ReMusic al Museo di Strumenti Musicali Meccanici di Berna

Visite e interviste
18.11.2012

 

 

Ma come si faceva una volta senza l’hi-fi? Ora ve lo spiego, ecco che ho l’occasione per un bel pezzo di colore, di quelli che mi piacciono tanto… LOL

 

Chi lo sapeva fare, suonava, per sé o per altri. Chi poteva permettersi dei musicanti, li prezzolava e poi, via correre, come fornitori di servigi qualsiasi, dato che l’aura di sacralità e particolarità che noi attribuiamo ai musicisti è cosa storicamente piuttosto recente, almeno in occidente. Tutto qui? Poi si arriva ai giorni nostri? Affatto… Per secoli la musica è stata riprodotta anche meccanicamente, seppur non elettricamente.

 

Eccoci arrivati. Durante la mia visita presso DaVinciAudio Labs, si era alloggiati presso l’hotel Sternen, a Muri, vicino a Berna, che disponeva di un’insospettabile collezione di questi strumenti musicali meccanici. Un piccolo museo privato, creato nell’autunno 2006, che dispone attualmente di una trentina di “pezzi” – si fa per dire, vedi gallery fotografica qui a sinistra – costruiti nel secolo che va dal 1850 al 1950. L’esposizione propone un affascinante repertorio di strumenti meccanici e automatici, tutti perfettamente funzionanti e quindi in grado di essere ascoltati durante le visite guidate.

 

Fra Otto e Novecento, appunto, la riproduzione di brani musicali, non l’esecuzione, avveniva attraverso questi strumenti. Azionati da complessi congegni meccanici, ebbero un’epoca di grande sviluppo e ampia diffusione. Una conoscenza ormai perduta e dimenticata dalle masse.

Allora come oggi, o forse più di oggi, la musica scandiva i momenti di svago. Queste macchine musicali si trovavano nelle giostre, nelle fiere e nelle feste, ritmavano incessantemente le danze nelle sale da ballo. La loro musica si udiva in ristoranti e osterie, come anche lungo le strade e nelle piazze, dove suonatori ambulanti si scarrozzavano la viola sui loro carretti, spingendoli con fatica o facendoli trainare da un somarello.

 

Nel linguaggio accademico, e per noi audiofili soprattutto, un organo è solo il tradizionale strumento a canne che da secoli suona nelle nostre chiese e nelle sale da concerto. Come organo, organino od organetto, il linguaggio popolare indicava invece qualsiasi strumento in grado di riprodurre automaticamente la musica, che sia un piano a cilindro, un autopiano, un carillon o un barocco e scintillante organo da fiera, spesso arricchiti di automi che suonano piatti e tamburi.

 

I modelli erano diversi: organi meccanici, organi da fiera, organi di Barberia, piani a cilindro, orchestrion, scatole musicali, autopiani, ovvero i pianoforte a rullo che suonano da soli, i carillon e gli automati, cioè gli uccelli e le bambole meccaniche. Tre sole però erano le grandi famiglie degli strumenti musicali meccanici: carillon, organetti, pianole e piani a cilindro.

 

Si trattava in generale di grandi strumenti, se non addirittura grandissimi. Per suono e ingegnosità meccanica, la loro presenza li rendeva sicuramente affascinanti, quasi magici. Quello che risulta difficile da comprendere, per chi non le avesse mai visti in funzione, è che sostituivano effettivamente e completamente l'esecutore. Prevedevano al loro interno strumenti musicali autentici, quali organi, percussioni, pianoforti, ma con la caratteristica di suonare senza l'intervento diretto dell'uomo. Leggevano e riproducevano una musica "scritta", noi diremmo "registrata", su un supporto meccanico che poteva essere il classico cilindro punzonato, un nastro di cartone perforato o un disco di metallo perforato.

 

Il pianola cilindro è il nome ufficiale di questo strumento tipico italiano, nome poco diffuso o conosciuto a livello popolare. Da regione a regione prendeva infatti il nome di organetto di Barberia, verticale, organo, viola, pianino e altri ancora. All’inizio dello scorso secolo, infine, molti di questi apparecchi azionati a mano riempivano gli intervalli nei cinematografi.

 

Come accennavo, la fortuna degli strumenti meccanici di tipo tradizionale ha avuto vita breve. Già nel 1925, all’apice della loro fortuna, quando i costruttori raggiunsero il maggior numero di lavoratori occupati, il rapido imporsi di altre macchine da musica, di maggiore praticità e minore costo e, soprattutto, ingombro, impose la conversione di quasi tutte le fabbriche e la cessazione di molte altre.

 

A seguire, insomma, furono fonografi e grammofoni. Ma questa è un’altra storia.

E poi l’hi-fi. Ma questa è la nostra storia.

 

 

 

P.S. Se qualcuno si fosse interessato all’argomento, segnalo una delle nostre paradossali eccellenze italiane, l’Associazione Italiana Musica Meccanica, con sede a Cesena.

 

La musica meccanica nel mondo: centinaia di musei, eventi, associazioni, costruttori, restauratori e quant’altro.

 

La musica meccanica in Italia: l’Ammi. E ho detto tutto.

 

Fondata a Cesena nel 1998, si occupa di recuperare e diffondere la musica meccanica. Conta qualche centinaio di associati, compresi una decina stranieri, e raccoglie e collega tutto il sapere in Italia dedicato a questo tema. Ogni attività di studio, ricerca, restauro, manifestazioni e altro transita in questa associazione, referente anche di diverse Istituzioni per i più importanti restauri. Tra le tante iniziative e attività, organizza il Festival Internazionale di Longiano, ha riprodotto il Tamburo Meccanico di Leonardo da Vinci presentato a Milano al Museo della Scienza e Tecnica di Milano, coordina un Centro Studi e Ricerche, possiede una biblioteca specializzata fra le più importanti al mondo e intrattiene rapporti con tutte le più importanti associazioni similari nel mondo.

 

Ringrazio personalmente l’Ammi, dal cui sito ho riportato ampi stralci di testo, per l’impegno profuso nel diffondere una conoscenza così preziosa: quella della musica meccanica, un enorme movimento culturale, che per oltre cinquecento anni ha attraversato l’Europa, portando musica a ricchi e umili.

di Giuseppe
Castelli
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