L’idea di scrivere di un marchio come London fa tremare letteralmente i polsi. Mai avrei potuto immaginare di avere a che fare con un brand il cui blasone, insieme a pochi altri, ha natura a dir poco regale. Ma poi, interloquendo con Luigi Bocca, titolare LAB Audio Technology, azienda distributrice per l’Italia del pickup oggetto della prova, la AEC London C-91, ho trovato il sostegno del tono rassicurante di un autentico appassionato. Luigi, come chi scrive del resto, mi è sembrato un ricercatore di componenti elettronici ad alto tasso emozionale e che possono essere allocati sotto il segno, più che della diversità, della singolarità.
La leggendaria Decca ha chiuso i battenti da parecchi anni, resta un’icona di un tempo che non c'è più, ma ha tracciato un solco indelebile nella storia della ricerca e della riproduzione analogica. Sarebbe sbalorditivo il solo pensiero che un appassionato di musica possa non avere almeno una registrazione etichettata Decca. Così come sarebbe inconcepibile il fatto che un amante dell’analogico non abbia mai fatto una seppur piccola esperienza d’ascolto con una testina della famiglia.
Per tornare al concetto di singolarità, poi, è notorio che le cartucce in argomento erano talmente uniche che non ce n’era una che suonasse uguale a un’altra, anche di identica categoria. Il che non significa essere un difetto, è vero il contrario, perché è il segno che i prodotti Decca London sono sempre stati costruiti in maniera autenticamente artigianale, nel senso più nobile del termine. Qualcuno meno giovane ricorderà l’alloggiamento in lamiera leggera che fece guadagnare alle testine l’appellativo ironico di “scatole di latta”. L’originalità potrebbe però aver costituito un handicap nel momento in cui l’azienda è stata chiamata a competere con le grandi produzioni industriali del mercato globale, molto indulgenti nel sacrificare porzioni di qualità in favore dell’abbattimento dei costi e dell’omogeneizzazione. Ma noi, fortunatamente, amiamo parlare di prodotti per intenditori. Quelli contrassegnati Decca lo sono sempre stati. Oggi il prefisso Decca, causa un susseguirsi di acquisizioni e cessioni di azienda, miste a logiche impazzite di marketing, è stato sostituito dal morfema AEC e attualmente elaborata da Audio Int'l, mentre rimane attuale la denominazione London, come a salvaguardia di una continuità di valori.
La AEC London C-91 che ho davanti agli occhi mentre scrivo è il modello di testina più accessibile della nuova serie, ma già da considerarsi una piccola meraviglia. Mantiene della produzione passata la classica forma pentagonale, che tornerà utile in fase di montaggio e settaggio. Pesa solamente cinque grammi e mezzo e all’uopo può essere accoppiata con un POD dedicato, che la porta a 9,4 g. Sul mio Da Vinci Grandezza Reference, braccio di massa notevole, oltre a un POD autocostruito ho dovuto implementare un ulteriore carico, altrimenti non avrei potuto gestire un corretto peso di lettura, consigliato intorno a 1,80/1,90 g.
Il primo approccio con l’oggetto, così come accade ogni volta che un componente Hi-End mi entra in casa, è stato molto fisico, ovvero tattile e visivo. Mi sono soffermato molto tempo a scrutare questa testina da tutte le possibili angolazioni, perché esterna esplicitamente la sua diversità. A cominciare dai terminali posteriori, collocati in una maniera semplicemente geniale. I tre pin inferiori, il centrale è una massa, sono allineati ma schierati a ventaglio e sono sovrastati da un pin centrale, la seconda massa, anch’esso inclinato, ma verso l’alto. Questa predisposizione rende agevole il fissaggio dei clip terminali dei cavetti del braccio con le sole dita, consentendo maggiore controllo in un’operazione che risulta sempre molto delicata. Altresì, l’orientamento centrifugo degli stessi assicura che non possano esserci mai insidiosi contatti tra poli. Già le caratteristiche descritte sono un segnale forte di conservatorismo. Come a dire, cambiano gli uomini, cambiano i tempi, ma restano immutati i fattori fondamentali della nostra filosofia . La conformazione dei terminali è quella mutuata dai primi modelli mono, con due poli e una massa comune. Ciò significa che chiunque si avvicini alle London è già consapevole di quello che troverà. Anzi, sarebbe più opportuno dire quello che non troverà. Mi riferisco al cantilever, che lascia spazio a un’astina posizionata verticalmente a prua del corpo, sostenuta in posizione da una cordicella intrecciata con funzione di tirante in opposizione alla direzione di rotazione del disco. Dall’estremità deputata alla lettura dei solchi fuoriesce una microscopica porzione di punta, che nel modello in questione ha un taglio sferico. Il resto dell’ago si innesta al centro di una bobina di forma anulare tenuta in posizione orizzontale a mezzo di due fascette metalliche che tendono lateralmente in direzione opposta.
Assuefatti alla maggioranza delle testine che adottano sistemi con cantilever classico, si resta inevitabilmente affascinati da un apparato così insolito e innovativo già nelle versioni d’epoca, che si completa all’interno del corpo con soluzioni elettrico/meccaniche realmente rivoluzionarie e, lo vedremo dopo, di forte impatto sul suono riprodotto. Nei sistemi di lettura tradizionali l’azione di un cantilever, che non è altro che una leggerissima asticella più o meno inclinata, è duale. La massa complessiva della parte libera che entra in contatto con la superficie del disco, quella che si intrude nel solco e ne effettua la lettura, è di ridotta entità e questo garantisce una tracciabilità eccellente, soprattutto in relazione alle frequenze alte. Considerata la presenza di un necessario punto di rotazione, le oscillazioni meccaniche dello stilo all’interno del solco vengono trasmesse all’estremità attigua al generatore, la quale, se fosse parimenti libera, produrrebbe una fluttuazione di ampiezza uguale e contraria. Ma questo apice non è affatto libero perché affonda in un sistema di ammortizzazione del cantilever, che ne attenua il moto, con la fatale conseguenza dello smarrimento o l’alterazione di una quota delle informazioni estratte dai solchi del vinile.
Se è vero che questo sistema di lettura offre la facoltà di allestire generatori e motori di buone consistenza, efficienza e solidità, bisogna considerare che i componenti attivi, magneti nelle testine MM, bobine nelle MC, devono necessariamente mettersi in movimento, al fine di trasdurre uno stimolo meccanico in segnale elettrico. Insomma, nelle tipologie di cartucce citate, l’assoluta maggioranza, c’è un’intermediazione dinamica tra la lettura e la riproduzione, che non risulta affatto benefica nell’ottica della salvaguardia dell’integrità del segnale. Ne consegue che il suono generato da testine MM o MC, anche di livello top, presenterà una serie di difformità più o meno importanti rispetto all’incisione originaria. È un limite insuperabile, perché organico a questo genere di meccanismo.
Giova a questo punto ricordare che, nei primi anni ’50, la Decca Records, a seguito di una serie di profonde sperimentazioni effettuate da colossi come EMI, RCA e Columbia, ebbe l’abilità di progettare un tornio incisore che adottava il famoso sistema 0/90, capace di incidere solchi in stereofonia a mezzo di un movimento coordinato laterale e verticale della testina e annesso stilo. Questa tecnologia fu la base su cui lavorò la Westrex nel 1957 per affinare il sistema 45/45, poi brevettato e adottato a livello internazionale su iniziativa della IEC e della RIIA. Il valore 45/45 si riferisce alla configurazione dei due trasduttori magnetici, separati ognuno su un canale, che sono posizionati in modo da formare un angolo di 90° tra loro e 45° rispetto alla superficie del disco.
Ora è importante capire come funziona un tornio discografico, che è un apparato costituito da una sezione meccanica e una elettrica. La lacca master da lavorare viene adagiata su un piatto rotante alimentato da un motore sincrono e la cui costanza di velocità viene controllata a mezzo di uno stroboscopio. Una sorgente trasmette il segnale audio a un amplificatore, che applica il filtraggio e l’equalizzazione RIIA, per inviarlo a una testina. Questa è il componente dove il segnale elettrico, a mezzo dei due magneti sopra citati, subisce una trasduzione meccanica, che la puntina acquisirà come vibrazione e trasferirà sul vinile sotto forma di un microsolco a spirale irregolare il cui angolo misura 90°. Il lato rivolto verso l’interno sarà il canale sinistro, quello verso l’esterno il destro.
In un sistema di lettura analogico avviene esattamente il contrario, significando che un segnale meccanico generato dalla lettura dei microsolchi viene trasformato dalla testina in segnale elettrico e, di seguito, deenfatizzato e amplificato.
La testina AEC London, non possedendo cantilever, si comporta come quella di un tornio, mutuandone il movimento laterale e verticale dello stilo costantemente in azimuth, di concerto con l’assenza di ammortizzazione, anche se in realtà è presente una trascurabile componente di damping, di smorzamento. Il cordino tirante, in sostanza impedisce il movimento avanti/indietro dell’astina, mantenendola costantemente a un’angolazione di 90° rispetto al piano di lettura.
Le modulazioni orizzontali vengono intercettate dalla prima sezione del sistema composta da una bobina toroidale e due magneti adiacenti, i cui poli si estendono parallelamente alla base della bobina stessa fino a sfiorare lo stilo. Questo si insinua poi nella seconda sezione del sistema, dedicata alle modulazioni verticali, composta da due bobine e un magnete i cui poli sono inclinati di 45°.
L’idea di fondo del progetto è quella di una conversione delle modulazioni meccaniche in segnale elettrico nella maniera più immediata possibile. Una volta effettuato il rilevamento del puntale, l’imperativo assoluto è che i movimenti dello stilo non devono essere oggetto di trasmissione lungo la cosiddetta armatura prima del contatto con i poli e conseguente trasduzione in segnali audio. Il sistema operativo descritto, che lavora in una condizione di accoppiamento diretto, è stato denominato “scansione positiva”, significando che il polo magnetico verticale rileva il movimento verticale e il polo magnetico laterale rileva il movimento laterale dello stilo. Questo metodo non esegue la scansione diretta dei canali destro e sinistro del disco, ma ricrea la separazione degli stessi all’interno del generatore utilizzando una combinazione di bobine di rilevamento verticale e laterale. Un’estremità di quest’ultima è collegata alla connessione tra le bobine verticali, ma con polarità invertite. Ogni volta che lo stilo traccia un canale con una modulazione a 45°, registra uno spostamento laterale e uno verticale, che viene intercettato da tutte le bobine. Essendo, quelle verticali, a fase invertita, solo una sarà conforme alla polarità del segnale della corrispondente laterale e produrrà un segnale di uscita, mentre l’altra ne vedrà l’annullamento. In presenza di un’ulteriore modulazione da 45° a causa di un cambio dell’angolo della scanalatura, accadrà il fenomeno inverso.
A completamento delle specifiche tecniche resta da dire che il segnale in uscita misura ben 5mV, ragione per cui non c’è alcuna necessità di accoppiamento con uno step-up. Credevo che non fosse consigliabile usarne uno perché si correva il rischio di una saturazione. Ma giacché la curiosità e le tentazioni sono sempre affamate, io ho voluto provare, prima con un A.R.T MC8 Limited Edition e a seguire con un Audiodinamica SUT3 con guadagno settato a 12x. Non solo non si è manifestato alcun fenomeno di distorsione, ma il suono ha acquisito maggiore corpo e consistenza. Siate comunque prudenti se possedete un pre phono e un pre linea che guadagnano molto.
La compliance, stante il sistema di lettura adottato, è conforme alla rigidità dell’insieme, ma non ho avuto alcun problema di accoppiamento col braccio Da Vinci Grandezza, che misura 12 pollici e non è assolutamente smorzato. Il tema dello smorzamento dei bracci che alloggiassero testine Decca London è stato oggetto di vivace dibattito in tempi passati. La stessa casa risultò molto sensibile alla questione, tanto da proiettarsi nel progetto di un braccio professionale e nella customizzazione di un Hadcock GH 228. Io penso che l’argomento sia obsoleto. Sono certo che le testine della serie attuale possano essere montate su qualunque braccio. L’importante è che sia di livello, capace di mettere in condizione una AEC di esprimere il suo infinito potenziale.
Ovviamente il settaggio della testina è fondamentale. Assodata l’agibilità dei contatti posteriori, anche il resto della procedura non presenta difficoltà di sorta. Per l’allineamento verrà in aiuto la forma pentagonale, perché offre tre elementi di riferimento, ovvero le linee laterali e il vertice appuntito, che si trova sulla stessa retta di congiunzione con lo stilo. Ma quest’ultimo, come ho scritto in precedenza, ha una sporgenza verticale appena accennata, è quasi invisibile. Per tale ragione non sarà semplice far coincidere il diamante con il punto di appoggio dello stesso sulla superficie della dima. Io ne utilizzo una che in luogo del puntino di atterraggio ha un anellino metallico in cui lo stilo si cala a incastro e non si muove. Se siete consapevoli della vostra abilità manuale, procedete pure, altrimenti suggerisco di fare un buchino sulla dima stessa. L’impercettibilità fisica dello stilo, all’atto dell’abbassamento del lift potrà dare l’illusione ottica che il corpo della testina vada a sfregare la superficie del disco. Ho verificato che il pericolo è infondato, anche con dischi cosiddetti warp. Bisogna semplicemente regolare il VTA facendo in modo che il braccio in azione si trovi in posizione perfettamente parallela alla superficie rotante.
Per quanto riguarda la selezione dell’impedenza di carico, la London si comporta egregiamente con una regolazione a 47 kHz, ma evidenzia un ulteriore miglioramento in molti parametri se si scende a 33 kHz. Se lo stadio phono non offre alternative, si può intervenire con delle resistenze aggiuntive in ingresso collegate a ponticello sui poli di uno spinotto RCA.
Nonostante sia stato un processo abbastanza agevole, durante la fase del montaggio devo confessare di aver provato una certa dose di eccitazione. Sono momenti in cui si sta manovrando un oggetto prezioso e delicato con il quale si va a instaurare un rapporto profondo, nell’auspicio che un approccio corretto possa essere ripagato in termini di emozioni di ascolto. Nell’istante in cui la London viene calata per la prima volta sul vinile si percepisce immediatamente la sua affinità meccanica con il tornio al quale si ispira. Viene giù dritta, precisa e in qualsiasi punto del bordo si posi, lo fa senza alcuna esitazione, tremolio o pendolare. Anche il suono del contatto denota una fermezza dinamica che le testine con cantilever non hanno, tendendo sovente a fare un saltello verso il solco adiacente.
L’ascolto dei primi brani della prova è stato uno shock.
In un lampo avevo perso tutte le mie certezze in materia. Mi ha assalito il dubbio che in quarant’anni di convivenza con una moltitudine di giradischi non fossi mai stato capace di montare correttamente una testina. La London suonava meravigliosamente bene, ma così distinta e speciale, con un modo di riprodurre musica straordinario e che sembrava non mi fosse affatto familiare. Si stava incrinando la valutazione dello standard qualitativo delle migliaia di sedute di ascolto fatte prima di allora, anche con testine di livello top e continuavo a domandarmi cosa potesse esserci oltre quel grado. Ci ho messo un po’ per capire.
Ho iniziato la prova con un bel LP Decca Records del 1967, Their Satanic Majesties Request dei Rolling Stones, il manifesto psichedelico del gruppo, disco di ricerca e sperimentazione, con una varietà di strumenti che vanno dal mellotron alle percussioni più disparate, dai timpani ai fiati, dal pianoforte ai sound effects. Il carattere che colpisce fortemente della London è l’incisività accompagnata dall’immediatezza della risposta sonora. Grandi e piccole immagini, molto materiche e presentate con fasto e dovizia di ritmi e colori. Non c’è uno strumento che sovrasti l’altro, alcuna commistione con le voci, nessuna zona grigia, solo nero o brillantezza e dettaglio, dettaglio, dettaglio all’infinito. Minuti particolari, vere molecole sonore, emergono da tutte le direzioni smascherando diverse ingenuità compositive che però contestualizzano l’album. Sono Stones ancora immaturi, alla ricerca della loro identità, ma già molto talentuosi. L’AEC esibisce uno stile di tracciamento pulito e articolato, tanto da indurre a domandarsi quanto profondi, inesplorati e poco accessibili restino i solchi del vinile per la maggior parte delle testine esistenti.
Se consideriamo poi che il diamante ha un taglio sferico, viene sfatato anche il mito della supremazia dell’ellittico, del gyger e quant’altro. Con l’LP David Grisman Quintet, Kaleidoscope, album di debutto del 1977, ho potuto apprezzare l’accuratezza timbrica della London. Non significa solamente il privilegio di poter godere di una riproduzione realistica e naturale. Intendo dire che qui è possibile individuare i modelli degli strumenti suonati, un mandolino Gibson F5 per Grisman e una chitarra Martin D28 per Tony Rice. La struttura, la risonanza, gli effetti vibratili, l’interazione tra legni e corde ti catapultano in un negozio di strumenti musicali immaginario, mentre te ne stai seduto sulla testata di un amplificatore e ne provi a ripetizione con le tue mani e le tue orecchie.
La Sinfonia n. 8 in Do minore di Bruckner, Deutsche Grammophon 2001, registrazione datata 1963 con la Munich Philarmonic Orchestra diretta da Hans Knappertsbusch, mi ha fatto compiere un ulteriore passo verso la comprensione della AEC London. Un caleidoscopio di toni, colori e trame ricchissime. Il pizzicato dello Scherzo, gli accordi ferini dell’Adagio e a seguire i timpani che sembravano dei tuoni, di concerto con i contrabbassi realisticamente gravi ma rasenti la perfezione timbrica, il tutto all’interno di una prospettiva spaziale pienamente coerente, dava la misura di un andamento dinamico ineguagliabile.
Ho continuato la prova divorando letteralmente decine di album e ogni passaggio in rotazione è stato per me un momento formativo con la conseguenza di un progressivo cambiamento dei miei riferimenti sonori. Ho capito finalmente che, pur riconoscendo la giusta importanza dei materiali nella costruzione di una testina, è il sistema meccanico che fa la differenza. Quello adottato dalla AEC London si è rivelato il migliore, per un motivo molto semplice. Essendo, come ho cercato di spiegare, architettato alla stregua di un tornio incisore, la lettura non può che essere affine a una matrice. Ecco svelato l’arcano. La London, superando bellamente i confini audiofili, fatti di misurazioni, formule e valutazioni innaturali, ci offre la succosa opportunità di ascoltare musica come se fosse riprodotta da un nastro master, che è il supporto più autorevole nella scala delle forme di incisione e riproduzione. Nella matrice analogica è conservata l’essenza di ogni opera musicale e la testina AEC London non ha rivali nell’arte di rappresentarla.
Per la cronaca, sono da poco felice possessore della C-91 oggetto della prova e sarà molto difficile tornare sui miei passi, sebbene nutrirò per sempre profondo rispetto e riconoscenza nei confronti di oggetti che si chiamano Koetsu, Supex, Clearaudio, Dynavector, Ortofon, che continueranno a darmi piacere e divertimento. Esorto chi legge a procurarsi una London a ogni costo… è roba da analogisti veri!
Caratteristiche dichiarate dal produttore
Stilo: sferico, diamante grain oriented
Uscita: 5mV a 5cm/sec
Risposta in frequenza: 20/22kHz +/-3dB
Bilanciamento dei canali: 1dB a 1kHz
Separazione dei canali: 25dB a 1kHz
Compliance laterale: 15x10-6 cm/dyne
Compliance verticale: 10x10-6 cm/dyne
Induttanza: 130mH per canale
Resistenza DC: 2kohm
Impedenza di carico: 47kohm optimum 33kohm
Capacità di carico: 100-300pF optimum 220pF
VTF: 1,5/2g
Peso: 5,5g, 9,4g con POD
Distributore ufficiale Italia: al sito LAB Audio Technology
Prezzo Italia alla data della recensione: 1.160,00 euro
Sistema utilizzato: all’impianto di Giuseppe Trotto