ReMusic intervista Claudio Fasoli

09.02.2022

NdR | Claudio Fasoli non avrebbe bisogno di presentazioni, ma preferiamo comunque rimandare anche solo a una sua veloce scheda introduttiva qui e al suo sito personale qui.

Al suo recente album Next, pubblicato da Abeat Records, Musica Jazz ha attribuito il premio di miglior disco dell’anno 2021.

Per l'occasione abbiamo recensito Next qui e intervistato Mario Caccia di Abeat qui. Oggi è la volta appunto del maestro Fasoli, che ringraziamo sin d'ora.

 

Claudio Fasoli 4et - Next

 

Domanda: Maestro, dopo gli esordi negli anni’70 e il contatto con un pubblico esigente e politicizzato di quel periodo, cosa è cambiato oggi secondo lei, durante i concerti dal vivo, nelle relazioni tra i musicisti e gli ascoltatori?

Claudio Fasoli: Il rapporto fra musicisti sul palco e pubblico di ascoltatori non direi che sia cambiato molto, dato che i ruoli sono chiari e definiti. Il clima incandescente di quegli anni si è subito smorzato e tutto è tornato normale già da decenni. Ora il problema grave è la pandemia e come fare per difendersi tutelando il lavoro dal vivo.

 

Domanda: Lei ha suonato, in carriera, con molti musicisti di provenienza ed estrazione culturale differente. C’è qualcuno, in particolare, verso cui si sente maggiormente debitore?

Fasoli: Posso dire che le frequentazioni con musicisti quali Mick Goodrick, Tony Oxley, Kenny Wheeler, Lee Konit , oppure Jarmo Savolainen, Ulf Krokfors e Esa Pietilä e molti grandi musicisti italiani e francesi più o meno in evidenza mi ha dato orientamento e solidità identitaria, oltre ad essere uno stimolo imperativo a crescere e a maturare togliendo note invece di accumularne troppe, come spesso può succedere se si suona senza spazi o respiri vitali, musicalmente parlando.

 

Domanda: La Sua esperienza discografica si è orientata verso situazioni eterogenee, sia con gruppi orchestrali allargati che con formazioni “ridotte” a trio, quartetto, ecc. Nella presentazione del suo disco Haiku Time del 2017, inoltre, lei scrisse che l’intento era “…portare emozioni molto intense e pregnanti nel minor spazio sonoro possibile”. Valutando la sua discografia, si può avere l’impressione che nelle formazioni più circoscritte lei possa sentirsi meglio a suo agio?

Fasoli: le mie predilezioni vanno decisamente alle formazioni tipo quartetto e/o quintetto. Ciò non toglie che il trio nelle sue possibilità più eterogenee non possa anche lui essere molto stimolante come lo fu il Gammatrio con Rudy Migliardi al trombone e Paolo Birro al pianoforte, due musicisti diversamente straordinari, oppure con Stefano Battaglia al pianoforte con la cantante Jay Clayton, ma quello era un trio con tre leader. I grossi organici, come lo fu la Grande Orchestra Nazionale con la direzione di Giorgio Gaslini negli anni ’90 oppure la Civica di Milano diretta da Enrico Intra sono estremamente stimolanti per i volumi e i colori timbrici possenti, ma implicano anche arrangiamenti e direttori artistici e molta organizzazione, quindi considero questa operazione un lusso occasionale. Comunque, penso che qualsiasi situazione possa essere interessante e stimolante, mi piace cambiare e rischiare sempre, però sono i quartetti o quintetti la misura in cui mi riconosco.

 

Domanda: In molti suoi lavori, ad esempio in Bodies, in Land oppure Trois Trios, si avverte un’attitudine sperimentale e di ricerca a mio parere più evidente che non in altri. Quanto è stata importante, per lei, questa componente per la sua maturità artistica?

Fasoli: Retrospettivamente forse potrei darle ragione, ma comunque non mi riconosco in questa graduatoria perché ogni raccolta di brani in un CD è la fotografia di un rischio ponderato: ogni anno porta aria nuova e ogni esigenza può essere vissuta e interpretata in maniera diversa e quindi posso solo dire che quei CD rappresentano tappe di un cammino. Il mio cammino guarda sempre avanti e anche quando sembra meno sperimentale forse lo è meno architettonicamente, sul piano strutturale, ma può esserlo di più sul piano del linguaggio armonico o improvvisativo, laddove cioè una rete più solida può consentire maggior libertà e sviluppo narrativo. Più le radici sono solide, più i rami alti e le foglie possono agitarsi al vento senza preoccuparsi di cadere, questo mi hanno insegnato gli alberi…

 

Claudio Fasoli

 

Domanda: Nonostante le evidenti differenze sia di formazione che d’intenzione il suo ultimo album Next mi ha rimandato emotivamente a Venice Inside del 2009, forse per certe situazioni di maggior “raccoglimento” interiore che affiorano spesso tra le parti di entrambi i lavori. Si tratta solo di una mia personale sensazione o, secondo lei, ci può essere effettivamente qualche affinità?

 

Fasoli: Proprio perché è una sua “sensazione” vuol dire che quello era il messaggio e lei lo ha saputo “cogliere e sentire”! Certamente c’è affinità, dato che sono tutti e due miei e, in quanto tali, mi rappresentano penso efficacemente. Quell’approccio mi appartiene profondamente e mi ci riconosco in maniera assoluta e irreversibile. Se c’è un rischio questo è proprio il fatto di inclinarmi verso quei climi introspettivi con molta facilità, forse troppa, e non vorrei perdere d’occhio un equilibrio e una alternanza nella visione totale che è indispensabile poi per l’ascolto.

Basta pensare all’alternanza dei tempi nella forma Sonata oppure semplicemente nei concerti di Vivaldi. O la Passione secondo Matteo o quella secondo Giovanni di Bach.

 

Domanda: Seguendo le direzioni attuali del jazz, soprattutto quelle di diversi giovani artisti americani contemporanei, si può avere l’impressione di un ritorno verso sonorità più tradizionali, addirittura ripescando alcune strutture hard bebop dei ’50 e ’60. Alludo a musicisti come Joel Ross, Immanuel Wilkins, Isaiah Thompson, Ron Miles, ad esempio. Cosa ne pensa di questo apparente “back to the roots”, proprio là dove il jazz è nato?

Fasoli: Non è detto che tutti dobbiamo avere lo stesso approccio alla musica in generale: lei sa benissimo che quel approccio “storico” al linguaggio del jazz è quello fondamentale nell’apprendimento e quindi può lasciare tracce anche indelebili nei tempi lunghi, proponendo in realtà un linguaggio “storico ma anche antistorico”, dato che risale a 50-70 anni fa, che nel jazz sono davvero tanti anni. Però forse crescendo cambieranno, oppure troveranno altre strade, oppure creeranno novità e rischi all’interno di quel linguaggio. Certamente, se qualcuno scrivesse poesia tipo Cavalcanti, oppure musica come Beethoven, è ovvio che si metterebbe a comunicare con moduli stilistici datati e troppo riconoscibili e condizionanti. Però le strade non sappiamo come procederanno. Per esempio, Ornette Coleman ha cominciato con Charlie Parker, ma poi ne è uscita ben altra cosa…

 

Domanda: Ricordando la sua collaborazione con Brunello e i due brani “dedicati” a Debussy in Stilla, quali sono le sue relazioni con il mondo della musica classica?

Fasoli: Sono enormi. I miei primi quindici anni di vita ho ascoltato sempre tutti i giorni musica classica in casa mia a Venezia, anche perché avevo un fratello maggiore che suonava il piano e lo faceva sul serio per otto ore al giorno, laddove io dopo due anni avevo chiuso perché mi ero stufato. Ho appreso a memoria tutte le opere pianistiche da Bach a Chopin a Debussy e Ravel… Ho scoperto la musica “alternativa” che mi andava bene ed era il jazz. Mi piaceva perché era meno paludata della classica. Mi intrigava la “quotidianità” del jazz quando vedevo le foto dei bopper o dei coolster con giacca e cravatta invece del tight degli orchestrali classici. Poi il concetto di improvvisazione era molto attraente. Prima ho avuto occasione di avvicinarmi al jazz di Bix Beiderbecke e Louis Armstrong e successivamente sono precipitato nel rapimento per Lee Konitz e Charlie Parker, per cui è arrivato il mio primo sax alto a noleggio, seguito poi da un Conn. Dopo circa una decina d’anni di poca frequentazione della musica classica come ascoltatore sono pian piano tornato a riscoprirla riascoltando mille cose straordinarie. Avevo un patrimonio di Musica nascosto nella memoria! Devo dedurre che ne ho introiettato una marea con molta armonia! Per questo scrivo musica che mi rappresenta: perché sono impastato di tutta quella ascoltata da bambino e adolescente e quindi posso dire di percepire quale sviluppo armonico o strutturale può avere un brano in cui potermi identificare. Sono stato molto fortunato per aver vissuto in mezzo alla Grande Musica in famiglia e averne inconsciamente catturato il linguaggio interno e lo sviluppo emozionale.

 

Claudio Fasoli

 

Domanda: Nelle sue prove discografiche si avverte sempre una pulizia sonora tale da ritenerla frutto di una particolare attenzione nella realizzazione delle tecniche d’incisione. Dato che ReMusic si occupa prevalentemente di audiofilia, intesa come approccio ottimale all’ascolto, mi chiedevo in che modo, al di fuori del suo stretto ambito professionale, lei è solito ascoltare musica.

Fasoli: L’ascolto della Musica è un momento fondamentale per chiunque la voglia seguire come ascoltatore e anche come musicista. Le caratteristiche sonore dell’ambito jazzistico non dovrebbero essere danneggiate da una registrazione approssimativa e insufficiente, quindi è vero che per me è assolutamente importante che la resa del suono sia il più possibile fedele e efficace quasi come dal vivo. Io vado sempre a Udine a registrare da molti anni, siamo diventati amici con Stefano Amerio – NdR | Di Artesuono – perché ormai quando arrivo nel suo studio tutto è già pronto e settato come nel tempo lui ha saputo cogliere il mio suono. Anche in fase di missaggio sono sempre molto presente, anche se Stefano non ha bisogno di me per fare molto bene. È raro che non abbiamo gli stessi gusti,  può succedere, ma in genere… ha sempre ragione lui.

Io ascolto sempre quotidianamente molta musica di ogni tipo, preferendo il jazz contemporaneo e la musica classica che possa piacermi, ma a volte anche musica brasiliana e altro. Dispongo in casa di due impianti di assoluta fedeltà dislocati uno in studio – ampli Harman Kardon, lettore Philips e casse Audio Pro – e uno in soggiorno dove posso ascoltare anche i vinili – piatto Thorens, ampli Rotel, lettore Arcam. Questa possibilità di ottimo ascolto è assai stimolante come lo è l’avere anche in macchina un ottimo impianto.

 

di Riccardo
Talamazzi
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