L’anno in corso si sta dimostrando un periodo particolarmente creativo e pieno di aspettative per Terence Blanchard. Una sua opera è stata appena rappresentata al Metropolitan di New York ed è la prima di un compositore di colore dopo oltre centotrent’anni di attività del famoso teatro. Da infaticabile autore di colonne sonore, il trombettista di New Orleans ha appena terminato quella di un nuovo film di Spike Lee e, dulcis in fundo, c’è la pubblicazione di questo suo ultimo disco, Absence, dedicato agli ottantotto anni del sassofonista Wayne Shorter. Certo Shorter è una leggenda vivente, ritiratosi ora dalle scene per motivi di età e di salute, avendo alle spalle illustri militanze con Art Blakey dal 1959 al 1964, con Miles Davis dal 1965 al ’68 e con i Weather Report dal’71 all’85. La sua carriera si è espressa inoltre attraverso venticinque pubblicazioni discografiche da leader, cominciata nel 1959 e per il momento arrestatasi nel 2018.
Blanchard omaggia l’anziano maestro sia riproponendo cinque suoi brani, naturalmente rivisitandoli un po’ a modo proprio, sia pubblicando sette pezzi nuovi, condividendone la paternità con David Gyniard, David Balakrishnan e Charles Altura, cioè tre fra i musicisti che lo accompagnano degnamente in questo lavoro. Blanchard fa le cose in grande perché, oltre al suo gruppo E-Collective – Fabian Almazan al piano, Charles Altura alla chitarra elettrica, David Gyniard al basso e il batterista Oscar Seaton – compaiono anche gli archi del Turtle Island Quartet diretti da Balakrishnan. Si tratta proprio del frequente intervento degli archi che crea spesso delle sovrapposizioni un po’ stranianti, innescando qualche ardita dissonanza qua e là, ma è l’intero lavoro che sembra offrirsi a mezza strada tra il jazz e la musica da camera. Sicuramente un ibrido, ma del resto certe tendenze a uscire dal guscio protettivo della tradizione erano proprie dello stesso Shorter. Diciamo che Blanchard ne rispetta i connotati estetici e, com’è ovvio, interviene con il suo modo di intendere la musica in senso visivo, che pare spesso un commento a delle ipotetiche immagini cinematografiche.
La prima traccia disponibile all’ascolto è l’eponimo dell’album, Absence. La composizione del bassista Gyniard dimostra subito di possedere una bellezza molto sofisticata. L’introduzione si smarca con due accordi di piano che si alternano risolvendosi magnificamente prima dell’intervento di Blanchard – che usa spesso raddoppiare effettisticamente la sua tromba, dando talora l’impressione di un’intera sezione di fiati – e di quello degli archi, che tendono a illanguidire morbidamente l’atmosfera complessiva. La chitarra di Altura, le cui corde pizzicate a plettro simulano talora un mandolino in sottofondo, diventa un elemento importante dell’insieme, intrufolandosi in numerosi frammenti melodici con suoni diversi e convincenti. Bello il piano di Alzaman, sempre molto lirico e suonato con tocco delicato. The elders è il primo dei brani di Shorter qui riproposto, comparendo originariamente nell’album dei Weather Report Mr.Gone, del 1978. Qui si respira un’aria più propriamente shorteriana, tenendo comunque presente che l’arrangiamento canonico era di Zawinul. Melodia complessa, nello stile spesso tutt’altro che lineare di Shorter, retta dalla tromba-synth di Blanchard e dagli interventi calibrati del suo gruppo, nonché dai misurati archi che appaiono e scompaiono tra gli strumenti del quartetto E-collective. La linea ritmica fornisce la rotaia di transito all’intero sviluppo musicale con una precisa punteggiatura di basso e batteria, mai preponderante oltremisura. Fall, ulteriore composizione di Shorter pubblicata in Nefertiti di MIles Davis del 1968, recupera il gusto della melodia lenta, dal lucore autunnale, con gli archi a ricreare una nuova sensibilità molto più “romantica” rispetto all’originale. Tuttavia, personalmente continuo a preferire la versione su Nefertiti per la sua calligrafia più sintetica ed essenziale. Credo si tratti, comunque, di una delle tracce migliori di questo Absence. Invece I dare you di Blanchard, preceduto da un intro che fa sorridere in quanto sfida l’attacco a terze discendenti della V di Beethoven, si dimostra carico di un senso drammatico eccessivo, con gli archi che s’allineano al basso per sottolineare un teatrale accompagnamento, l’ideale colonna sonora per un thriller o giù di lì. Ulteriore cambio d’intenti con Envisioned Reflections di Gyniard, che s’annuncia come una melodia cameristica a opera del quartetto d’archi. Uscendo però da questa breve introduzione si entra nella seconda parte del brano, dove tutto viene riproposto grosso modo con la stessa trama armonizzatrice ma sviluppato da Blanchard e dal suo E-Collective, ottenendo, rispetto al tono introduttivo, un clima più notturno e cittadino. The second wave è opera del leader del Turtle Islands Quartet, Balakrishnan, che in questo frangente fa da solo, rivalutando l’aspetto cameristico e l’impronta classicheggiante, confidando nell’arrangiamento molto raffinato del suo quartetto. C’è anche il tempo per scherzarci su, più o meno al minuto 05.43 – il brano dura più di dieci minuti – con inserti che sembrano provenire dalla musica popolare, anche irlandese, e un accompagnamento di violoncello pizzicato che mi ha riportato, ma è solo una lontana suggestione, ai King Crimson di Formentera Lady. Molta carne al fuoco, quindi e un po’ di comprensibile dispersione… When it was now è di Wayne Shorter ed è un brano del 1996, moderatamente rallentato ritmicamente rispetto all’originale, ma che conserva intatta la linea tematica. Gran parte dell’accompagnamento è riservato agli archi, con Blanchard e la chitarra di Altura che entrano ed escono dagli schemi armonici suonando persino all’unisono verso il finale, in un insieme ben amalgamato quasi a ricordare certi affiatamenti dei Weathwe Report. Dark Horse è composto da Charles Altura e sembra melodicamente un brano dello stesso Shorter, tanto ne viene ricalcata l’intenzione. L’accompagnamento elettrico con un poderoso basso a far da pilastro tiene le fila tra gli arpeggi chitarristici e le escursioni di Blanchard. Altura si concede un assolo da grandi spazi, quasi rockeggiante. Gran bel brano, ad ogni modo. Con Diana si torna agli anni ’70 con un album che Shorter editò assieme a Milton Nascimento e Herbie Hancock, Native Dancer del 1975. L’uso abbondante degli archi romanticizza ancor di più una traccia che nasce con un’impronta intima anche nell’originale, seppur più stemperato dall’essenzialità di quegli arrangiamenti di allora e dal bel pianismo di Hancock. Qui si sovrappongono diverse idee, ma devo dire che questa tendenza all’eccessivo riempimento di ogni spazio possibile mi sembra un punto debole, globalmente, di questo disco. More elders è un finale, probabilmente aggiunto per suggellare l’album, anche se tutto poteva concludersi tranquillamente col pezzo precedente.
Lavoro complesso, nel suo insieme, alle volte sovrastrutturato, ma indubbiamente una doverosa ed empatica epitome dell’opera complessiva di uno dei più grandi musicisti jazz del dopoguerra.
Terence Blanchard
Absence
CD Blue Note 2021
Reperibile in streaming su Qobuz 96kHz e Tidal master MQA