ReMusic intervista Roberto Verdi di Vrel Electroacoustic

01.04.2019

I diffusori Vrel Electroacoustic Bequadro sono tra le realtà italiane – e non solo nazionali – più interessanti degli ultimi anni. Non capita tutti i giorni, insomma, di poter sentire un progetto a dipolo, in configurazione D’Appolito, ad alta sensibilità, ad alta impedenza, del tutto privo di crossover e che giunge persino a dotarsi di propri cavi di potenza già predisposti per il biwiring… Una o due di queste cose insieme – ma pure tre, perché no – possono capitare. Ma tutte queste caratteristiche tutte insieme fanno delle casse Bequadro un vero unicum nel panorama mondiale dei produttori di diffusori. E intendo di quelli veri, non dei cantinari, di quelli che rispettano e applicano le regole del marketing, quelle che vogliono una precisa serie di componenti per certificare la tua reale presenza sul mercato. Faccio un esempio sicuramente incompleto: ricerca, innovazione, prodotto, prezzo, distribuzione, promozione, anche attraverso prove e fiere di settore, package, garanzia, assistenza post vendita… Anche qui tutti questi fattori, contemporaneamente presenti, contribuiscono a definire la singolarità Vrel, un’azienda che in questi stessi giorni si sta dotando di nuove e più ampie strutture produttive per assecondare la richiesta dei suoi diffusori.

Per questi e molti altri motivi, avendo in prova alcuni dei diffusori Bequadro, che verranno presto recensiti qui da Maurizio Fava, ho pensato di rivolgere qualche domanda preliminare al progettista e proprietario Vrel Electroacoustic, Roberto Verdi, che dirige inoltre un’altra grande azienda, la Adcomm, responsabile di buona parte della qualità e dell’indipendenza del processo produttivo Vrel: un magnifico esempio di sinergia costruttiva “fatta in casa”, ma in eccellenza.

 

Domanda: Roberto, l’ascolto e la successiva comprensione delle tue casse mi hanno smosso diverse certezze… Lo sai, sto scherzando, ma non troppo, perché già da tempo nei miei gusti personali in fatto di diffusori andavo nella direzione dell’alta efficienza, ma la tua alta impedenza e altre scelte progettuali sono ben oltre. Volevo quindi farti delle domande specifiche, per darti la possibilità di far meglio comprendere anche ai nostri lettori il tuo progetto, veramente più unico che raro.

Roberto Verdi: Grazie, Giuseppe. Nella mia vita professionale, ma anche in maniera amatoriale, ho esplorato molti aspetti tecnici, sino a maturare una mia convinzione personalissima, in parte limitativa, lo capisco, con la quale mi confronto ogni giorno e che mi fa chiedere: ciò che stai realizzando è necessario? Magari non innovativo, ma qualcuno avrà bisogno di quello che stai facendo? Possono esserci risvolti concreti? Beh, i tuoi gusti personali vanno verso l’alta efficienza, e questo è straordinariamente “sano” per me, non tanto per la scelta in sé, ma per quello che un rendimento elevato può comportare o, meglio, apportare di positivo a una catena audio.

 

Vrel Bequadro Due

 

Domanda: Nella tua presentazione parli di “funzionalità dipolare modificata” per descrivere le tue casse, puoi illustrarci meglio di che si tratta?

Verdi: Questa definizione identifica un diverso approccio alla soluzione dell’open baffle, che racchiude in sé diverse misure intraprese che conducono a un progetto finale più vicino a uno strumento acustico piuttosto che al solito “pannello bucato”. Abbiamo invece adottato una struttura armonica piuttosto complessa, e responsabile di diverse correzioni tonali, per quanto concerne il telaio e il pannello frontale, che compartecipa al suono di questi diffusori, conformati in maniera tale da raccordarsi con il pavimento, per sfruttare così l’effetto suolo. Inoltre i driver, che ricordo sono interamente costruiti nella nostra azienda, Vrel 255A e 385A, rispettivamente da 10” e 15”, sono appositamente costruiti per questo tipo d’impiego, dislocati in configurazione D’Appolito, ma un po’ fuori l’asse mediano del pannello, e di un driver particolare, anch’esso proprietario, con due membrane fenoliche, il modello Vrel 26AX/2, di tipo dipolare HDPP. La scelta “elettrica”, fondamentale, per altoparlanti collegati tutti in serie, è il non adottare un crossover elettrico alla frequenza d’incrocio.

 

Vrel Electroacustic 385A

 

Domanda: I woofer largabanda delle Bequadro sono in serie. Ora, se c’è una relativa sicurezza in questo sistema di accoppiamento, è che gli altoparlanti devono praticamente essere “uguali” per comportamento elettrico e meccanico. Se così non fosse, uno “tirerebbe” di più e magari l’altro “spingerebbe” di più o di meno, o suonerebbero alcuni più e altri meno forte, creando null’altro che confusione e imprecisione, questa sì, all’ascolto. Sto approssimando, ma so che mi capisci… Insomma, i tuoi woofer devono muoversi all’unisono: come ottieni questo?

Verdi: Lascio semplicemente fare tutto a loro, in maniera naturale, senza alcun tipo di vincolo, come in una danza, in cui tutti vanno a tempo di musica. “Lasciare fare a loro” determina una scelta sonica particolare, anche, in cui io son potuto intervenire. Vedi, il punto sta tutto qui: avere un sistema che sia il più naturale possibile, come sottolineato dallo stesso nome scelto per i nostri diffusori, bequadro, termine che in inglese significa una nota eseguita in modo appunto naturale.

In primis: gli altoparlanti impiegati sono sostanzialmente identici, operano in maniera naturale e non sono filtrati elettricamente. La loro estensione arriva sino a circa 6 kHz, per poi scendere in maniera molto dolce sull’estremo superiore. La risposta e, molto più importante, la timbrica a questi driver viene imposta tramite ben conosciute procedure meccaniche, quali il trattamento dei coni e altre tecniche di “silenziamento” delle strutture che li compongono. Il fatto di collegarli in serie esprime bene quanto il sottoscritto possa odiare il feedback, il controllo imposto. Questo è un primo significativo passo. Ogni membrana si muove sul pannello, sicuramente in maniera sincronizzata, reciprocamente. Quello che può cambiare, tra i vari elementi, è senz’altro il tempo di attacco e di decadimento, e in parte l’escursione, perché diverso è il carico acustico offerto dall’ambiente. Questo crea una sinergia a mio avviso entusiasmante. Smettere i panni da tecnico, alle prese da tanti anni con induttori, condensatori, calcoli dei volumi dei reflex o delle cavità accordate, e riacquistare una certa sensibilità, che avevo da giovane, mi ha fatto riappassionare a questo mondo. In un esteso campo di frequenze, avviene infine l’incrocio – o l’incontro, come amo dire – con il driver dipolare HDPP.

 

Vrel Electroacustic 255A

 

Domanda: Appunto, la tua unità medioalti HDPP Vrel è unica e comune a tutti i tuoi modelli di diffusori. È un tweeter a tromba, a direttività costante, non a compressione, infatti è dipolare, cioè emette anche posteriormente. Come hai ottenuto questo risultato e quali sono i suoi vantaggi e limiti, se ne ha?

Verdi: Caro Giuseppe, unico è il progetto, unico vuole essere il suono, unica vuole essere la filosofia, perché se così non fosse, assisteremmo a quei clamorosi quanto divertenti siparietti in cui abbiamo a disposizione varie sonorità da un unico diffusore o produttore. Un atteggiamento incomprensibile, per me. Vrel utilizza gli stessi altoparlanti per tutto il suo range produttivo. E non vedo vie di uscita. E in tutti i modelli utilizziamo ovviamente lo stesso driver a cono e la stessa tromba MCD. Si tratta di un driver dipolare costruito da noi che incorpora due membrane contrapposte che operano nel medesimo volume di lavoro, anch’esse, ovviamente, in serie. Questo tipo di approccio assicura una funzionalità simmetrica, e di tipo dipolare, appunto, senza volumi di carico, perché le due membrane si spostano in push-pull. Frontalmente una tromba MCD, una sorta di direttività costante, ma modificata in maniera empirica, accompagna l’emissione di una delle due membrane fenoliche verso l’ascoltatore. Nessuna compressione, nessun rifasamento acustico. La sua genesi? Insomma, mi fu subito immediatamente chiaro e lampante che se volevo le medesime prestazioni di un open baffle, ma nei contenuti musicali e nei transienti a 8.000 Hz, avrei dovuto necessariamente privare della scatola posteriore un qualsiasi driver commerciale per tromba. I primi due modelli, del 2013, sono cosi. Montano dei vecchi driver pesantemente modificati della EV privati della scatola posteriore. Da subito mi resi conto della necessità di creare in azienda i miei driver e della necessità di doverli costruire con due elementi, in serie, appunto, per massimizzare le caratteristiche di risposta all’impulso. Ma, soprattutto, migliorarne la timbrica e la coerenza timbrica con l’altoparlante delle mediobasse: questo è un aspetto fondamentale.

 

Vrel Electroacustic HDPP

 

Domanda: Sempre sulla tua unità medioalti, la domanda da un milione di dollari: ma come si fa a non mettere nemmeno uno straccio di crossover passa-alto, un accenno di condensatore a protezione del tweeter, e buttargli dentro paccate di watt e le frequenze più basse per intero senza che questo venga distrutto?

Verdi: Semplicemente perché non gli vado a dare tanti watt in bassa frequenza. Per questo driver ho realizzato un limitatore di tipo induttivo e resistivo, nulla di particolarmente innovativo, ma prudenzialmente affogato in resina epossidica, che limita di fatto l’energia a bassa frequenza. Ecco qua, dirai tu, bella forza, sempre di crossover si tratta. No, perché un crossover opera alla frequenza di incrocio. Io tolgo energia ben prima della frequenza in cui il sistema HDPP inizia a emettere suono, almeno in maniera apprezzabile. Il taglio è perciò di tipo meccanico e per niente ripido. Complice poi una certa robustezza del driver, l’adozione di uno speciale ferrofluido, creato per altri scopi ma adottato per le nostre necessità, e il collegamento in serie delle membrane. In questo senso, torniamo ancora al principio del minimo feedback imposto, perciò ogni membrana bilancia in maniera sinergica la propria attività… E un giorno ti farò ascoltare quanto possa suonare diversamente e peggio il tutto soltanto collegando le membrane in parallelo!

 

Vrel Electroacustic 385A e 255A

 

Domanda: Assenza di colorazioni, di rotazioni di fase, di crolli del modulo e facilità di carico mostrata all’amplificatore: quello del diffusore privo di crossover è contemporaneamente un sogno ma anche una chimera. Tutti lo vogliono, pochi ci riescono: secondo te perché? Per quale motivo abbiamo così pochi progetti privi di crossover sul mercato? E come l’hai ricercato e ottenuto tu?

Verdi: Fare diffusori senza crossover elettrico è facilissimo, basta non metterlo, ma difficilissimo allo stesso tempo. La classica situazione della coperta corta. Io ho cercato, ripeto dopo tanti anni di attività, seppure di tipo ludico/professionale, di tornare a un sistema semplice, se vogliamo anche arcaico, dato che il dipolo è stato il primo diffusore, ma con un’interpretazione che non avrebbe tollerato compromessi e… spero di esserci riuscito!

Spiegando la cosa in modo leggermente più tecnico, ho cercato di ottenere l’emissione di un larga banda, di per sé coerente, senza doverne patire le tante limitazioni. Questo comporta usare dei driver da 15”, per mantenere bassa la distorsione, ma al contempo non avere colorazioni, o meglio caratterizzazioni, come dico sempre io. Diavolo, qui le cose si fanno complicate. Nella pratica normale, ritengo che, sì, realizzare diffusori senza crossover elettrici, o meglio, senza impiegare celle di compensazione e quant’altro, sia complesso. Ma paga. Un impegno che appaga completamente. E lo si sente dalle prime note.

 

Vrel Electroacustic HDPP 2

 

Domanda: Provando le tue casse mi sono reso conto di quanto pochi siano gli amplificatori disposti a lavorare sopra gli 8 ohm, anche solo a 12 ohm, quelli dei tuoi diffusori. Ma tutto questo mi ha fatto allo stesso tempo riscoprire il valore di tante amplificazioni giapponesi, anche vintage, a loro agio anche su 16 ohm. Noi sappiamo che una volta tutti gli ampli lavoravano bene ad alte impedenze, con pochi watt e cavi di sezione – e oggettiva qualità – ridicola oggigiorno. Poi, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, anno più anno meno, in nome di una sbandierata “precisione” degli altoparlanti si è andati verso driver con impedenze basse e, di necessità ampli “robusti” in termini di erogazione di corrente. Tutto questo perché, secondo te? Che cosa si è cominciato a perdere, allora? Cosa possiamo recuperare, adesso? Tu spesso dici che, ti cito testualmente, “molti progettisti disconoscono la legge di Ohm”: in che senso?

Verdi: Grazie per la domanda, Giuseppe. Una domanda preziosa, quanto spigolosa. Abbiamo diverse volte parlato di questo, nelle nostre conversazioni. Beh, come tutti gli appassionati, conservo tutte le riviste di settore, dai numeri uno a salire. E allora torna il ricordo delle recensioni dell’epoca, di apparecchi straordinari del sol levante, dei pannelli finemente spazzolati e fresati, delle rifiniture impeccabili di quegli integratoni e finaloni anni ’80, spesso di scuola giapponese. E già all’epoca mi domandavo: com’è possibile che cotanto sforzo tecnologico e progettuale, debba sottostare alla derisione di un recensore ed essere sottoposto alla gogna mediatica solo per non aver aggiunto una coppia di transistor da poche lire nello stadio finale? Quegli amplificatori, se collegati a carichi “normali”, avrebbero suonato in maniera divina. Ma i vari costruttori di altoparlanti, con poche eccezioni, si sono sempre ostinati ad abbassare il modulo d’impedenza. Complice una generalizzazione della componentistica reperibile, parlo degli altoparlanti, tutta incentrata sull’uso di tecniche Power Like, piuttosto che sulle caratteristiche musicali del prodotto.

A pensar male, mi viene naturale sospettare un bel trend di puro business…

Quindi via alla corsa ai minidiffusori e, per fare suonare la classica “scatola da scarpe”, in mancanza di superficie del cono, tutti giù a dare corrente. Ma l’andazzo si è diffuso ben oltre e anche i prodotti dei marchi più blasonati e inclini all’efficienza, ben presto sono diventati difficili da pilotare, costringendoci alla necessità di dotarci di vere e proprie “saldatrici” in luogo di semplici amplificatori audio. In fondo, i watt sono sempre quelli, e i nipponici anni ottanta ne avevano tanti di watt. Allora perché scendere verso il basso? Perché in Asia i percorsi sono stati diversi?

Domanda/offerta: questa è la legge del mercato.

I progettisti non disconoscono la legge di Ohm, semplicemente fanno ciò che il mercato gli chiede di fare. Mercato che impone le sue regole, noncurante se tutto ciò va a discapito, alla fine, del risultato. Mercato che crea nuovi bisogni, nuove necessità. Forse in Giappone, all’epoca come oggi, l’etica e la professionalità portavano a consigli diversi. A te lascio i commenti ulteriori…

 

Griglia Vrel Bequadro Uno

 

Domanda: Quella dell’assenza di fatica di ascolto e della contagiosa godibilità e immediatezza del modo di suonare delle tue casse mi sembrano rientrare fra i loro tratti distintivi. Come mai secondo te si fanno poche casse così? Come mai la maggior parte dei diffusori sono algidi, senz’anima, poco istintivi, molto distaccati dal suono reale?

Verdi: La risposta è in parte contenuta nelle risposte precedenti. Vogliamo far danzare l’ippopotamo o la ballerina? Cerchiamo naturalezza, armonia, assenza – o comunque limitazione – del feedback già in fase costruttiva del diffusore, che è il componente che più evidenzia le differenziazioni progettuali? Sai, mi occupo da anni di automazione e costruisco macchine industriali. Lì, il feedback, o meglio la controreazione, è fondamentale. E in campo audio, molteplici sono le applicazioni professionali in cui il feedback è fondamentale. Ma si parla di controllo attivo, di procedure complesse e finalizzate a perseguire uno scopo ben preciso. In un normale impianto audio, le cose sono ben diverse. Se possiamo assistere a un concreto miglioramento sonico di un amplificatore, limitandone il fattore di reazione o feedback, questo è tanto più evidente in un diffusore. Qualsiasi altoparlante a larga banda si comporta così, va “lasciato suonare”, vista la sua leggerezza e velocità, e un approccio dipolare, senza compressione acustica, non può che esaltarne i benefici.

Bequadro offre questo, in tutti i comparti. Alta impedenza, trasduttori in serie, carico acustico limitato, tipologia dei trasduttori a basso feedback per sistema magnetico e sospensioni, scelta dei materiali. Non dobbiamo aspettarci che necessariamente il finale di potenza, debba fermare l’ippopotamo nel suo ballo goffo, dopo che con tanta fatica è riuscito a farlo partire. La ballerina sulle punte di Bequadro parte con un soffio e con la stessa facilità l’amplificatore potrà fermarla nel suo moto.

Questo sì determina naturalezza, mancanza di fatica di ascolto, immediatezza, ma anche e soprattutto dati oggettivi prestazionali significativi: dinamica, massimo SPL, estensione, timbrica. Una ricetta semplice, tutti i diffusori dovrebbero suonare così, come suggerisce il nostro claim pubblicitario…

 

 

Per ulteriori info:

al sito Vrel Electroacoustic

scrivi a Vrel Electroacoustic

di Giuseppe
Castelli
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