Il sassofonista tedesco Roman Ott si presenta con questo suo terzo lavoro, Hey Ro, dimostrando un’eloquenza sonora caratterizzata maggiormente dall’espressività piuttosto che dall’esibizionismo tecnico. Procedendo un po’ in controtendenza rispetto a molti suoi colleghi, soprattutto più giovani, Ott pare poco suggestionato dai fraseggi arditi, o meglio, sembra che gli interessino relativamente, preferendo restare al di qua del confine e lasciando spesso gli eventuali preziosismi agli altri elementi della sua band. La timbrica del contralto di Ott non risponde ai normali canoni di “bel suono”, tende a essere un po’ impastato e nebbioso, eppure proprio questi due aspetti finiscono per essere elementi stilistici in grado di differenziarlo, rendendolo alfine riconoscibile tra molti altri. Inoltre, il livello delle composizioni, tutte di Ott, è alto, raffinato, rispettoso delle tonalità di base cosicché il mood complessivo rimane ancorato a una piacevolezza d’ascolto che non è solo luccichio di superficie ma dimostra invece un fluido e dinamico traffico di buone idee. La disposizione equilibrata tra brani più veloci e ballad rende ancora più scorrevole e interessante lo sviluppo strumentale.
Il quartetto che accompagna Ott, tranne che per la presenza del panista Uri Gincel, è il medesimo che compare nei due precedenti album, Seeing People del 2008 e If you lived here you’d be home by now del 2012, cioè parliamo di Kurt Rosenwinkel alla chitarra, Lars Guhlcke al contrabbasso e il vecchio compagno di studi a Berlino, Peter Gall alla batteria. Sono soprattutto gli interventi di piano e di chitarra che arricchiscono quest’album, a cui viene correttamente lasciato molto spazio dal leader che, come già accennato in precedenza, tende un poco a defilarsi quando compaiono desideri di tecnicismi.
Begin again si propone come brano d’apertura dell’album, appoggiandosi inizialmente a qualche nota introduttiva pianistica dal carattere intimista. L’esordio del sax contralto è favorito dallo stacco di batteria e avviene con quella sua timbrica particolare, una grana un po’ spugnosa, che avvince con il suo potere melodico, e le note prolungate. Il piano di Gincel suona inizialmente free, senza direzione precisa, raggrumando note su note che solo in un secondo tempo trovano un senso più preciso con gli accordi in forma lata a dare più respiro all’accompagnamento. Ma è la chitarra di Rosenwinkel – anche attraverso qualche moderata sovra incisione – che si libera velocissima in un assolo serrato, surfando tra le ritmiche con grande scioltezza. Si finisce tra qualche discrasia strumentale e apparenti acquietamenti, in un finale forse troppo stiracchiato.
I know segue subito dopo, innescato da una sequenza di note al contrabbasso che immettono il brano in un mid-tempo in “corsa” sui ¾ ed è forse uno tra i momenti in cui Ott si mette maggiormente in evidenza, lasciando però poi il campo libero agli assoli di un piano bebop e di una chitarra sempre convincente con un morbido timbro alla Abercrombie. Ottimo il lavoro della ritmica, soprattutto il drumming della batteria che si muove molto sui piatti.
Un “ah-ah” pronunciato a mezza voce innesca il tempo in Fourteen con molto swing e un piano in trance ritmica che mostra tutte le sue capacità. Ottimo il tema di Ott che evidenzia l’arte di un phrasing misurato e preciso, tecnicamente ineccepibile, senza sfiancanti passaggi di fiato. Rosenwinkel, quando poi interviene alla chitarra, ha un potere magico nelle dita e lo si vorrebbe ascoltare più a lungo. Verso il finale trova spazio un breve e veloce assolo di batteria, prima dell’accoppiata sax-chitarra al dialogo conclusivo. Brano da dieci e lode.
Everyday è una ballad quasi danzabile – un “lentaccio, insomma – nel vero senso della parola, come fosse un raffinato pezzo pop. La batteria suona un 4/4 metronomico, l’atmosfera è uncool ma pur sempre gradevole e apprezzabile.
Averna non credo sia in relazione con il noto amaro, il tema è intrigante e memorizzabile. Un brano che ha un andamento tranquillo, gestito dal sax e proseguito da un assolo di contrabbasso che trova il suo momento di gloria zigzagando le sue note negli ampi spazi lasciati dal gruppo. La voce dello strumento di Ott emerge con chiarezza, attestazione lampante di una timbrica magari non limpidissima ma proprio per questo affascinante nel suo essere così personale. Ancora chitarra elettrica in quantità in un pezzo veramente ben costruito e suonato.
Up to you riprende l’assetto climatico di un post bebop saxcentrico in cui Ott ribadisce le sue capacità, passando poi il testimone prima alla chitarra e in un secondo tempo al piano. Gincel si trova pienamente a suo agio con questi ritmi swinganti e mainstream. I suoni complessivi sono pastosi e incalzanti e si dimostrano pienamente coinvolgenti.
Some tears are from Laughing è un’altra ballatona un po’ démodé che vira anch’essa, come già Everyday, verso una musica pop di lusso. Atmosfera lounge, se non fosse per Rosewinkel che smanetta sul manico dello strumento con un suono molto pulito, ancora fermamente convinto di essere in un contesto fondamentalmente jazz e che propone un assolo eccellente e di conturbante nitore. Tema condotto dal sax quasi in una forma-canzone, semplice e accattivante.
Steroid losts ripropone lo swing con Ott che fa sfoggio di tecnica ma sempre con quel suo intento misurato, mentre la chitarra va di brutto, indistorta e rapida come il lampo, seguita poi dal piano che qui mi ha ricordato Herbie Hancock in stato di grazia. Insomma, siamo di fronte a una band che suona come una congrega di demoni con molto self control che sa divertirsi e far divertire l’ascoltatore senza sacrileghe aspirazioni al caos.
Hey Ro ha un attacco e un prosieguo tipicamente rock, tanto inaspettato talmente è sfacciato nel suo semplificarsi con una batteria monolitica e chitarra leggermente distorta. Il piano, suonato a triadi perfette, sembra quello brillante di Bruce Hornsby, mentre il brano in sé mi ha ricordato un estratto dal vecchio LP di Sting Bring on the night.
Infine, Begin again again, che riprende nel titolo il brano di apertura. Stranamente qui la musica sembra deviare a novanta gradi dal clima complessivo dell’album, diventando il brano più contemporaneo, quasi un inizio di un nuovo progetto. Dopo due minuti e trenta circa, le percussioni virano verso una scoppiettante latinità. L’impressione è quella di un cambiamento di rotta piuttosto radicale, con l’intervento – incredibile dictu – di diverse dissonanze e un sax che si fa astratto e lunare. Curioso finale che cambia un po’ le carte in tavola ma non l’impressione globale di un piatto ben cucinato.
Roman Ott
Hey Ro
CD Fresh Sound New Talent 2021
Reperibile in streaming su Qobuz 16 bit/44kHz e Tidal 16bit/44kHz