Ryan Adams | Blackhole

07.03.2025

A volte il tempo sa essere il miglior alleato della musica. Blackhole, album leggendario di Ryan Adams, ha trascorso quasi due decenni nella dimensione dell’incompiutezza, sospeso tra mito e realtà. Ora, finalmente, questo fantasma sonoro trova la sua forma definitiva, ed è come se il tempo stesso avesse lavorato a suo favore, permettendogli di maturare e respirare nel proprio spazio emotivo.

 

Non ho intenzione di tediare nessuno e quindi non mi spingerò oltre l'orizzonte degli eventi di questo album realizzato e – finalmente – pubblicato dal cinquantenne autore della North Carolina, ma alcuni particolari della sua storia andrebbero almeno in parte chiariti. Registrate a più riprese tra il 2005 e il 2009 in un demo, queste tracce hanno circolato per circa un ventennio sotto forma di bootleg – delle quali se ne conosce ufficialmente la presenza in almeno due versioni – fino a viaggiare in rete, proposte talora occasionalmente in concerti live, copiate e riprodotte dai fan fino a quando sotto il titolo di Blackhole sono state ora raccolte, risistemate e pubblicate ufficialmente. Questo non è quindi solo un album, è un vero e proprio reperto archeologico che emerge da un periodo cruciale della carriera di Adams.

 

Resta acceso comunque un dubbio. Per quale ragione ritardare così a lungo l'uscita ufficiale di un album che già girava tra le mani, pur in forma non definitiva, degli appassionati da almeno vent'anni?

 

La risposta, a dire il vero un po' maligna, sta forse nella somiglianza talvolta imbarazzante che i brani di Blackhole sembrano avere con lo stile di uno tra i più famosi gruppi britannici degli anni '80, gli Smiths, sciolti per altro più di dieci anni prima dall'origine di questo demo. La connessione è evidente. Ci sono innanzitutto le chitarre aspre e sognanti alla Johnny Marr perché Adams ammise pubblicamente di essere stato un suo ammiratore – “ ...la mia chitarra più bella è ispirata a Johnny Marr...”, fonte Everything Must Swing, articolo di Alex Volonte dello 07/12/24, vedi qui – e sono presenti anche quelle atmosfere un po' sfilacciate che si aggrappano alla luce come a una promessa lontana, circonfuse da quelle vulnerabilità taglienti che potrebbe accomunare l'indole di Morrisey a quella dell'autore di Jacksonville. In effetti l'ascolto di Blackhole è una sorta di viaggio a ritroso nel tempo dove ritroviamo alcune sfumature delle sonorità degli anni '80/'90 e mi viene proprio il sospetto che la presunta ritrosia di Adams alla pubblicazione di quest'opera sia stata legata all'eventualità che potesse venir segnalata da più parti questa verosimile analogia.

 

Al di là di questi appunti un po' polemici, l'album in questione presenta un rock in forma “pura” suonato con accortezza e indubitabile perizia, senza che la passione ormai brizzolata dell'artista sia diventata, maturando, una zavorra per ciò che è stato scritto due decenni fa. Anzi, è lo stesso Adams a considerare Blackhole come la continuazione spirituale di Love is Hell del 2003, lavoro che viene valutato a tutt'oggi come uno tra i suoi migliori. Dice infatti che “...per me [Blackhole] è fondamentalmente una Love is Hell parte terza”. N.B. Adams considera l'album Rock and Roll come il naturale, diretto secondo seguito di Love is Hell. Ma se il succitato Love is Hell poteva essere una lettera d'amore tormentata, Blackhole appare come un diario intimo, scritto con inchiostro intinto in un'aleggiante malinconia. La fertile fluidità di scrittura, l'attenzione verso la melodia, gli intrecci armonici risultanti dalle chitarre spesso avvoltolate negli arpeggi, sono tutti aspetti che vengono pilotati con mano esperta dalla sua voce velatamente intristita, che risulta timbricamente, in certe inflessioni, un ibrido tra quella più smaccatamente vibrante di Rufus Weinwright, la più drammatica di Bono Vox e il canto di Morrisey.

 

Ryan Adams - Blackhole

 

Si parte subito col vento in poppa ascoltando The Door. Un paio di accordi secchi di chitarra e arpeggi dai sapori antichi si accompagnano a una melodia a presa rapida, dal movimento agile e a un'eccitazione appena accennata da un sentimento umbratile. Nel rock è normale utilizzare schemi armonici un po' usurati ma l'importante – e ne siamo tutti consapevoli – è l'effetto finale che si riesce a ottenere.

Call me Back sembra scippata dalle mani di un gruppo britannico come gli stessi Smiths ma anche dalla discografia di una band meno iconica come Echo and the Bunnymen. Però la scrittura, anche se di maniera, è molto buona e le chitarre fanno il loro lavoro con mestiere e convinzione, anche se a tratti mi è sembrato persino di orecchiare gli U2...

Quando arriva Help Us faccio un balzo dalla sedia. Se fossi Morrisey mi angustierei un pochino, tanto è evidente l'inserimento nella logosfera che riguarda la band macuniana. Il ritmo è serrato, le chitarre bruciano l'aria e il movimento quasi frenetico della ritmica contribuisce nell'organizzazione di un brano impetuoso nonché comunque accattivante.

Likening Love to War procede come una ballata in mid-tempo con un cantato dai contorni drammatici e un'intensità che trova l'apice nel rumore di tuono finale e nel fischio di un treno che passa da un canale all'altro dell'effetto stereo. Siamo sempre in quota Morrisey. Però, nonostante le somiglianze innegabili soprattutto dal punto di vista vocale, la musica che ne risulta viaggia su accordi in grado di sondare lo spazio interiore dell'ascoltatore.

 

Ryan Adams

 

Starfire procede velocemente con un ritmo molto più incalzante, una corsa quasi post punk, apparendo un filo più personale, soprattutto nel momento dei cambi tra le strofe principali, sempre sostenute dal suono aspro delle chitarre, e gli intermezzi corali.

Just you Wait si traveste da pop song, avvicinandosi allo stile degli Aztec Camera con un intermezzo di coretti soul che ci avvicinano comunque alla maniera più propria dello stesso Adams. Comunque sia, lo ribadisco, nonostante tutte le somiglianze che possiamo ritrovare in queste tracce, la qualità dei brani resta sempre notevole.

For the Sun è più smaccatamente rock, con quel suo incedere pieno di chitarre distorte e una esuberanza tutta giocata sui nervi dell'eccitazione ritmica.

Catherine è uno dei non molti brani “bootleggati” che Adams eseguiva dal vivo e qui lascia la sua impronta più personale, allontanandosi dai modelli sopramenzionati per avvicinarsi maggiormente al suo carattere individuale.

Con Tomorrowland la velocità rallenta per infilarsi tra i binari più rassicuranti del mid-tempo, mentre la commistione di chitarre acustiche ed elettriche dona al pezzo una certa leggerezza pop rock, con la voce di Adams che segue tracce espressive timbricamente più basse.

Runaway si riempie di gorgheggi alla Bono e il brano potrebbe anche ingannare qualche fan più ingenuo degli U2. Un bell'assolo di chitarra finale, finalmente, regala una scossa di piacere inaspettato nel clima manierista di questo pezzo.

La chiusura è affidata a When I Smile, in bilico tra ska e pura pop music, concludendo l'album con una piccola, disinvolta aggiunta di un rock appena poco più languido.

 

Ryan Adams

 

Possiamo pensare ciò che vogliamo di questo album. Esiste la possibilità, senza dubbio, di trovarne dei difetti, ad esempio quelle somiglianze che sembrano talora dei veri e propri plagi più o meno involontari. Si potrebbe anche contestarne lo stile e considerarlo fuori moda. Ma, dopo più o meno una trentina di album alle spalle, sarebbe quantomeno ingiusto non riconoscere ad Adams i suoi giusti meriti. Primo fra tutti la capacità di pubblicare un lavoro come questo, estremamente piacevole pur portandosi addosso il peso del tempo ma anche, perché no, la bellezza di una certa, spontanea fragilità. In un panorama musicale come quello contemporaneo che pare ossessionato dal modernismo, Blackhole non va considerato solo una strategica riesumazione del passato. Pensiamolo invece come a un promemoria che ci ricordi il corretto funzionamento di questa musica nell'affidarsi a buone melodie, chitarre, ritmiche sostenute e poco altro. Che poi, a ben vedere, nonostante lo scorrere dei decenni, è proprio tutto ciò che vale come sola essenza vitale del rock.

 

Ryan Adams

Blackhole

CD e LP Pax-Am 2024
Disponibile in streaming su Qobuz 24bit/44kHz e Tidal qualità max fino a 24bit/192kHz

di Riccardo
Talamazzi
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