Steve Forbert | Moving Through America

23.09.2022

Steve Forbert non è un lacrimoso autore contemplativo del proprio passato e nemmeno un cowboy urbano che s’aggiri per la metropoli alla ricerca di un ipotetico senso esistenziale. Lo vedo piuttosto come un reporter, un fotografo curioso che annota con umana partecipazione tutto ciò che colpisce la sua immaginazione. Un’anima vagante, in perenne stato di perplessità che si muove attraverso l’America e s’aggira tra cose e persone osservando e prendendo nota di una realtà alle volte bizzarra e incomprensibile.

 

Il titolo dell’album Moving Through America, appunto, si riferisce a un vero viaggio attraverso il Midwest compiuto nel 2017, lungo una vasta regione a nord degli USA che coinvolge almeno una dozzina di stati. Un percorso compiuto in occasione di un tour musicale come solista, ma che gli ha fornito la possibilità di scrutare luoghi e persone e poi riportare gran parte delle tracce emotive percepite nelle sue canzoni.

Dopo una quindicina di album registrati in studio fin dal 1978 e una decina di live, la musica di Forbert è attualmente riempita da chitarre acustiche e da elementi country com’era lecito aspettarsi, ma il tono complessivo di quest’ultimo lavoro è quello di un classico album rock, seppur ingentilito da ballate e da momenti più leggeri, con testi talora sfumati con un ironico surrealismo. La voce appare rivestita da una velata panatura, una sfumata caligine ereditata da un lungo periodo di tabagismo ma in grado di offrire proprio per questo, nel bene e nel male, quel minimo di drammatica compartecipazione alla verve di un autentico storyteller com’è appunto Forbert.

 

Privo di quel successo dilagante che invece ha premiato molti suoi colleghi meno meritevoli di lui, il nostro autore di Lauderdale, Mississippi, si è sempre premurato di evitare atteggiamenti di malcelata ruffianeria e ha continuato a comporre la sua musica e a proporre quella di altri autori da lui preferiti percorrendo imperturbabile la propria strada, senza compiacere niente e nessuno. Inoltre, Forbert possiede l’inaspettata fortuna di ricevere alcuni versi e passaggi musicali… durante il sogno: un po’ come accadde a Paul McCartney per la sua Yesterday. Indubbiamente “un piccolo aiuto dagli amici” neuro mediatori, verrebbe da dire…

 

I musicisti che suonano con lui in questo disco sono diversi da quelli che costituiscono la sua attuale band con cui si esibisce dal vivo, a parte il chitarrista George Naha. Troviamo il tastierista Rob Clores, Gurf Morlix alla chitarra elettrica, Gary Tallent e Hugh McDonald al basso elettrico, John Martin al flicorno e probabilmente alla batteria – non ho indicazioni nelle note stampa – ci può essere Michael Girolamo, già con Forbert in Over With You del 2012. Completano la formazione le backing vocals Layonne Holmes e Caleb Estey.

 

Steve Forbert - Moving Through America

 

L’album si apre con Buffalo Nickel, una riflessione tutta acustica, un po’ ironica e un po’ amara, sul classico nickelino che era in uso negli Stati Uniti dal 1913 al 1938 e portava a quel tempo l’incisione su una faccia di un nativo americano e sull’altra quella d’un bufalo. Come a dire che l’espansione del capitale, quello economico, ha preteso le sue vittime sacrificali, lasciando un’ipocrita riparazione alla memoria con la monetina dal valore più scarso, cinque centesimi di dollaro.

Fried Oysters è tra i brani migliori, una classica ballata molto chitarristica in mid tempo che mescola sentimenti e gola, per la precisione amore & ostriche, come suggerito dal titolo. Una chitarra con un assolo asciutto, breve ed essenziale e un tappeto di arpeggi cordofoni che ricordano non a caso Tom Petty, visto che Forbert gli dedicherà un momento apposito, più avanti nella scaletta dei pezzi a seguire.

I Can’t Back è un’altra ballata nello stile della precedente, anche se meno coinvolgente nonostante l’interessante intreccio chitarristico e l’assolo che nelle fasi iniziali sembra evocare lo spettro di Jerry Garcia, complice anche un’analoga timbrica strumentale utilizzata dallo stesso chitarrista dei Grateful Dead.

It’s Too Bad (You Super Freak) nell’attacco ricorda da vicino Elliott Murphy in un suo vecchio brano, Sicily, tratto da 12 del 1990. Naturalmente, essendo proprio dodici le note disponibili, cromatismi compresi, qualche volta capitano casualmente e inevitabilmente brani simili tra loro… Soggetto del brano è un povero cristo col vizio del gioco, quello che oggi con linguaggio medico-giornalistico viene chiamato ludopatico, insomma un “diversamente abile” del gioco d’azzardo…

Living The Dream è un rock un po’ sporco – ma non tanto – alla John Mellencamp. Si tratta di una sorta di ritorno alla vita, forse più immaginato che non vissuto realmente, per un detenuto che assapora la libertà e la canta attraverso l’armonica a bocca. Ironico ma forse più drammatico per il “non detto”, quel verso che allude “all’essere stato in una macchina della polizia ed esserne uscito vivo per raccontarlo”. Segue la title-track Moving Through America che è uno dei brani più ad ampio respiro con un inciso che s’appoggia a tratti su una cadenza andalusa, arricchendo il brano di un’ipotesi messicana, anche se il territorio visitato da Forbert – il Midwest – si trova molto più a Nord. Con uno sguardo panoramico a una fetta di territorio americano, Forbert resta incuriosito e sorpreso, in equilibrio come sempre tra le stranezze e le abitudini comportamentali dei suoi connazionali.

Palo Alto ha una sua bellezza apparentemente malinconica costruita su un grazioso accompagnamento di chitarra acustica che racconta di un cantiere navale andato alla malora da tempo, in cui Forbert vi legge una sorta di rassegnata disillusione riguardo l’American dream. Da rimarcare l’apporto breve ma efficace del coretto femminile sul finale.

Please Don’t Eat The Daisies ruba il titolo a un famoso film con David Niven e Doris Day, uscito negli anni ’60 e tratto da un romanzo di Jean Kerr. Come lo stesso Forbert si è espresso commentando questo brano, si tratta di un “funky-folk” in cui trova posto anche il piano elettrico di Rob Clores. Una traccia che scorre senza intoppi soprattutto sulle chitarre acustiche e con un testo d’impegno ecologista.

Say Hello to Gainesville è un accorato ricordo personale dell’amico Tom Petty, deceduto nel 2017. Gainesville era la città natale di Petty, in Florida, e il brano suona in fondo con le stesse cadenze e chitarre elettriche arpeggiate degli Heartbreakers. Un bel brano, ballatona rock vagamente nostalgica che va a riempire la mia personale playlist insieme alla già menzionata Fried Oysters.

In Time like These la penna di Forbert affonda letterariamente nella descrizione della vita di un senzatetto con immagini molto efficaci a descrivere gli alloggi di fortuna fatti con pezzi di cartone ondulato mentre “si cammina con scarpe lasciate da altri”. Nonostante il testo non sia propriamente dei più allegri, la musica evita di cadere nel patetismo, mentre compaiono il flicorno e il banjo a regalare un tono sui generis al brano.

Si chiude con una traccia molto strana, What’s A Dog Think?, assolutamente unica nel suo genere. Nel testo strambo e costruito su una musica che potrebbe assomigliare a un reggae Forbert s’interroga sugli eventuali pensieri di un cane davanti al comportamento umano: “Cosa pensa un cane quando passi l’aspirapolvere? A cosa serve quel movimento casuale, avanti e indietro, rumoroso e continuo?”.

 

Steve Forbert

 

Un piacevole ritorno per un autore, da qualche anno lontano dalle scene, anche in verità per curarsi una malattia polmonare, che non ha perso il gusto dello sguardo distaccato e ironico sul mondo e nemmeno la mano felice a inventarsi nuove canzoni con la sua chitarra.

 

N.B. Grazie a Mike Davis di Folk Radio per avermi illuminato sulla traduzione dei testi in italiano.


Steve Forbert

Moving Through America

CD Blue Rose Music 2022

Reperibile in streaming su Tidal 16bit/44kHz e Spotify 320Kbps

di Riccardo
Talamazzi
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