ReMusic intervista i Vinilici

19.01.2021

NdR | Se siete arrivati qui, magari è anche solo per la curiosità di scoprire cos’è Vinilici… Nei seguenti link trovate in ordine cronologico qualche altro nostro articolo o news dedicati a questo docufilm: uno, due, tre, quattro e cinque.

 

Devo confessare un grave peccato, reso ancora più cupo da un mio parziale pentimento. Circa quindici anni fa, forse un po’ troppo precipitosamente, vendetti tutta la mia raccolta di vinili, più o meno 2.500 dischi, a tre ragazzi di Napoli che avevano un negozio dell’usato a Milano. Dopo tutti questi anni il destino ha voluto che qualcuno rigirasse il coltello nella piaga e la mia Nemesi si è realizzata proprio attraverso l’inconsapevole regista napoletano Fulvio Iannucci, che ha realizzato un documentario come Vinilici basandosi sulle idee e sulla collaborazione di Nicola Iuppariello e Vincenzo Russo.

 

Attraverso una serie d’interventi di personaggi del mondo della musica, dello spettacolo e della cultura si è realizzato un percorso a ritroso sul filo della memoria per ciò che riguarda l’ascolto della musica in vinile. Solo nostalgia? No, per lo più si tratta di una realistica considerazione sul destino del supporto fonografico che, seppur messo in crisi dallo streaming, ha reagito ritornando alle origini. E mentre il compact disc viene progressivamente a perdere lo scettro, il disco nero, che pareva fuori dai giochi, torna nel cuore e nella mente di tutti, anche tra i più giovani. ReMusic ha rivolto una serie di domande ai tre realizzatori di Vinilici raccogliendone le risposte che qui seguiranno, alle quali è stato aggiunto anche un contributo di Mogol, che ovviamente non ha bisogno di presentazione alcuna.

 

Domanda: Nel documentario Vinilici si esprime un parere netto sul problema dello sfruttamento della musica. Il passaggio dall’analogico al digitale ha reso possibile a tutti il download illegale prima e l’utilizzo di piattaforme di streaming poi. Si è così creata una situazione critica nei riguardi di tutti coloro che lavorano, dal punto di vista professionale e creativo, con la musica. Pensate che la rivoluzione del CD e la digitalizzazione possano essere ritenuti responsabili, almeno in parte, di questo sfruttamento a cui avete fatto riferimento?

 

Fulvio Iannucci


Fulvio Iannucci: I dati mostrano che i comuni utenti della rete hanno un'opinione non sempre edificante del "sistema diritto d'autore", inteso nel suo complesso, che viene spesso percepito come un freno alle possibilità di innovazione, di espressione, di informazione e di diffusione della cultura. Se l'avvento del digitale ha messo in crisi l'idea fondante di copyright, ovvero la capacità nelle mani di pochi di produrre copie, l'avvento dell'interconnessione telematica ha minato anche le basi della commercializzazione delle opere, giocata interamente sulla distribuzione di copie materiali nel circuito di vendita e sulla rendicontazione e ritorno al produttore degli introiti. Da ciò si deduce chiaramente che la diffusione di comportamenti contrari al modello tradizionale di copyright è direttamente proporzionale all'aumento della disponibilità di tecnologie che appunto consentono tali attività. È dunque importante che questi aspetti vengano sempre monitorati con attenzione, così da capire meglio i punti deboli dell'attuale sistema e cogliere quali possono essere le strade da prendere per proposte di modifica. Ciò che appare chiaro è che l’idea di copyright è ormai indigesta a gran parte delle persone e che urge un cambiamento. In vista dell'attuazione della Nuova Direttiva Europea sul Copyright è evidente che si tratta di cambiare radicalmente i modelli di business: passo che non tutte le parti in gioco sono disposte a fare.

 

Nicola Iuppariello

 

Nicola Iuppariello: Certamente la digitalizzazione e l’accesso alle informazioni ha creato un problema sulla diffusione dei diritti intellettuali e di proprietà, che non riguarda solo il settore della musica. Il fenomeno è tale anche perché, evidentemente e naturalmente, il diritto non segue in tempo reale le esigenze concrete e il rapido evolvere dello scenario della distribuzione è stato profondamente segnato dallo sviluppo tecnologico. Ma questo è un argomento a margine nel docufilm e non è mia intenzione entrare nel merito di questa problematica.

 

Vincenzo Russo


Vincenzo Russo: Su questo argomento bisogna fare una distinzione importante per focalizzarci soprattutto sulla modalità di fruizione della musica. Lo streaming attraverso piattaforme come Spotify o YouTube, se da un lato ha permesso agli artisti di arrivare velocemente e potenzialmente a tutto il mondo, dall’altro ha ridotto la loro economia. Ognuno può fare le proprie valutazioni a riguardo, è però oggettivo che, dalla propria musica, gli artisti ricavino sempre meno, con tutto ciò che ne consegue.

 

Mogol

 

Mogol: La tecnologia ha dato la possibilità a tutti di promuovere le canzoni indipendentemente dalla loro qualità. È chiaro che queste canzoni sono state assimilate soprattutto dai giovani in base al loro gusto.

 

Domanda: Quando si decise il passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale, come mai, secondo voi, nessuna delle grandi major riuscì a prevedere la rivoluzione che gli si sarebbe rivolta contro nella gestione di queste stesse tecnologie?

 

Iannucci: L'avvento del Web ha cambiato il modo di fare economia, riuscendo a superare le vecchie barriere d'entrata e creando nuove opportunità di profitto attraverso il web marketing. Le major avrebbero dovuto modificare i propri comportamenti davanti alle nuove esigenze dei consumatori, cercando di trasformare le possibili minacce in opportunità, norma base non scritta del fare strategia aziendale. Ciò non è accaduto probabilmente per due motivi. Il primo è ricercabile nella mancata intercettazione da parte delle major delle grandi potenzialità offerte dalla digitalizzazione e dall'ascesa di Internet. Il secondo motivo è l'accanimento da parte delle major nel preservare il mercato tradizionale. Piuttosto che cercare fin da subito una soluzione che potesse garantire il controllo del mercato digitale, le major hanno inutilmente tentato di arginare il file sharing. Dopo aver preso consapevolezza del fatto che questo fenomeno fosse inarrestabile, hanno quindi provato a creare il proprio canale distributivo digitale, fallendo miseramente, e il motivo principale è stato la tradizionale tendenza a non collaborare.

 

Iuppariello: Non era possibile con le tecnologie di allora prevedere lo scenario attuale, o almeno era prematuro. Quando è nato il Compact Disc e negli anni ’80 in cui si è sviluppato non c’erano ancora i presupposti per temere le ripercussioni della tecnologia digitale. La strumentazione digitale era ancora alla portata di pochi: il supporto si è sviluppato nella metà degli anni ’80 e le conseguenze più dirette si sono avute solo negli anni ’90 con l’incremento dell’industria pirata, sino a quando poi clonare un CD non è stato alla portata di tutti con l’uso del masterizzatore. Il vinile invece non si può duplicare in casa. L’introduzione di Internet e l’aumentare poi della velocità di trasferimento dei dati è stato lo spartiacque che ha portato al lento decadimento dell’industria discografica, che non ha saputo porre riparo e adeguarsi per tempo all’evolversi degli eventi. Inizialmente il digitale sembrava essere invece la panacea, per i costi ridotti di produzione e distribuzione che le case discografiche sostenevano. Ma non avrebbero potuto immaginare o porre rimedio al fatto che oggi chiunque nel proprio studio può realizzare una hit di successo. Il rimedio ora non è certo distribuire solo su vinile! La musica oggi si ascolta in streaming, ma il vinile resta a mio avviso il miglior supporto per il suo ascolto.

 

Russo: È un po’ la domanda che si sono posti tutti nell’industria musicale e alla quale viene risposto solo in parte dall’appartenere all’epoca dei cambiamenti tecnologici/sociali più veloci della storia. L’obiettivo di una Major, così come della quasi totalità delle imprese, è quello di massimizzare il profitto. Pensare nel breve termine non sempre è una scelta che paga.

 

Domanda: Dalle interviste contenute nel documentario, gli amanti del vinile sembrano dividersi in due gruppi: coloro che asseriscono la superiorità del disco nero in termini di puro ascolto, timbricamente più corretto, più caldo e più godibile e altri che considerano il vinile come un oggetto di culto nell’insieme della cura e della ritualità che esso esige, come pulizia, mantenimento, bellezza della copertina, ecc. ecc. Ritenete che questa seconda interpretazione possa essere corretta?

 

Iannucci: Naturalmente, sì. Infatti, abbiamo voluto privilegiare l’aspetto emozionale del mondo del vinile che lega sia l'ascolto sia il culto della ritualità. Ricordiamoci che la ritualità ha sempre regolato i rapporti tra gli uomini e la natura. Infatti, nella drammatica situazione pandemica che stiamo attraversando – nella quale sono cambiate molte delle nostre abitudini e i rituali che le definiscono – ci sentiamo persi e disorientati. Jung ha sottolineato come una delle funzioni del rito sia proprio quella di essere uno strumento per arginare il disorientamento esistenziale dell’uomo. Dietro al comportamento rituale, vi è dunque un bisogno di contenere le energie istintuali e affettive che maggiormente ci turbano. I rituali – come prendere un disco, metterlo sul piatto e ascoltarlo fino alla fine – hanno una forma di “sacralità” o “solennità”, sono comportamenti che definiscono chi siamo, come viviamo e hanno un forte significato sociale. Ci fanno sentire parte di un gruppo. Ad esempio, cercare creativamente di riscoprire vecchie abitudini come rispolverare vecchie collezioni di vinile con familiari, amici e colleghi, potrebbe dar vita a un nuovo rituale, ugualmente potente come quelli tradizionali.

Da questo punto di vista, il nostro desiderio è stato quello di fornire allo spettatore gli strumenti necessari per decidere se vinile vuol dire qualità della musica, qualità dell’ascolto o qualcos’altro che scoprirà solo dopo aver visto il film.

 

Iuppariello: Il vinile è questo, ma è anche una moda, uno status symbol che viene utilizzato per affascinare e influenzare, a volte è anche un ricordo da conservare senza mai ascoltare, un oggetto da collezionare tra tanti altri, magari con maniacale attenzione dai feticisti, oppure semplicemente un supporto per ascoltare la musica.

 

Russo: È una classificazione corretta e che personalmente trovo emblematica del grandissimo fascino che il vinile esercita. Per una schiera numerosa di collezionisti, il solo già possedere un disco è frutto di grande soddisfazione. Di quanti altri oggetti potremmo dire la stessa cosa? 

 

Domanda: È possibile che possa essersi creato un mito eccessivo attorno al disco in vinile? Un ritorno alla nostalgia mediato più dal potere emotivo del ricordo rispetto al suo effettivo valore intrinseco?

 

Iannucci: Uno studioso che considero un mio maestro, Marshall McLuhan, ha scritto: “Gli oggetti ci sfuggono. Solo i loro reciproci rapporti ci si manifestano compiutamente”. Non si tratta di un puro gioco intellettuale. Cogliere questi nessi significa capire e vivere il proprio tempo, vuol dire saper passare, in tutte le esperienze che facciamo, dall’abitudinarietà del cliché alla forza dell’archetipo. Solo in una falsa visione statica l'esperienza del ritorno al vinile può essere considerata come una meccanica sovrapposizione di conoscenze e di esperienze emotive.

Il vinile è una tecnologia – per dirla sempre alla McLuhan – che modifica il corpo, e con esso quegli apparati sensoriali che ci portano ad agire e a sentire, a patire, a godere. Un massaggio continuo, ininterrotto, penetrante. I media, quindi anche il disco, sono estensioni del nostro modo di essere che lavorano nella stessa direzione: quella di metterci in una qualche relazione privilegiata con l’ambiente, magnificando alcune nostre sensibilità e inibendone altre. Il celebre villaggio globale è questo: un ritorno ai clan su scala planetaria, a quei media “caldi” che lasciano all'individuo un proprio territorio di manovra, un tempo per la riflessione e una conseguente responsabilità personale.

 

Iuppariello: Prescindendo dal valore intrinseco, per il vinile esiste un valore soggettivo, che può essere minimo o immenso a seconda dei personali punti di vista, e un valore oggettivo che rispecchia il concreto interesse che vi è rispetto a una determinata produzione. In merito invece al valore "intrinseco" di un disco in vinile, se paragonato a un supporto digitale, esso risiede nella naturalità della riproduzione della registrazione analogica. Il vinile in questo caso riproduce la forma d'onda del suono, così come il nostro orecchio è abituato a percepirlo, mentre il digitale ne riproduce un’approssimazione. NDR | Tecnicamente indistinguibile se non scientificamente superiore alla riproduzione analogica, vedi qui.

 

Russo: Ed è proprio uno dei suoi punti di forza! La musica stessa è un linguaggio che dialoga in simbiosi con le emozioni, il fascino di un disco è dato anche dall’essere un catalizzatore di queste emozioni.

Se dopo oltre cinquant’anni stiamo ancora parlando del vinile è per via di una serie di motivazioni che variano dall’oggettivo al soggettivo. Ed è ciò che abbiamo voluto trasmettere in Vinilici. Perché il vinile ama la musica.

 

Domanda: L’incremento delle vendite del vinile in questi ultimi anni ha fatto supporre che anche una parte del pubblico giovanile sia rimasto affascinato dal disco nero e da una tecnologia che prima non conosceva. Ma quanto di tutto questo, secondo voi, è da attribuire a una moda e quanto invece a un’intima e informata convinzione?

 

Iannucci: Il termine moda deriva dal latino modus, che significa, tra l’altro, maniera, norma, regola, tempo, melodia, ritmo, tono. Dunque, non metterei in opposizione i due termini moda e convinzione, perché la moda rappresenta sicuramente un fenomeno storico ed economico-sociale ma anche e soprattutto psicologico e culturale. A causa della velocità con cui i trend si susseguono, l'essere alla moda è un concetto che nel corso degli anni ha perso valore perché ci si trova di fronte alla coesistenza di una molteplicità di mode che si rincorrono e arricchiscono vicendevolmente. Oggi, infatti, ogni individuo compone la propria immagine con una maggiore consapevolezza e autonomia di giudizio, costruendo, quindi, un proprio “stile di vita”. Da moda a stile esiste un vero e proprio passaggio concettuale: lo stile personale rappresenta la manifestazione di un'identità individuale, che in quanto tale può essere trasversale alle mode, può cioè liberamente attraversare proposte di moda diverse, prendendo da ciascuna ciò che serve a definire un risultato del tutto personale.

 

Iuppariello: Il mercato del vinile ha trend di crescita senza soluzione di continuità da ormai un decennio e ciò, a mio avviso, non si può più definire una moda o un semplice ritorno nostalgico. I giovani si affezionano sempre di più a questo supporto in un’epoca in cui tutto è fruibile senza l’esigenza di possedere, ciò deriva invece dall’esigenza di riappropriarsi dei propri gusti, del proprio tempo, di dedicarsi a se stessi e, in qualche modo, la crescita del mercato del vinile rispecchia quello del fenomeno dello slow food: la voglia di tanti di vivere la musica dedicandole il giusto tempo e la giusta attenzione.

 

Russo: I giovani sono stati fondamentali nell’incremento delle vendite e della diffusione del vinile. Basta farsi un giro nelle fiere del disco o su Instagram tra i vari hashtag dedicati. Certo c’è anche chi si approccia per moda, ma di solito quella è passeggera e numeri testimoniano che il vinile ha una sua super nicchia, radicata e in continua crescita.

 

ReMusic ringrazia gli autori Fulvio Iannucci, Nicola Iuppariello e Vincenzo Russo. Grazie a Mogol per il suo intervento. Un grazie speciale a Chiara Giuria, senza il cui interessamento raccogliere questa intervista non sarebbe stato possibile.

di Riccardo
Talamazzi
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