conosciuti.

Come per i player software, anche l’offerta di DAC/ampli cuffie portatili compatibili MQA, non è particolarmente ampia, la situazione però è estremamente fluida e non manca giorno in cui nuovi apparecchi compatibili vengano messi in commercio. Personalmente mi trovo molto bene con i prodotti di Ifi Audio, in particolare con il Micro iDSD Black Label, un device non proprio tascabile ma dalla grande versatilità e capace di pilotare anche cuffie over-ear particolarmente avide di corrente.

In ambito domestico le possibilità di integrare la nostra libreria personale con quanto offerto da Tidal, Qobuz e HighResAudio sono fortunatamente maggiori. Oltre alle specifiche compatibilità offerte dai differenti produttori di elettroniche, è possibile avvalersi – qualora i nostri apparecchi non lo prevedano e un tipico caso è quello in cui non si disponga di un DAC MQA compatibile – di ottimi player software quali Audirvana, Amarra Luxe e Roon, tutti disponibili sia per Mac che per Windows e comandabili da remoto tramite tablet e smartphone.

 

Alla luce di queste considerazioni apparirà ora forse più chiaro il motivo per cui è impossibile stilare una classifica e stabilire un vincitore. Potrebbe anche accadere che con il tempo e l’aumentata esperienza d’utilizzo sopraggiungano nuove esigenze o che l’inserimento o la sostituzione di qualche elettronica nella vostra catena di riproduzione renda necessario il cambio della piattaforma di streaming. Nulla di cui preoccuparsi, l’offerta di musica a pagamento, così come quella di elettroniche compatibili, è in continuo aumento, rendendo assai improbabile l’eventualità che non riusciate a trovare una soluzione adatta a soddisfare le vostre esigenze.

 

Parafrasando il titolo di quello strepitoso album di Paddy McAloon, I trawl the Megahertz, vorrei da ultimo suggerirvi, come ho fatto io stesso, di fare un po’ di pesca a strascico per i differenti servizi di streaming. Approfittate delle varie offerte di prova e scoprite quale servizio è quello più adatto a voi. Indipendentemente da quello che sceglierete, sono certo che dopo un po’ darete un maggior peso alla musica e vi sorprenderete ad ascoltare cose che non conoscevate e che non avreste mai pensato potessero piacervi. Paradossalmente, riconsiderare il rapporto che lega la musica all’Alta Fedeltà vi porterà a godere maggiormente proprio di quest’ultima.

 

 

Per ulteriori info: comparazione fra audio player

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