ReMusic intervista Rajko Marcon Quarta di ItaliAcoustic

22.02.2022

La nostra pubblicazione della prima recensione di un amplificatore in classe HS ha attirato molte attenzioni e destato altrettanto interesse. Trovate una prima segnalazione di questa tipologia di amplificazione audio qui e l’articolo di presentazione al quale mi riferivo qui.

 

Personalmente conosco questo tipo di amplificazione, creata ex novo dal suo progettista Rajko Marcon Quarta, da circa quattro anni, da quando cioè l’amico Massimiliano Conforti ci ha presentato, poco prima della vera e propria premiere di questi apparecchi, avvenuta al Roma hi-fidelity del 2018, nella saletta ItaliAcoustic con diffusori Audiokit, che aveva la propria saletta a fianco. Di Rajko potete leggere qui un suo breve profilo, altamente professionale.

 

Per chi non la conoscesse, la classe HS esiste, tant’è che è registrata all’UIBM. Non se ne è ancora sentito parlare molto perché è appunto nuova. È a impulsi, come la classe D. È analogica e non digitale, come la classe D. Per essere corretti, come la classe D è più una topologia circuitale che una classe, come lo stesso Rajko spiega molto bene qui. Detto però una volta per tutte, le analogie con la classe D finiscono qui. Marcon Quarta ha preso l’idea degli impulsi e ne ha aumentato la quantità – attualmente circa 1 milione e 200mila al secondo – e la qualità – campioni controllati in frequenza, larghezza e ampiezza – dove, detto per inciso, la classe D ne modula solo la larghezza.

ItaliAcoustic HS-1 

Ho avuto per un paio d’anni nella mia sala d’ascolto e nel mio impianto un esemplare del primo modello “maturo” di ampli in classe HS, il finale da 175 watt per canale su 8 ohm ItaliAcoustic HS-1, poi da 200 watt nella sua versione di preserie. Rimando a qualche mio prossimo articolo le impressioni d’ascolto e gli inevitabili e doverosi approfondimenti.

 

Tornando alle ragioni di questo articolo, volevo rivolgere oggi a Rajko Marcon Quarta alcune domande sul progetto HS e, a seguire, sul concetto di amplificazione audio Hi-Fi in genere, come sono venute in mente a me oppure suggerite da lettori e curiosi della materia.

 

Rajko Marcon Quarta

 

Domanda: Rajko, come è nata la classe HS?

Rajko Marcon Quarta: Per “futili motivi”, cioè per scommessa con un amico. Naturalmente avevo già progettato degli amplificatori audio, credo faccia parte del bagaglio di ogni tecnico, ma erano realizzazioni “convenzionali”, alcune per diletto personale e altre su richiesta di clienti più orientati al rapporto costo/prestazioni che alla qualità estrema. Quella volta fu diverso: il mio amico giocò un caffè contro un pranzo sul fatto che io non avrei potuto realizzare un amplificatore migliore del grosso e costoso classe A che aveva appena comprato – e del quale si vantava molto – e io accettai la sfida, più per divertimento che per orgoglio. Presi la cosa sul serio, mi documentai, e le ricerche mostrarono il poderoso lavoro che molti progettisti avevano fatto nel corso dei decenni.

 

Rimasi impressionato e anche intimorito dalla qualità di alcune realizzazioni, perciò rinunciai a fare un classe A o AB “alla mia maniera” perché altri avevano speso la loro vita a costruire dei veri gioielli di tecnica ed estetica. Avrei potuto al massimo realizzare qualche “copia dignitosa”, ma non era nel mio stile, quindi mi preparai a pagare il caffè con il capo cosparso di cenere. Poi, cercando una cosa in rete, mi imbattei in una schedina di ampli classe D e la ordinai, per curiosità. Dichiarava tanta potenza, volevo verificare.

Ci giocai per giorni, misurando, modificando, sperimentando, e mi convinsi che gli amplificatori a impulsi avevano delle grandi potenzialità, ma anche dei difetti “endemici”, almeno in quelle realizzazioni asiatiche. Stavo imparando una nuova lingua, smanettando per il solo gusto di farlo, per una volta senza un capo progetto che ti dice quali componenti – economici – usare forzatamente e senza una scadenza per consegnare, senza lo stress e la preoccupazione di farsi pagare. Come facevo da ragazzo, passando nottate a costruire – e spesso bruciare – circuiti. Ma in più questa volta avevo un bagaglio ultratrentennale di esperienza e componenti moderni e strumentazione professionale a disposizione. Avevo delle idee e la possibilità di metterle in pratica seriamente. Quando raccolsi abbastanza dati, progettai da zero il mio primo amplificatore a impulsi, ed era parecchio diverso da quelli che avevo studiato: due mesi dopo la scommessa, era nato il primo HS-class.

Registrai la classe su insistenza di un amico avvocato e tornai in laboratorio.

 

Il resto è stato duro lavoro, come sempre. Nessuna magia, solo tanto impegno e notti insonni.

 

Domanda: Rajko, sappiamo che una parte del tuo percorso professionale ha affrontato il terreno delle trasmissioni in “alta frequenza”: cosa ti è servito da questa grande esperienza per affrontare la progettazione di apparecchi ad uso domestico, la volgarmente detta “bassa frequenza”?

Rajko Marcon Quarta: A chi viene dalla radiofrequenza, nota anche con la sigla RF, le applicazioni audio possono sembrare “facili”, ma compresi presto che, se si esigevano prestazioni al vertice, le cose si sarebbero fatte piuttosto impegnative. L’esperienza in RF è stata utile per disegnare la “fisicità” dei circuiti, ossia come gli schemi elettrici – parte teorica di un circuito – sono tradotti nella disposizione reale dei componenti, dei collegamenti, delle schermature, delle dissipazioni termiche. Il punto è che ci sono tantissimi modi per realizzare in pratica uno stesso schema elettrico. Dove le frequenze sono basse è probabile che la maggior parte di questi funzionino, anche se con qualche difetto; ma se le frequenze sono alte, come sanno bene anche i progettisti di schede digitali ad alta velocità, la maggior parte dei “layout” non funzioneranno, altri daranno problemi, e solo pochi faranno in realtà ciò che la teoria prevede. Ecco, chi lavora in RF è “temprato” già dal principio a modellizzare sia la parte teorica che quella realizzativa, in parallelo e con meticolosità.

Per dirla in modo scientifico: in ogni processo ci sono delle variabili “nascoste” che non sono state considerate nell’approccio teorico perché si è stimato che sono trascurabili o perché sono ignote. Nel primo caso, se la stima è stata ben fatta, non ci sono problemi, per esempio l’influenza del fumo di sigaretta nel progetto di uno stadio finale, ma nel secondo l’ignoranza si paga e un’interferenza non considerata può trasformare un amplificatore in un oscillatore che distrugge i diffusori.

La RF ti costringe a pensare contemporaneamente allo schema, al layout e al tipo di componenti, e a porre un’attenzione maniacale a ogni dettaglio, perché impari sulla tua pelle che il piccolo dettaglio trascurato diventa il problema che rovina il progetto.

 

Domanda: Con la tua classe HS hai usato il sistema a impulsi della classe D e sei “andato oltre”: per quale motivo? Cosa ti ha spinto a farlo e perché?

Marcon Quarta: Nella classe D c’è un comparatore che ha lo scopo di “impostare” la larghezza dell’impulso per analogia con il livello del segnale di ingresso in quell’intorno di tempo. Non ci sono “salti” di larghezza minimi, non ci sono conversioni numeriche, il processo è completamente analogico. Però è limitato nella sua risoluzione, come tutti i processi analogici, perché vi sono indeterminazioni, interferenze, rumori di vario tipo, effetti dovuti alla fisica dei componenti. Fenomeni indesiderati di cui soffre un classe A come un classe D, non nello stesso modo, ma con lo stesso effetto: distorsione nelle sue tante componenti, incoerenze, limitazioni nella dinamica, intermodulazioni e via dicendo.

Era necessario andare oltre a livello di architettura per ridurre al minimo quei difetti ed esaltare i pregi dell’amplificazione a impulsi, cioè l’efficienza, la velocità, la precisione, la stabilità.

 

Domanda: Gli HS “smettono” di amplificare, si silenziano, al raggiungimento di un certo tasso di distorsione, questo perché, di progetto, non vuoi superare questa soglia. Quanto raggiungono in termini di distorsione gli altri ampli, le altre classi? Un valore tipico/medio, insomma.

Marcon Quarta: Si tratta di una filosofia di progetto che determina un comportamento piuttosto che un altro. Per usare una metafora automobilistica, è come la differenza tra una vettura che ha il controllo della trazione rispetto a una che non ce l’ha. Se il fondo stradale non consente una buona presa, la prima toglie potenza alle ruote e procede con la massima accelerazione possibile lungo la traiettoria voluta, mentre la seconda pattina, sbanda e, se andiamo a misurare i tempi, accelera di meno perché resta lì a far fumo. Succedono cose simili con gli amplificatori: quando il livello troppo alto o l’impedenza di carico troppo bassa portano l’apparecchio fuori dalla sua ”zona di lavoro ottimale”. La maggior parte dei finali in queste condizioni – molto più frequenti di quanto non si immagini – distorce il segnale a livelli che un esperto audiofilo o un analizzatore audio denuncerebbero come inaccettabili. Ma spesso non ci si fa caso per motivi psicoacustici, perché sopra i 90dB di pressione sonora la capacità di accorgersene diminuisce, però la fatica di ascolto e la salute dei diffusori ne risentono parecchio. Un classe AB portato vicino al limite supera il 10% di THD e anche i classe A, che hanno alimentatori sovradimensionati per via del basso rendimento e quindi sopportano meglio le forzature, aumentano la distorsione a livelli simili, stressando i diffusori con armoniche pericolose.

 

Ho progettato gli HS in modo da restituire sempre una distorsione bassissima, e avvertire l’utente quando essa è circa allo 0,1% con un indicatore apposito. Forzando oltre si può arrivare a circa l’1% di THD, poi l’apparecchio va in protezione, perché oltre quella soglia non sarebbe più un’amplificazione di qualità, e anche per salvaguardare l’impianto. Altri apparecchi possono essere spinti fino alla distruzione dello stadio finale o dei diffusori – perché le forme d’onda “squadrate” tipiche della distorsione sono estremamente dannose oltre che sgradevoli – e questo può dare l’impressione che siano più robusti o potenti, ma è come giudicare migliore una vettura perché fa fumo dalle ruote e sbanda piuttosto che accelerare. Ognuno è padrone di scegliere il prodotto che lo rappresenta di più, sono scelte personali e vanno rispettate.

I miei apparecchi suonano al loro meglio, oppure non suonano.

 

Domanda: Come ho accennato, io ho avuto un tuo HS-1 mentre alcuni amici e collaboratori ReMusic hanno già provato e si sono dotati del tuo nuovo integrato, l’HSA-05S, e mi hanno detto che, anche utilizzandolo in modalità DIR, cioè come solo finale, pilotato quindi da un preampli esterno, loro lo preferiscono in funzione integrato, usando cioè la sua sezione pre interna. Come sappiamo la tua circuitazione HS riguarda la sezione finale, quindi quella pre è, per così dire, “tradizionale”. Ci puoi parlare di come hai ottenuto questo alto livello di ottimizzazione, della sezione pre in generale e del suo controllo del volume?

Marcon Quarta: Ho solo cercato di fare il meglio possibile in ogni parte del progetto. È necessario che ogni anello della catena sia valido e ben collegato, e questo per un amplificatore integrato comporta che dai connettori di ingresso alle boccole di uscita tutti gli stadi siano all’altezza dello stadio finale, anzi superiori, proprio per non limitarne le prestazioni.

 

ItaliAcoustic HSA-05S

Poiché l’architettura HS necessita di circuiti molto veloci, come solo un’elettronica analogica miniaturizzata può realizzare, è stato relativamente facile ottenere un preamplificatore e un controllo di volume con alta dinamica, basso rumore e praticamente nessuna rotazione di fase, usando quel tipo di componenti e di layout.

Lo stadio finale dell’HSA ha una larghezza di banda superiore a 100MHz, ma la banda passante del segnale audio è stata limitata a meno di 50kHz, quindi ci troviamo nel caso in cui lo schema elettrico del preamplificatore è magari simile ad altri ma l’implementazione fisica è tale da rendere bene in pratica ciò che prevede la teoria, cioè non ci sono interferenze, problemi termici, rallentamenti e intermodulazioni tali da peggiorare in modo apprezzabile il segnale nel suo percorso. È il lato buono dell’integrazione.

 

Dunque, nessuna magia, solo tanta precisione e una compattezza necessaria perché gli oggetti grandi sono belli ma non sempre tecnicamente ottimali per vari motivi legati alla Fisica.

 

Sicuramente ci sono preamplificatori migliori di quello che ho progettato io, restano ancora molte prove da fare, si paleseranno. Non ho mai preteso di fare meglio degli altri: come ho raccontato all’inizio provo infinito rispetto e ammirazione per il lavoro di chi è maestro in questo campo.

 

A me interessa imparare, rifletterci su, ripartire da un foglio bianco per disegnare i miei circuiti, e poi giocarci finché non ottengo soddisfazione. Quando qualcosa non funziona sono più curioso che seccato, i problemi si risolvono e s’imparano altre cose.

 

Se poi quello che faccio piace anche a qualcun altro, al punto da fargli scegliere di acquistare un mio prodotto, ne sono felice, ringrazio e vado avanti.

 

Domanda: A proposito di quella che potrebbe essere una “accoglienza del mercato”, cosa ne pensi di alcune critiche viste sui social riguardo al tuo progetto HS?

Rajko Marcon Quarta: Non seguo molto quei canali, è una scelta personale, preferisco lavorare e coltivare le mie frequentazioni di persona. Quindi non ero a conoscenza di queste reazioni ma certo non me ne stupisco, è una cosa fisiologica, istintivamente ciò che non si conosce si avversa. Poi, per qualche motivo, sembra che parlar male di qualcosa senza conoscerla dia a qualcuno l’impressione di esserne esperto. Io apprezzo il lavoro degli altri e lo rispetto, se non riesco a informarmi da solo preferisco fare domande piuttosto che criticare. E naturalmente ho piacere di rispondere alle domande su ciò che faccio, fa parte del vivere civile e dell’avanzamento della conoscenza. Ritengo inutile e dannoso coltivare polemiche.

Quando ero bambino avevo uno zio falegname, bravissimo, e una volta ingenuamente gli dissi che secondo me il suo modo di incollare il legno era sbagliato. Lui con calma mi chiese quanti mobili avevo fatto per sapere di quella cosa, e la mia scena muta fece ridere lui e riflettere me. Alla fine, contano i fatti. Sono contento di aver imparato quella lezione da piccolo: evidentemente non tutti hanno avuto questa fortuna.

 

Domanda: Tornando al mercato in senso stretto, come ci siamo detti molte volte quello degli audiofili, ai quali il tuo attuale prodotto si rivolge, sia per prezzo che per prestazioni, è attraversato e caratterizzato da esigenze e aspettative a volte distanti o in contraddizione con quelle tecniche: grandi dimensioni da una parte e corsa alla compattezza dall’altra, ad esempio. Quelli che abbiamo provato sono a tutti gli effetti degli esemplari di preserie di HS: come pensi di venire incontro alle richieste più “d’immagine” del mercato e cosa prevedi di fare nella produzione di serie, anche se a piccoli lotti.

Rajko Marcon Quarta: È prematuro parlarne adesso, ma consideriamo che la tecnologia moderna non ha motivo di produrre oggetti “grandi”, a meno di non avere necessità di enormi dissipatori di calore, e anzi ci sono valide motivazioni per realizzare le elettroniche in modo più compatto possibile per abbattere rumori, interferenze, ritardi e sfasamenti nei segnali. Per chi punta alla massima qualità audio, il discorso tecnico è prioritario.

In ogni caso, dove sarà opportuno le dimensioni cresceranno, saranno adeguate, non c’è nessuna impostazione “ideologica” nel fare oggetti piccoli, solo nel farli di qualità.

Quanto alla “immagine del mercato” si entra in un territorio che ha certamente la sua definizione “di massa” ma anche delle eccezioni, perché molti vogliono distinguersi, anche esteticamente. Chi si riconosce in un apparecchio grande e pesante ne acquisterà uno; chi si riconosce in qualcosa di più compatto ed efficiente, troverà il suo prodotto. C’è spazio per tutti.

 

Fine prima parte - Alla seconda parte dell'intervista

 

Per ulteriori info: al sito ItaliAcoustic

di Giuseppe
Castelli
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