Percorrere i sentieri della soul music può presentare più di qualche rischio quando questo genere venga affrontato da musicisti esclusivamente bianchi. Alle volte si può essere risucchiati nel calderone imitativo un po' kitsch del blue eyed soul, a meno di non chiamarsi Amy Winehouse o di appartenere a una ristretta cerchia super partes come Van Morrison, per esempio... Ma questi bostoniani provenienti dalle variegate scene musicali della loro città, uniti sotto il nome di Reckoners e precedentemente noti come Band of Killers sono riusciti a preparare un cocktail alcoolico di sapore vintage strutturato con mezza parte di soul alla Otis Redding e l'altra metà di puro rock blues più un'abbondante spruzzata finale di r&b.
A dir la verità è lo stesso leader del gruppo, il chitarrista Johnny Trama, che in un'intervista rilasciata a Marc Clarkin di Motif il 2 gennaio del 2023, vedi qui, descrive le coordinate entro cui si muove la musica di questa band: “sono decisamente influenzato dalla musica soul classica... un'altra grande influenza è Tom Petty... e i Rolling Stones, specialmente il periodo di Mick Taylor...”. In effetti l'ars combinatoria che Trama e sodali mostrano di saper elegantemente gestire nel loro eponimo album d'esordio Reckoners evita l'atteggiamento di sussiego verso il sound tradizionalmente “black” del soul per proporre una variante arricchita di chitarre blues che rimanda a tratti al ricordo di certo southern rock d'annata. La spontanea, dolce ruvidità naturale dello stile Motown si sposa quindi con il beat asciutto del rock, senza progetti sabotativi surrettizi ma con l'intenzione di creare una coerenza estetica che regga tranquillamente il battesimo del fuoco di un esordio come questo.
I componenti dei Reckoners non sono comunque certo alle prime armi. Il già citato chitarrista Trama lavora con la cantante Betty LaVette, il cantante e chitarrista Tim Gearan – la cui voce risulta come una strana mescolanza tra Rod Stewart e J.J.Cale – è presente da venticinque anni sulla scena bostoniana con otto album editati come titolare. Alla batteria troviamo Tom Arey, già con J. Geils Band e Peter Wolf, al basso elettrico Marc Hickox, anche lui spesso a fianco di Betty LaVette e di Charlie Musselwhite. Completano la formazione le colorate tastiere di Darby Wolf. In più, il primo brano dell'album e forse anche il secondo vedono l'ospitata della cantante e chitarrista Susan Tedeschi, anch'ella di Boston.
L'album Reckoners, pur essendo quindi radicato in tradizioni musicali ben definite, non suona come una semplice imitazione, non annega nella retorica della nostalgia o della riproduzione pittoresca. Al contrario, ogni traccia possiede un suo particolare marchio di fabbrica, con il sostegno di una sezione ritmica robusta quanto basta, mentre le chitarre ruotano spedite e avvolgenti sul loro cardine rock blues. C'è una certa parsimonia di suoni, cioè non compaiono sovrastrutture orchestrali né strumenti a fiato, vicariati dallo splendido, duttile organo suonato da Wolf che si trova spesso a far le veci dei sax, quasi onnipresenti nel black soul di cui abbiamo memoria. L'asciuttezza di questo suono, dunque, ne costituisce l'arma vincente, promuovendo un ascolto piacevolmente divertente che potrebbe far breccia non solo tra gli amanti del soul più tradizionale.

L'inizio è lo spettacolare Looking for a Reason, dove le secche chitarre della Tedeschi e di Trama s'incrociano appendendosi alle gole delle le due voci, sia di Gearan che della stessa Susan Tedeschi. Ma gran parte della buona riuscita del brano l'attribuirei alla tastiera Hammond che gratta l'aria con le sue vibrazioni brunite. Siamo proprio a metà, sospesi tra rock e soul. A tratti sembra persino di riascoltare un Rod Stewart degli esordi rinvigorito da un accompagnamento bello solido e un po' sporco di fanghiglia blues.
Bring it Down sottolinea certe colorazioni rock che non sarebbero state fuori luogo in un album solo di Keith Richard, così come le tinte presenti di soul avrebbero potuto comparire tranquillamente in un live show di B.B. KIng. Di sicuro non manca il sentimento notturno e urbano che ci si potrebbe aspettare da brani come questo, immersi in un riconoscibile topos stilistico musicale.
Woman's Woman devia più decisamente verso Otis Redding e Percy Sledge, con un lentaccio r&b da angoli bui, costruito sul classico passaggio armonico I-IV grado di settima aumentata, quello sopra cui si costruiscono ad arte gli slow di questo tipo. Brano comunque di gran classe, cantato e suonato con l'approccio vincente di chi sa precisamente quali corde emotive andare a sollecitare.
Bigger Than the Sky, nonostante la sua architettura non inusuale, è un pezzo che cattura l'attenzione soprattutto per la cospicua parte strumentale centrale. Effettivamente da una traccia che sembra inizialmente un moderato r&b ci si ritrova in modo naturale a scivolare in un contesto di tinteggiature alla Clapton o meglio alla J.J. Cale, forse per lo stile degli assoli chitarristici. Non trascurabile nemmeno la mano di Wolf al piano elettrico.

Long Hard Road si focalizza maggiormente su un rock di stampo sudista, con Arey che pesta il tempo così come s'addice a un serio batterista rock tra chitarre un po' distorte e l'organo rugoso dell'onnipresente Wolf. Siamo arrivati dunque ad ascoltare il quinto brano nella sequenza dell'album e fino ad ora non c'è stato alcun calo di tensione né, soprattutto, tanto meno di qualità.
Last Thing in Sight è una sapida rock ballad, un po' meno virulenta dei pezzi precedenti e in fondo, nonostante il bell'incrocio di tastiere e l'espressivo assolo di chitarra, risulta essere un poco meno soddisfacente rispetto a tutto il resto fin qui percepito. Comunque, la voce di Gearan è così marcatamente soul che non gli si potrebbe chiedere nulla di più.
Get it Back, tra le sue percussioni di carattere latino, ci porta per un attimo a costeggiare uno strano territorio che confina con Santana, quello dei primi due album, ma allo stesso tempo non si allontana troppo dalla borderline del già più volte citato J.J. Cale.
Con Gone Hungry si torna alla ballatona rock ben scandita dalla secchezza delle chitarre, distanziandosi un poco – ma non troppo – dal soul più classico per avvicinarsi allo stile di frontiera degli stati sudisti, tutto sudore, polvere ed eccitazioni alcooliche.
Broken Promised Land, tra rockabilly e country rock, è un up tempo che invita al ballo con delle chitarre dalla inconfondibile sferzata “slide”.
Poi arriva Kaleidoscope Love, in ossequio al miglior sound rock blues, ammantata da collosi riff chitarristici.
Chiude il soul blues di Come Back Home, ben interpretato nei suoi crismi espressivi dal canto di Gearan, tra subitanee stilettate di chitarre alla B.B. King e un chorus di quelli che restano in mente anche quando la musica finisce.

Se la vostra testa ribolle di musica soul, rock e blues, senza una precisa gerarchia di gradimento per questi generi, allora Reckoners è l'album – e il gruppo – ideale. Cioè una raccolta di sensazioni viscerali e narrazioni lineari “piacevolmente prevedibili”, mi verrebbe da dire, in un condensato di note fisiche e sanguigne che lasciano alle spalle il desiderio di ascoltarle ancora ed ancora. Fascino del vintage? Il Minotauro che urla dalle cantine per tornare in superficie? La verità è che questa musica, oltre a piacere al sottoscritto, sono quasi sicuro che continui a essere gradita un po' a tutti, soprattutto quando è onestamente e rigorosamente ben fatta come in questo caso.
Reckoners
Reckoners
CD Reckoner's Music 2024
Reperibile in streaming su Qobuz 24bit/44kHz e Tidal qualità max fino a 24 bit/192 kHz