Hanno creato un gran polverone questi Hanging Stars con il loro quarto disco, Hollow Heart. Tutti a mostrarsi stupiti di come un gruppo britannico, londinese a esser precisi, potesse suonare in modo così “americano”. Forse gran parte degli ascoltatori si sono dimenticati quando, una quarantina d’anni fa, esordì sulla scena europea un gruppo come Lloyd Cole & the Commotions, da Glasgow, il cui suono era altrettanto e forse più a stelle e strisce di questi ultimi Hanging Stars. E qui scatta il gioco delle rimembranze, il “cosa assomiglia a chi”, innescando riferimenti che hanno coinvolto l’intera West Coast, da Crosby ai Byrds, dai Buffalo Springfield ai Flying Burrito Bros e così via. È pur vero che il suono della steel guitar è come un marchio di fabbrica ed è altrettanto vero che le chitarre utilizzate dagli Hanging Star – cioè il modo in cui vengono suonate – non possano che rimandare agli anni ’70 e a tutta l’epopea del rock californiano di quel periodo. Una ragione in più che accomuna questi Hanging Stars con Lloyd Cole & Co. sta nel fatto che questo loro album è stato registrato giustappunto in Scozia negli studi di Edwyn Collins – magari qualche amante della pop music britannica si ricorda degli Orange Juice – che ha prestato il suo parlato in un brano della selezione di Hollow Heart.
La musica di questa band è un pop-rock melodico, molto orecchiabile, stupendamente arrangiata senza inutili sovrastrutture ma basata fondamentalmente sul guitar sound tipico, come si è detto, del periodo USA soprattutto della prima metà dei ’70. I brani sono efficaci, s’incuneano sottopelle come un veleno sottile e vanno bene per tutte le stagioni del nostro umore, sempreché ci piaccia la semplicità, la leggerezza, il tocco trasparente del suono californiano che abbiamo memorizzato negli anni della nostra giovinezza. I
musicisti di questa band sono Richard Olson alla voce e chitarre, Paulie Cobra alla batteria, Sam ferman al basso elettrico, Patrick Ralla alle chitarre e tastiere e infine Joe Harvey-Whyte alla pedal steel guitar.

Apre l’album un gioiellino elettroacustico come Ava con qualche nota lontana di steel guitar e qualche pennata di acustica che ci prepara a un attacco micidiale, tanto è bello, con i Grateful Dead nascosti nell’ombra. Una pop song che toglie il terreno sotto i piedi con stacchi e coretti ben fatti, un ritornello che è un autentico corridoio di rose e profumi e il suggello dei Flying Burrito Bros pronto a testimoniare che, sì, va tutto bene, che è musica da godere senza farsi troppe domande.
Black Light Line sembra uscire da un vecchio juke-box dove qualcuno abbia gettonato i Byrds – ma avrebbero potuto essere anche i Beach Boys – e un rock in mid-tempo colmo di focoso lirismo con le chitarre elettriche ad arpeggiare nell’aria. La grammatica è facilmente leggibile ma non banale e non presenta, cosa più importante, errori di sintassi. L’assolo chitarristico è quasi rubato ai Commotions ma, tant’è, in questi casi si perdona tutto a oltranza.
Weep & Whisper è una ballatona curiosamente ibrida, tra Garcia, America e Pink Floyd con Syd Barrett a far da cappellaio matto. Gira la carta e troviamo un testo struggente che racconta di antichi amori e progetti andati alle ortiche. La lunga cicatrice interiore del ricordo viaggia sulle note della steel scivolando sopra una serie di coretti beatlesiani che di più non si potrebbe. La musica di questi ragazzi londinesi è una dea potente e fragile nel medesimo tempo e fa venire la voglia di risentire i brani ancora ed ancora, tanto è il piacere di quest’ascolto.
Radio On prende temporaneamente le distanze dagli States ma il frutto non cade molto lontano dall’albero. Qui il tributo viene pagato a Roddy Frame e al pop britannico fra gli anni ’80 e ’90, anche se l’onnipresente steel e le elettriche arpeggiate con la tastiera finale mantengono un ponte almeno ideale con gli States.
L’incipit di Ballad of Whatever May Be è fragoroso e potente e va collocarsi tra il Paisley underground losangeliano sul modello Rain Parade e qualche ricordo di british folk. Bisogna comunque abituarsi a fare zapping mnemonici a cavallo del tempo se vogliamo inquadrare questi Hanging Stars per quello che sono, cioè non solo specchi di rimembranze sonore ma un asintoto che riassume lo schema grafico ottenibile dalla continua oscillazione tra passato e presente. Bellissimi i coretti reiterati che accompagnano l’intera seconda parte del brano sino alla fine dello stesso.
Hollow Eyes, Hollow Heart s’aggira ancora tra i sobborghi di Los Angeles grattando dai muri qualche traccia psichedelica ma possiede tra le righe un atteggiamento che ricorda anche i gruppi alla Fairport Convention. Il suono si fa poderoso, allucinatorio, i colori della mente virano verso una maggior saturazione ma il sospetto è che questo brano, dopo tutto, risulti pasticciato anziché no.
Con You Are So Free la memoria corre all’insolenza di Dan Stuart e dei suoi Green on Red, non fosse altro che per quell’intermezzo di coretti alla Beach Boys, veramente ben fatti anche se evidentemente ben poco originali. Chiude qualche nota di piano, messa lì non si sa per quale motivo.
Rainbows In Windows ha riesumato lo spirito di Donovan dei tardi ’60 – “oh, i was born with the name Geraldin…” – e se non fosse per il vocione declamatorio di Collins questo pezzo si potrebbe spacciare come un’outtake persa e ritrovata datata 1965.del leggendario autore di Atlantis.
Si recupera in pieno l’atmosfera americana nel quasi plagio byrdsiano di I Don’t Want to Feel So Bad Anymore e a essere nei panni di Roger McGuinn ci sarebbe abbastanza legna per il fuoco dell’incazzatura. Invece si sorride di solleticante piacere, anche perché la pronuncia di “Bad” in questo caso, con la “a” decisamente rimarcata non alimenta dubbi sulla britannicità degli Hanging Stars.
Red Autumn Leaf è una ballata elettroacustica che ricorda vagamente i Big Star. Si tratta del brano un po’ meno riuscito di tutto l’album e quello che voleva essere un’impressione di malinconico abbandono suggerito dal titolo riesce solo a metà.

Il tempo dissolve le diversità, ripara i torti e fa dimenticare. Magari questi Hanging Stars si confondono forse troppo con il passato, ma se fanno tutto ciò è per non scordarsi della bella stagione che ha abitato i loro ricordi così come i nostri. E poi gli antichi greci già l’avevano intuito che il Tempo del Mito è circolare e torna sempre, eternamente, sui propri passi.
The Hanging Stars
Hollow heart
CD e vinile Loose Records 2022
Reperibile in streaming su Qobuz 24bit/44kHz e su Tidal 16bit/44kHz