Invece di accontentarsi del “solito” trio piano-contrabbasso-batteria, Roberto De Nittis decide oggi di fare un giro sulla giostra dell'orchestra della sua città, la Sinfonica Young del conservatorio Umberto Giordano di Foggia. Autodefinitosi, all'epoca del suo lavoro d'esordio del 2019, non senza un'abbondante dose di autoironia, un musicista dada – così era pure intitolato il suo primo lavoro pubblicato con l'etichetta Caligola Records – oggi De Nittis, immerso in una nuova serie di pensieri mutevoli, diventa, per così dire, un autore “serio”. Nel senso che nel suo nuovo album, Maé – abbreviazione dialettale che sta per il meno familiare appellativo di “maestro” – oltre a proporsi effettivamente al pianoforte, accompagnato dalla ritmica di Riccardo Di Vinci e Marco Soldà, si cala nell'ambito dell'orchestrazione arrangiando con fantasia quasi fanciullesca una sequenza di sue composizioni.
Il nucleo del lavoro di De Nittis – lo stesso cognome di un grande artista suo conterraneo, il pittore pugliese Giuseppe De Nittis, morto in Francia a trentotto anni nel 1884 – è dedicato a un altro illustre personaggio foggiano, il compositore Umberto Giordano, divenuto famoso soprattutto per aver realizzato l'Andrea Chenier nel 1896. Deluso dalla scarsa attenzione che i suoi concittadini gli riservarono, Giordano abbandonò Foggia per ritornarvi dopo trentasei anni di esilio volontario. La vicenda umana e artistica di questo compositore, un misto di orgogliosa ritrosia e disillusa nostalgia, ha evidentemente colpito l'attenzione di De Nittis che, nell'intervista rilasciata ad Alceste Ayroldi per Musica Jazz il 22 giugno di quest’anno, ha ammesso di aver coltivato per Giordano un “...rapporto viscerale, che è lo stesso tipo di legame che ho con Foggia, la mia città...”. Il rischio d'incappare in uno sperimentalismo fine a sé stesso, data la mescolanza di numerosi linguaggi musicali, è stato brillantemente evitato, sia per l'abilità dell'autore di lavorare nel campo dell'orchestrazione e dell'arrangiamento – scrivere una partitura per un grande ensemble di musicisti non è la stessa cosa, evidentemente, che lavorare per poche unità di strumenti – sia per la grande conoscenza di De Nittis della musica classica e inoltre per la capacità di assemblare quest'ultima influenza con elegante levità insieme ad istanze più moderne di stampo jazzistico.
Si ascolta un po' di tutto, in questo sorprendente album, dal melodramma al pianismo di primo Novecento, dalle citazioni contestuali di Gershwin, Ellington e Bernstein, ai soundtrack disneyani fino al jazz-rock dei tardi '70. Un altro punto a favore della buona riuscita di Maé sta proprio nella giovane età degli orchestrali, tutti attorno ai vent'anni, con i quali l'autore è riuscito a interagire accendendo in loro l'entusiasmo per le sue musiche. Molto colore e molti contrasti, quindi, per De Nittis, che ricostruisce una serie di immagini e avvenimenti legati a Foggia e all'ipotetica presenza di Giordano, come se ancora egli si muovesse, riaccolto e riappacificato, nel cuore della sua città. Da notare, oltra alla presenza dei già citati Di Vinci al contrabbasso e Soldà alla batteria, l'intervento di Zoe Pia in un assolo di clarinetto in Napoletana e Francesco Pio Russo al fagotto in Don Gaetano, mentre l'orchestra è diretta da Andrea Palmacci.

La Banda Colta, come primo brano dell'album, si ambienta in un metaxy tra Shostakovich e Tchaikowsky con un netto, classico ¾ e qualche rimembranza felliniana. Un pieno orchestrale rende trascinante il tutto, romanticamente contrappuntato dal piano di De Nittis. Si lavora in un gioco di chiari e scuri tra la Fata Confetto e le sfumature più drammatiche del Valzer n.2 dell'autore osteggiato da Stalin.
Il tempo dispari di tre su quattro rimane tale per circa la metà del brano successivo, La Ballata Di Giordano. Introdotta dal placido accompagnamento di piano, si appoggia languidamente su un oboe che rimanda a qualche soundtrack morriconiano. Il brano ha una velatura nostalgica, come se si richiamasse a tempi e luoghi del passato ma ancora ben presenti nella memoria. Ad un certo punto il ritmo rallenta e si dilata in una parentesi di puro jazz cameristico. L'intervento susseguente degli archi riallarga il focus su una visione più generica, tornando quietamente in ambito orchestrale.
Molto più mobile, con persino qualche accenno tanguero, è il complesso e luminoso Bancarelle, che corteggia Gershwin e rende palese il clima confusionario di un mercato cittadino. Il piano cerca di scavarsi una parentesi più tranquilla tra il pizzicato degli archi, ma la traccia va in crescendo a terminare con l'accentazione degli ottoni. L'orchestrazione è decisamente complessa, costruita con mosaici timbrici eterogenei e sonicamente effervescenti.
Madia nasce in trio, sottesa tra l'accordo reiterato di piano e il contrabbasso che si ritaglia un giro appartato attorno a De Nittis. Poi interviene il tema, dall'aria color ruggine, fino a quando la traccia del piano trio viene parzialmente a riassorbirsi nel ventre orchestrale. Si ritirerà, la massa strumentale, per lasciare ancora spazio al jazz melodico, innescando però un continuo saliscendi tra momenti di coinvolgimento con il resto dell'orchestra e l'autarchia propria del trio.
Don Gaetano porta lo stigma del fagotto di Russo che, creando una sorta di trama caricaturale, riesce, sia nelle fasi iniziali che nel mezzo del brano, a trasformare questo pezzo in un quasi blues dal sapore vaudeville.
Umbè sembra costruito sulla stessa falsariga del brano precedente, con il contrabbasso che suona in solitudine per un po' di tempo, raggiunto prima dalla batteria e poi dal piano, fino a quando il tutto viene riassorbito dalle maglie orchestrali, tra le cui trame emergono gli archi con delle linee melodiche ben tratteggiate.
Maé s'annuncia con un violoncello austero in solitudine, quasi a sottolineare l'autorevole compostezza del personaggio qui raccontato. Il tono corre tra le parti del melodramma ma riesce a fondersi senza traumi con il lavoro del trio, attraverso uno scambio misurato con gli archi che rimarcano la loro struggente melodia e il piano di De Nittis, fedele alla matrice jazz ma capace d'inserirsi nella trama orchestrale senza creare zone d'ombra.
Struscio ha un curioso inizio quasi barocco ma che si trasforma ben presto in un andamento prima monkiano, poi ellingtoniano, scivolando continuamente tra lo swing e le note di quello che sembra un glockenspiel oppure un toy-piano, un pallino di De Nittis utilizzato anche nel suo precedente album Dada del 2019. Napoletana addirittura va a spiare tra le partiture di Mussorgsky per via d'un accennato orientalismo e, senza colpo ferire, finisce in uno schema modale alla Weather Report con tanto di effettistica elettronica.
Gli Oneroi, cioè i sogni del brano di chiusura, si leggono inframmezzati ai suoni del piano-giocattolo, tanto per riattivare quell'accenno alla fanciullesca lettura di questo album attraverso il filtro del melodramma italiano, ripescando il tema dell'immaginario e rielaborando la presenza del Maé con le note del tema nostalgico di un valzer fin de siecle.

Solo un orecchio ben temperato come quello di De Nittis avrebbe saputo allestire un vero e proprio teatro orchestrale per raccontare il rapporto di Giordano con lui come autore e con la città di Foggia. Un disco come questo non lo si trova facilmente girato l'angolo, semplicemente perché una composizione di questo tipo non è un gioco realizzabile su due piedi. Poi perché, al di là delle difficoltà tecniche, De Nittis ha affrontato con successo uno dei lavori più improbi per un musicista, cioè quello di integrare tempi, scuole e stili diversi in un tutt'uno che non mostri segni di raffazzonamento. Alla luce di una lettura dell'immaginario, collocando personaggi e luoghi del passato all'interno di stanze contemporanee, De Nittis è riuscito là dove molti falliscono, dimostrando una devozione quasi commovente verso la Storia della Musica e sapendola altresì rileggere con le lenti dell'artista moderno, senza paraventi né ambigue sovrastrutture.
Roberto De Nittis
Maé
CD Caligola Records 2023
Reperibile in streaming su Tidal 16bit/44kHz e su Spotify Mp3 320 kbps