ReMusic compie dieci anni

21.06.2021

NdR | Fedele al proprio understatement, la redazione si spende in poche e misurate parole su un grande traguardo simbolico, che va comunque onorato. Grazie quindi a tutti – redattori e lettori, produttori e distributori, amici e nemici – e avanti così...

 

ReMusic è nata il 28 maggio del 2011. Com’è accaduto con mia figlia, nata anche lei il 28 maggio di cinque anni dopo, ho assistito al parto. Francesca Romana è fuoriuscita da una pancia. Ho visto sangue, liquidi, incisioni, suture, ma non per questo ho perso i sensi, anzi, mi sono proprio divertito. ReMusic è nata anch’essa da un ventre, ma anche da un cuore e da una testa, anzi da diversi cuori e variegate teste. Le teste, intese come pensiero/idea/credo, apparivano non proprio uniformi, come è normale che sia, ma i cuori pulsavano tutti allo stesso modo, con una ritmicità modulata sulla passione sfrenata per la musica e la sua riproduzione fedele: l’elusione dell’anglicismo è voluta, ma prima o poi sarò costretto a farne uso. Anche in quel contesto partenogenetico – non c’è stato alcun accoppiamento, almeno per quello che so io – si è visto comunque grondare del sangue.

 

Lo scrivo in termini allegorici, nel senso che ReMusic ha origine da una frattura. Il progetto sarebbe dovuto fiorire e crescere su una configurazione a stella, o meglio sull’integrazione di un ristretto firmamento di cultori, anche appartenenti a cellule geograficamente e dottrinariamente composite. Ne sono testimonianza due articoli, diciamo così, istitutori. Mi riferisco al pre phono AN King Reference, prova di Marco Fontanelli che trovate qui, e alla Prova in batteria | Undici pre passivi e a trasformatori, di Roberto Rocchi qui, elaborati che hanno preso forma sull’iniziale asse Roma-Livorno. Le due note firme citate, a loro volta venivano da una frattura aperta nei confronti delle riviste di settore per le quali avevano prestato opera. Identico destino, che li accomunava a un altro addetto ai lavori, il nostro Giuseppe Castelli. L’obiettivo era quello di addivenire a una sorta di koinè, come sintesi di esperienze difformi una dall’altra. Purtroppo, il caos ideologico e i temperamenti, è un tratto umano, non avrebbero mai potuto produrre concordia, armonia. Chi proponeva uno stile fanzine, chi elegante, altri avrebbero prediletto la tecnica e le misurazioni o, all’opposto, il giudizio prevalente dell’udito. Divergenze sull’approccio coi distributori, sulla categoria del potenziale lettore e le rispettive disponibilità economiche, di qui il brand, dall’altro lato i progetti artigiani e l’autocostruzione. Bene fecero i “padri fondatori”, Giuseppe e Roberto, a sfrondare tutti i personalismi e tracciare una linea di lavoro chiara e condivisibile, fondata sulla libertà di espressione e di pensiero, sulla democrazia interna, sull’onestà intellettuale dei contenuti, nel quadro di un impianto redazionale partecipativo, ma comunque legittimamente gestito da un direttorio.

 

Io avevo già avuto esperienze di scrittura in ambito socio-politico, sportivo e aziendale, e ancora letterario, avendo collaborato con l’Accademia dei Lincei e la Biblioteca Boncompagni di Roma. Quando mi fu proposto – ricordo che eravamo a casa Rocchi, in via Labicana, nella capitale – di iniziare un sodalizio con la rivista nascente, per scrivere di alta fedeltà e di musica, rimasi vittima di due reazioni. La prima, come poteva essere altrimenti, di entusiasmo esagerato. Conoscevo Suono dagli anni ’70. A dire la verità ero interessato maggiormente alla redazione musicale, che a seguire fondò il Mucchio Selvaggio, responsabile, insieme a Frigidaire, di una parte della mia formazione culturale. Ma l’idea di poter recensire un apparecchio Hi-End mi apparve fantastica. La seconda reazione fu di panico. ReMusic era stata concepita come rivista Web, e come tale presupponeva un linguaggio agile, sintetico, immediato, poco incline alla prosa, con una semantica specifica anche nei segni di interpunzione: non era nelle mie corde. Il Direttore Castelli ha predicato per anni… Penso che abbia ammainato bandiera bianca. NdR | Ti piacerebbe…

 

Sono trascorsi dieci anni, non ho voglia di fare bilanci, non mi piace e la ritengo una pratica inconciliabile con la passione. Intanto ReMusic è un fenomeno culturale, nell’accezione più ampio del termine. La mia militanza mi ha consentito di conoscere molte persone, con alcune delle quali ho stretto un sodalizio di amicizia profondo. Con altre, meno. Comunque, hanno tutte lasciato un segno nella mia esistenza. Ho potuto squarciare con facilità quello che per un comune lettore rimane il velo che avvolge i meccanismi del marketing, della pubblicità, dei processi di costruzione e distribuzione delle elettroniche. Ho scoperto realtà indipendenti dove regnano la professionalità, la serietà e, soprattutto, la modestia di non qualificarsi, alla stregua del peggior Miles Gloriosus, come i migliori a prescindere. Ho testato l’umiltà e la disponibilità straniera contro l’arroganza e la presunzione italiana. Bellissimo è stato ricevere i complimenti e i ringraziamenti di vari progettisti le cui creazioni sono state oggetto del mio giudizio, cito i marchi Thaumanote, Essence of Music, AEC London e Audiodinamica su tutti. Ho migliorato le mie conoscenze tecniche e ora ho molti strumenti in più, rispetto ad allora, per poter apprezzare l’essenza di un sistema di riproduzione, in un continuum di allenamento della mia dotazione uditiva.

 

Forse i momenti di sofferenza maggiore, a parte qualche appianabile divergenza su alcuni aspetti della nostra rivista, sono state proprio le sedute di ascolto degli apparecchi. Non è una passeggiata, è un lavoro. Richiede massima concentrazione, applicazione, tempo e non è così semplice tradurre in parole le percezioni sensoriali legate all’ascolto della musica senza rischiare la retorica, la ripetitività o, in alcuni casi, il plagio.

 

ReMusic è stata la mia casa. La mia casa è stata la casa di ReMusic. Quanti eventi conviviali mi tornano in mente, i fornelli della mia cucina hanno lavorato tantissimo e la mia consorte è sempre stata in prima linea per curare l’accoglienza e stimolare i costumi alimentari audiofili. Mica si vive di solo udito… Approfitto dell’occasione per ringraziarla pubblicamente.

 

All’inizio dell’avventura, le maestranze, a dir poco invidiose, ci davano per spacciati nell’arco di un paio di mesi. Gli indios venezuelani Piaroa sostengono che l’uomo abbia almeno tre vite. Siamo ancora qui e non abbiamo esaurito neanche la prima. La pandemia non ci sta affatto facendo del bene e viviamo un periodo di transizione. Il mio augurio è che si possa recuperare una vita redazionale in carne e ossa. Almeno gli scazzi li risolviamo con le mani e non all’interno di un’arida, scialba, impersonale chat.

 

Tanti auguri, ReMusic!

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