Scrivere un articolo su un trasformatore di step up è certamente stimolante, ma contestualmente complicato. Questo componente, pur essendo passivo, in altre parole non bisognoso di alimentazione, può generare consistenti problematiche d’interfacciamento. In primis perché va collocato a valle di una sequenza di ulteriori componenti, testina e cavo phono, che sono altrettanto ostici da raccordare, in virtù delle rispettive caratteristiche elettriche – induttanza, tensione di uscita, impedenza e capacità – estremamente sensibili a una variazione, seppur minimale, di detti valori, fino alla totale intolleranza. In seconda battuta perché il trasformatore stesso, costituito da nucleo e avvolgimenti di varia fattura e materia, è portatore di propri valori elettrici, che ne determinano la risposta in frequenza in presenza del segnale di ingresso. Per non dire poi del fatto che è a sua volta a monte di un cavo di segnale in uscita che viene collegato a un ingresso phono con propria impedenza.
Per fortuna offre al contempo molti pregi, ovvero l’assenza di rumorosità legata a fenomeni termici. L’attribuzione alla testina del potere di esprimersi a mezzo della sua tensione, anche in casi in cui questa sia molto bassa, fino a 0,1 mV. L’abilità di non provocare, anche ad alto volume dell’impianto, soffi e ronzii tipici dei circuiti phono attivi. Inoltre è di facile collocazione e l’eventualità di guasto è pressoché vicina allo zero.
Proprio quest’ultimo carattere ha consentito ai trasformatori dell’epoca aurea dell’analogico, prodotti da innumerevoli marchi come Denon, Audio-Technica, Dynavector, Cotter, Supex, Ortofon, Fidelity Research o Koetsu, di attraversare quarant’anni di storia audiofila, compreso il periodo di oblio del disco nero, per riproporsi in tempi recenti come gemme da ricercare. Ovviamente… a prezzi da gioielleria: e ti pareva!
Il ritorno massivo all’analogico, fenomeno in piena crescita e radicamento, non ha fatto altro che scatenare la caccia a questi oggetti, anche in maniera scomposta, ovvero senza alcuna cognizione sull’effettivo corretto utilizzo. Ma ha simultaneamente stimolato la progettazione e la costruzione di apparecchi contemporanei e innovativi, fondando sul know-how acquisito nell’analisi e lo studio di quelli storici, con il vantaggio di avere a disposizione una maggiore quantità di materiali base, superiore efficienza delle tecnologie di fabbricazione e l’affinamento degli strumenti di misurazione.
Quanto descritto costituisce il vessillo dell’azienda torinese AudioDinamica, il cui audio-pensiero può essere ricercato e approfondito leggendo qui l’intervista che i tre titolari fondatori ci hanno gentilmente rilasciato dopo un primo incontro al Monaco High End. Con la realizzazione del trasformatore di step up denominato AudioDinamica SUT N°3, loro elettronica di esordio, il gruppo ha voluto lanciare un messaggio forte e chiaro: “…amiamo i trasformatori e soprattutto l’analogico. In questi anni abbiamo collezionato diversi trasformatori di step up. Li abbiamo ascoltati e misurati. Alla fine ci siamo fatti una nostra idea su questo oggetto misterioso”. Non siamo quindi al cospetto della solita Operazione Nostalgia. Grande rispetto per il passato e la storia, ma concentrati sul presente e sul futuro.
![AudioDinamica SUT N°3 AudioDinamica SUT N°3](https://www.remusic.it/displimg.php?id=9013)
Il design singolare e modernissimo, molto accattivante, discreto e policromatico, è il completamento del connubio con la tecnica, con l’obiettivo di non trascurare la possibilità di un inserimento coerente in ambiente domestico. L’AudioDinamicoTrio ha presentato la propria creatura come oggetto del desiderio, “uno step up di qualità elevatissima, con trasformatori in permalloy, dotato di ingressi e uscite bilanciate e soprattutto in grado di essere interfacciato con qualsiasi testina esistente in commercio”. Poteva un soggetto con il vinile liquido nelle vene come me resistere a questa tentazione? Impossibile. Il SUT N°3 suona disinvoltamente nel mio impianto da un paio di mesi e ha portato un afflato di freschezza estetica e musicale, relegando a trombonate le tesi di coloro che sostengono che l’antico debba per forza essere migliore. Sia chiaro, il passato ci ha donato gioielli ancora oggi inarrivabili, delle vere icone, ma farne dei feticci non fa altro che obnubilare l’obiettività di giudizio.
Ho conosciuto molte persone che si presentavano come appassionati di analogico, ma raramente mi è capitato di trovare nei loro sistemi audio un trasformatore di step up. Magari un giradischi di buon livello con altrettanto buoni braccio-e-testina, un pre phono anche blasonato, sia MM che MC, ma di step up neanche una traccia. Non ho mai ben capito se fosse un fatto culturale, di disagio, di pigrizia o economico. Ho sempre trovato i rispettivi impianti a malapena suonanti, purtroppo artificiosi, privi di emozionalità e anima. Altri pseudo appassionati, alla stregua della volpe che non arriva all’uva, hanno deciso di votarsi all’uso di una testina MM, beatificandone le qualità. Non credo che esista in produzione una cartuccia a magnete mobile in grado di eguagliare la pregevolezza sonora di una a bobina mobile. Già meccanicamente quest’ultima, grazie agli avvolgimenti composti di poche spire e quindi con proprietà di estrema leggerezza, mostra maggiore abilità di lettura. Appare del tutto ovvio che le spire in quantità ridotta non potranno che produrre tensioni di uscita molto basse, in genere tra 0,1 mV e 0,6 mV. Ecco che allora entra in gioco il trasformatore, che si renderà necessario al fine di elevare tali tensioni, ma anche per fare in modo che il segnale amplificato conservi una risposta in frequenza lineare anche negli estremi in basso e in alto. La sinergia ideale tra lo step up e la testina, però, si realizzerà soltanto a condizione che il rapporto tra l’impedenza interna della testina e quella del trasformatore, entrambe espresse in ohm, sia ottimizzato.
Poiché quello presente non vuole essere un articolo didattico, non è questa la sede in cui mi dilungherò a trattare di questo argomento, magari mi riserverò un’altra occasione. Voglio solo aggiungere che c’è ancora un ingrediente che incide in maniera drastica sulla realizzazione di un buon accoppiamento. Sto parlando della qualità dei materiali del nucleo, come permalloy, superpermalloy o altre leghe, degli avvolgimenti, in rame o argento, delle tecniche di avvolgimento, per finire con le schermature. Solo in presenza di un sistema completo di tutti gli elementi cardine descritti potremo godere di quel realismo timbrico e musicale che dovrebbe costituire il traguardo di ogni appassionato di musica che si rispetti.
![AudioDinamica SUT N°3 AudioDinamica SUT N°3](https://www.remusic.it/displimg.php?id=9008)
Questa breve disquisizione, chiamiamola di servizio, è utile per capire in profondità il SUT N°3 di AudioDinamica. Partiamo dal fatto che il nostro, a differenza della maggioranza degli step up, i quali non si presentano certo come esempi di gradevolezza estetica, esibisce un’estrema cura del design. Il cabinet in alluminio con chassis interno, ben dimensionato e di forma cubica, con una doppia manopola sul frontale, che è un sandwich di alluminio e ferro e i terminali di collegamento sul retro, può essere scelto di diverse colorazioni, dal bianco avorio, al verde, al giallo, al blu, al rosso. Insomma è l’espressione di uno dei totem dell’offerta AudioDinamica, ovvero la customizzazione degli oggetti, che non riguarda solo il colore, ma viene estesa anche ai materiali, ai componenti, alla rispettiva combinazione e alle forme. Lo stesso apparecchio si può avere in legno, fibra di carbonio, plexiglass o altro. Molto adeguato, in un mondo in cui il look assume grande rilevanza.
Rassicuratevi, il SUT N°3 comunque non è solo apparenza, è anche contenuto, è sostanza. Nel nostro caso significa doppio trasformatore, uno per canale, con nucleo in permalloy, avvolgimenti manufatti su specifiche a opera della leggendaria Cinemag e schermatura in mu-metal. Per finire, abbiamo terminali RCA e XLR placcati in oro e commutatori rotativi GrayHill a contatti dorati, con resistenze a strato metallico allo 0,1%. Non vorrei scomodare gli Dei dell’Olimpo, ma mi sembra di intravedere molte affinità con lo lo step up Da Vinci. Bellissimo da vedere, materiali e componenti quasi identici, performance ineguagliabili, gioiello artigianale con la “trascurabile” differenza di nuclei in superpermalloy, quasi sette chili di peso e diverse migliaia di euro più costoso. C’è un ulteriore elemento di affinità tra l due. La selezione del guadagno e dell’impedenza, mentre gioca a favore dell’AudioDinamica, l’offerta, oltre ai canonici RCA, di ingressi e uscite XLR. Non è un dettaglio da sottovalutare, visto che la testina produce un segnale bilanciato che tale dovrebbe restare al fine di preservare la separazione dei canali e sopprimere qualunque fonte di ronzio da loop. La neutralizzazione dei disturbi è il problema primario da affrontare, in considerazione del fatto che, fa bene ribadirlo, è in ballo l’elevazione di un segnale molto esile. AudioDinamica offre supporto a un collegamento ottimale a mezzo di una grafica delle connessioni, contenuta nel manuale delle istruzioni, sia nel caso di utilizzo della sezione bilanciata che di quella sbilanciata. Se una dose di hum dovesse persistere, si ha a disposizione, collocata sul retro, una levetta di lift, che consente l’isolamento della massa dell’ingresso del segnale proveniente dalla testina e della massa del contenitore del circuito.
Terminiamo in bellezza il commento tecnico parlando delle regolazioni poste sul frontale del SUT N°3. La manopola in basso regola il gain. Due le possibilità: un rapporto di trasformazione 1:12 con 22 dB di guadagno, consigliato per testine con alta uscita da 0,3-0,4 mV a 0,5 mV e un secondo rapporto 1:24 per un guadagno di 28 dB, per testine a bassa uscita da 0,1 mV a 0,3-0,4 mV.
La manopola in alto regola l’impedenza su tre livelli, basso, medio e alto. L’interazione dei suddetti valori amplia la versatilità del trasformatore, tanto da consentirne l’interfacciamento con la maggior parte delle testine esistenti. L’ottimizzazione accurata delle parti si ottiene altresì regolando l’impedenza del trasformatore su valori pari alla moltiplicazione da due a dieci volte l’impedenza interna della cartuccia. Tale range tiene conto anche dei gusti personali di chi ascolta. Se si correlano i calibri di guadagno e carico descritti con l’impedenza di ingresso dello stadio phono, in genere 47 kohm, si arriva a individuare anche il cosiddetto carico riflesso e allora si può affermare di aver messo veramente a punto la testina.
I progettisti di AudioDinamica hanno effettuato in maniera certosina delle prove tecniche comparate del SUT N°3 con altri di rango, cito Uesugi 5Low, Ypsilon MC20 e Denon AU1000 fra tutti, ottenendo lusinghieri risultati sia per quanto riguarda la risposta in frequenza che la ricostruzione dell’onda quadra. NdR | Trovate un loro white paper qui.
Io ho effettuato le prove d’ascolto con la seguente dotazione: testine Yamaha MC9, Denon 103, Clearaudio Stradivari V2, Supex 900S e Koetsu Rosewood; trasformatori Audio Tekne MCT9401, Supex SDT77, ART MC8 e Auditorium 23. Questi ultimi non possono certo essere considerati versatili, anzi è vero il contrario. L’Auditorium 23 è stato addirittura progettato per la Denon 103. Per questa ragione ho pensato di mantenere accoppiamenti già navigati e di conclamata sinergia. Il tandem Denon 103 e Auditorium 23, pur collocandosi in fascia economica, costituisce un buon viatico verso l’ascolto della musica con una certa dose di coinvolgimento emotivo. Esprime altresì buone dimensioni sonore e una timbrica assonante a quella reale degli strumenti. Con il SUT N°3 mi è sembrato che la musica respirasse di più e avesse un maggiore impatto. Ascoltando il Quintetto per pianoforte di Shubert in LA, D667 La Trota, Deutsche Grammophon, si resta sbalorditi da come gli strumenti a corda siano dotati di un palpabile senso del corpo. Anche i musicisti risultano più distinti. Gli attacchi delle note chiari e lievi. Tutto si esprime con minore grossolanità e le residue imprecisioni dipendono esclusivamente dalla testina, che, al di la del suo mito, mostra oggettivi limiti. Il connubio Yamaha MC9 e Supex SDT77 è considerato, anche questo nella sua economicità di insieme, uno dei più equilibrati. Il SUT N°3 si inserisce eliminando quel velo di oscurità che caratterizza il trasformatore disegnato da Sugano, portando una crescita evidente dell’ampiezza scenica. Mettendo in rotazione Manzanita di Tony Rice, Rounder Records, finalmente sono riuscito a percepire i ritmi reali di violino, mandolino e chitarra, che si inseguono e si intrecciano in un vortice forsennato nelle tracce bluegrass. Ne scaturisce un’accresciuta musicalità generale che cattura ed eccita.
Devo dire che la Yamaha MC9, fatta suonare mirabilmente – aggiungo io – anche in coppia con l’Audio Tekne MCT9401, è la testina che collegata al SUT N°3 ha fatto registrare in proporzione il progresso più consistente. Stabilità, equilibrio, estensione in basso e in alto, con le asprezze tipiche delle cartucce economiche ridotte davvero ai minimi termini.
Altro fronte si apre quando scendono nell’agone i pezzi grossi, ovvero Supex 900S e Koetsu Rosewood, normalmente accoppiate con l’imperatore d’oriente ART MC8. Credo sia superfluo asserire che siamo al cospetto di un connubio di gran classe e raffinatezza, per il quale mi rimane difficile individuare difetti sostanziali. Il comportamento del SUT AudioDinamica con le testine citate si è rivelato al limite dell’irriverente e mi ha fatto vacillare. Queste ultime, pur figlie del medesimo artista – ancora Sugano – e la prima antenata dell’altra, sono diverse, nella costruzione come nelle performance. La Supex è notoria per le sue doti di equilibrio timbrico e armonia. Ha una leggerezza di emissione al limite dell’etereo, ma è capace, all’occorrenza, di sfoderare concrete prove di forza. La Koetsu è vivace, spietata nella capacità di lettura, con una timbrica molto naturale e rigogliosa, aggiunta a una messa a fuoco mista a un’estensione per mezzo delle quali qualunque voce umana vorrebbe essere riprodotta. Il nostro SUT N°3, con orgoglio e intraprendenza, ha fatto il lavoro migliore che ci si possa aspettare da un trasformatore di step up. Ha creato le condizioni necessarie per fare in modo che la Supex suonasse come deve suonare una Supex e la Koetsu come deve suonare una Koetsu, ovvero ha rispettato e conservato con certosina accuratezza tutti i caratteri sonori grazie ai quali i gioiellini citati hanno fatto la storia.
Se mi chiedessero opinioni preferenziali in ordine ai due SUT non mi sentirei di rispondere. Da una parte vorrei premiare l’efficienza, la grinta, l’ingegnosità del più giovane. Dall’altra non vorrei mai mortificare un fuoriclasse che, nonostante l’età avanzata, ha ancora i numeri per surclassare ogni tipo di avversario.
Ho lasciato alla fine il report sulla prova della testina Clearaudio Stradivari V2, un oggetto dalla costruzione ricercata e sontuosa, basti solo pensare alle bobine in oro. La particolarità sta nel fatto che il segnale d’uscita misura 0,6 mV e l’impedenza interna 50 ohm. Non ha mai mostrato molto gradimento per trasformatori di step up fatta eccezione per il Denon AU340 e uno degli ingressi phono del mio preamplificatore Audio Tekne TP8301 MK III. Se aggiungiamo che è molto sensibile ai valori d’impedenza e capacità del cavo phono, ne deriva l’immagine di una cartuccia alquanto idiosincratica, capace, se non si connette con componenti calibrati, di mandare in distorsione o in saturazione l’impianto. In coppia con il SUT N°3, settato al minimo del guadagno e al massimo dell’impedenza, ha regalato sprazzi di ascolto molto gradevoli, senza picchi di esaltazione. Puntualizzo che stiamo sempre parlando di standard di livello alto.
In generale il SUT N°3 si è dimostrato un componente di altissimo rango, concreto e affidabile. Non ha mai mostrato segni di cedimento, anche nel quadro di assemblaggi complessi. Ha avuto la costanza di estrarre dalle testine con cui è stato associato il massimo delle rispettive potenzialità. Ha tenacemente mantenuto la linearità dei segnali elettrici con cui è stato messo alla prova. Ma si è mostrato realmente stupefacente nel trattamento delle frequenze estreme basse e alte, facendone degli esempi di presenza, estensione, forza e raffinatezza. Rispetto ai trasformatori di step up con cui è stato confrontato, ha sciorinato una verve e un fuoco dinamico esorbitanti. Ha svelato però anche un altro aspetto importante della propria personalità. Quello ludico, da gingillo prezioso, capace di procurare al suo utilizzatore divertimento puro, grazie alla molteplicità delle possibili combinazioni dei valori. Il tutto proiettato verso quella che era la dichiarata ambizione di AudioDinamica nel momento del concepimento di questo oggetto, tutt’altro che misterioso, ovvero l’universalità, che relegasse a luogo comune il concetto che non ci può essere alcun rapporto tra testina e trasformatore al di fuori della monogamia.
Ho infine saputo, chiacchierando amabilmente con Francesco Matera, uno dei titolari dell’azienda, che è in progettazione un SUT con i nuclei dei trasformatori in superpermalloy e gli avvolgimenti in argento. Mi prenoto fin da ora per la prova. Nel frattempo mi permetto di dare un consiglio a coloro che avranno interesse per il SUT N°3. Procuratevi tanti, ma tanti LP, perché la very heavy rotation che si scatenerà nella vostra stanza d’ascolto non farà prigionieri.
Caratteristiche dichiarate dal produttore
Risposta in frequenza: 7Hz-70kHz +/-3dB a 10kohm di carico
Guadagno: 22/28dB
Impedenza della testina: 2-60ohm
Minima impedenza d’ingresso del pre phono MM: >47kohm
Sbilanciamento dei canali: <0,5dB
Distorsione armonica totale: <0,02% a 60Hz -20dB
Separazione dei canali: N/A
Dimensioni: 150x150x150mm LxAxP
Peso: 3kg
Manuale: in download qui
Distributore ufficiale Italia: vendita diretta, vai al sito AudioDinamica
Prezzo Italia alla data della recensione:
prezzo di lancio > 999,00 euro in nero o alluminio anodizzato; 1.249,00 euro colore RAL selezionato dall’acquirente
prezzo di listino a seguire > 1.199,00 euro in nero o alluminio anodizzato; 1.449,00 euro colore RAL selezionato dall’acquirente
Sistema utilizzato: all’impianto di Giuseppe Trotto