The Hard Quartet | The Hard Quartet

08.11.2024

Il rock è stato, alla nascita, l'espressione di una musica selvatica e per natura poco addomesticabile. Almeno sulla carta, perché in verità nessun genere musicale come questo si è consegnato volentieri al Capitale per essere in gran parte ridotto a puro prodotto commerciale. Per cui, quando compare un'onesta band come gli statunitensi Hard Quartet, si è sempre con le orecchie tese per capire quanto di buono e non di così vendibile sia presente tra le pieghe del loro tessuto musicale. Evidentemente il grande, storico Libro del Rock, dev'essere stato letto integralmente da questa band perché nell'album di cui ci occupiamo – non un vero e proprio esordio a tutti gli effetti, dato il curriculum dei singoli elementi – vi sono talmente tante influenze che a numerarle tutte si perderebbe il conto. L'effetto complessivo, comunque, è quello di stare ad ascoltare un gruppo ben assemblato, con una gran voglia di divertirsi, certamente rumoroso ma tutt'altro che improvvisato, sensibile a una certa e attenta cura nella costruzione melodica dei suoi brani.

 

Gli Hard Quartet sono in realtà un supergruppo – termine quanto mai ambiguo e che rimanda la memoria a certe impalcature musicali artificiose di moda negli anni '70 – costituito da Stephen Malkmus dei Pavement, Jim White batterista dei Dirty Three, Matt Sweeney ed Emmett Kelly che sono stati a fianco di numerosi artisti, il primo a Cat Power ai Chavez e Johnny Cash, il secondo a Bonnie Prince Billy, a Ty Segall e ad altri ancora. Anche se, almeno nelle intenzioni, questo avrebbe dovuto essere un gruppo composito, in realtà si avverte che emerge maggiormente sia la personalità di Malkmus con l'ombra dei Pavement a rimorchio che quella di White per mezzo soprattutto dei suoi particolari controtempi innescati in alcuni brani. Il quartetto in questione passa indifferentemente da veri e propri pezzi di hard rock a ballate più gentili, da ironici scimmiottamenti punk a pulsazioni psichedeliche con la stessa noncuranza di chi ha lungamente appreso l'arte e sia consapevole di non rendere conto a nessuno delle proprie scelte. Quindi si potranno ascoltare, in questo album intitolato come il nome del gruppo, The Hard Quartet, melodie scarne ma puntute alla Robin Hitchcock e per contro acide scorribande al retrogusto californiano, oltre naturalmente a pescare nel passato indie di ciascun membro della band. Non si parla, quindi, di un vero e proprio “rinnovamento rock” da queste parti, però le proposte sono ricche, talora sovrabbondanti di idee e l'effetto complessivo, riferimenti storici a parte, è quello di una certa freschezza globalmente distribuita lungo la sequenza di tutti i brani. L'album sembrerebbe sommariamente diviso in due parti, con una prima più veloce e scarna e una seconda un poco più elaborata e multidimensionale.

 

Per quello che riguarda la struttura propria della band, a parte il ruolo di White alla batteria, non esiste un'appartenenza fissa degli altri componenti a un particolare strumento. Gli interventi alle chitarre, al basso e alle voci sono piuttosto intercambiabili e questa non è certo prerogativa così diffusa tra i gruppi rock.

 

The Hard Quartet - The Hard Quartet

 

Chrome Mess è un cominciamento pieno di distorsioni, con il cantato filtrato forse da un vocoder e un'intenzione ricca di durezze, un po' alla Sonic Youth. Si inizia quindi senza compromessi e con il piede sull'acceleratore.

Hater è invece un rock più strutturato, con la chitarra solista che suona una semplice frasetta però molto incisiva, appoggiandosi sul robusto letto distorsivo offerto dai riff dell'accompagnamento e dal percuotere deciso di White alla batteria. La temperatura si alza e la band offre un assaggio di cosa sia in grado di fare.

Rio's Song è un gioiellino che tira dalle parti dei Big Star ma staziona anche a poca distanza da Neil Young. Molto buoni i cori, che sono la parte più vicina alla grande band che fu di Alex Chilton, ma da rimarcare anche gli intrecci chitarristici, chiamati a esprimersi con un piglio direi da grande rock band.

Our Hometown Boy lo trovo un sapido ibrido tra i Kinks e gli arpeggi chitarristici dei Church, con il sigillo papale di Roger McGuinn. Come si vede, gli Hard Quartet assorbono influenze varie da gran parte del passato e non potrebbe essere altrimenti, dato il costrutto intenzionale dell'album secondo i canoni classici del rock più indie.

Di Renegade se ne poteva fare tranquillamente a meno, visto che si tratta di una spudorata e secondo me anche un po’ ironica imitazione dei Sex Pistols.

Ma è evidente che l'anima di questo gruppo ha poco da spartire con il punk e lo si nota soprattutto in Heel Highway, una rock ballad in pieno “california style” con alcune reminiscenze dei Grateful Dead e un testo che pare essere un vero e proprio inno all'erba, quella da fumare... L'utilizzo dei cori è sempre piacevolmente ben strutturato, mentre le chitarre elettriche alternano sia arpeggi che accordi pieni, provvedendo a dare al brano un corpo decisamente materico.

 

The Hard Quartet

 

Hey ci riporta alla New York della fine dei '60 con un ricalco moderno ma mica poi tanto del profilo umorale dei Velvet Underground. Eppure, il brano funziona, soprattutto per il bell'intreccio chitarristico sul finale che gli stessi V.U, tecnicamente, non sarebbero mai stati in grado di fare. Però il gioco di imitare Lou Reed, almeno in parte, sembra riuscire.

It Suits You si espone ancora una volta all'arpeggio di due chitarre ma il pezzo stenta a lasciare la pista di decollo e cerca un assetto in corsa che pare non arrivare mai.

Six Deaf Rats potrebbe essere uno dei brani più interessanti, reso tale dai backbeat della batteria di White che scombina continuamente la carta ritmica e insinua un velo d'anarchia in una traccia altrimenti fin troppo ordinata. Bene le chitarre, come sempre, in un brano dalla luna un po' misteriosa e forse dalla durata anche un po' troppo lunga.

Action for Military Boys mi riporta col cuore ai Quicksilver Messenger Service di John Cipollina per quello che riguarda le chitarre e – siamo al paradosso – nel contempo ai Roxy Music per il canto, soprattutto nell'attacco vocale iniziale. Ma il bello è che tutti questi riferimenti si sfilacciano a metà brano, mentre tutto si trasforma in qualcosa di diverso e un po' farraginoso. Finale con ritornello irresistibile alla Andy Partridge.

Jacked Existence è una ballata acustica, quasi “eltonjohniana”, ricorda vagamente Tiny Dancer da Madman Across the Water del 1971. La sovrapposizione della chitarra acustica con l'elettrica rende il tutto piuttosto gradevole ma un po' fuori fuoco dal clima generale dell'album.

North of the Border raddrizza il timone verso la rock ballad elettrica, territorio che mi sembra più congeniale alle corde del gruppo. I numerosi stacchi ritmici interrompono la naturale indolenza del brano ma l'atmosfera è densa e irregolare, asciutta come una stagione siccitosa.

Thug Dynasty si tuffa in una psichedelia un po' folle alla Robin Hitchcock e vive di chitarre acide e riverberi con tanto di doo-woop corale.

Conclude Gripping the Riptide, un'incursione nel lato oscuro della creatività, in tuffo verso il volto più enigmatico del gruppo. Le chitarre stridono, il canto diventa accorato, la batteria sottolinea i momenti di tensione con brevi e azzeccate rullate subitanee.

 

The Hard Quartet

 

Inserita una monetina nel juke-box dei ricordi, gli Hard Quartet tentano la sintesi della loro vita, cioè unire l'esperienza acquisita dalle band da cui ciascuno proviene con il calderone delle influenze storiche del rock. Ma rescindere il cordone ombelicale, per questa band, pare difficile, così come trovare uno spazio musicale acconcio in cui inserirsi con originalità. Nonostante ciò il loro album è tra i più accattivanti per chi ama il rock un po' sporco – ma senza esagerare – e per chi non ha mai dismesso l'amore per le formazioni più classiche possibili, cioè due chitarre, basso e batteria. Non so se questo quartetto di duri coribanti del verbo elettrico rimarrà coeso oppure se ciascuno di loro preferirà tornare alle proprie band di appartenenza o indirizzarsi verso altre attività in campo musicale. Sono propenso a pensare che gli Hard Quartet, fino ad ora, si siano divertiti facendo divertire. Ma da una band come la loro, se ci sarà una prossima volta, sarà quasi doveroso aspettarsi di più.

 

The Hard Quartet

The Hard Quartet

CD e LP Matador 2024

Disponibile in streaming su Qobuz 24bit/96kHz e su Tidal 16bit/44kHz

di Riccardo
Talamazzi
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