Tim Garland | ReFocus

18.03.2021

Una storia complessa e affascinante lega il jazz agli strumenti ad arco. Non solo per quanto riguarda quei violinisti e contrabbassisti che hanno fatto la storia della stessa musica jazz ma anche per quegli strani ibridi che nel tempo si sono creati tra gli accompagnamenti classico-orchestrali e i musicisti di estrazione neroamericana prima ed europea poi. In fondo, le formazioni a quartetto e quintetto, così diffuse in ambito jazzistico e, se vogliamo, anche rock, discendono per continuità storica dalle strutture tardo barocche e settecentesche, dove archi, clavicembalo e flauti hanno mescolato le proprie capacità creative per regalarci pagine di musica straordinaria. Certamente, nell’amalgama tra gruppi di strumenti ad arco e le tipiche formazioni jazz, potrebbero sussistere problemi di linguaggio, che però non dovrebbero costituire a priori un limite espressivo ma piuttosto uno stimolo alla ricerca di novità.

 

A questo proposito, il sassofonista e compositore britannico Tim Garland, che vanta una duplice formazione, sia classica che jazzistica, in questo suo lavoro intitolato ReFocus riprende simbolicamente un vecchio spunto di Stan Getz, che nel ’61, insieme all’accompagnamento costruito da Eddie Sauter, pubblicò Focus, appunto, di cui questo disco di Garland rievoca il titolo e non solo. L’idea è appunto quella di legare il timbro tipicamente jazzy del sax, con le sue improvvisazioni spigolose, le sue scale fulminee ma anche i suoi suoni così carnali ed espressivi, con un ottetto d’archi più un’arpa. Se ne ricava così una mescolanza spuria d’intenzioni che oscilla tra jazz e classico moderno, senza sbilanciarsi eccessivamente da un lato o dall’altro.

 

Tim Garland - ReFocus

 

Naturalmente Garland non è da solo in questo matrimonio con gli archi ma è sostenuto dal pianoforte di John Turville, dal contrabbasso pizzicato del ben conosciuto Yuri Goloubev, dalla chitarra di Ant Law e dalla batteria di Asaf Sirkis. Dato che Tim Garland non è certo un novellino – ricordo che nel suo ruolino di marcia ha incluso collaborazioni con Chick Corea, Joe Locke, Bill Brudford, Ralph Towner e altri ancora – è assolutamente in grado di sbrigarsela con eleganza in questa serie di partiture non certo facilissime all’ascolto, in cui il sassofono sguscia tra uno strumento e l’altro senza farsi intrappolare, creando ora melodie notturne e struggenti come Maternal, ora melliflue sonorità piene di cambiamenti tonali come il brano seguente Thorn in the evergreen. Dream state si apre con dei violini quasi stravinskiani ma poi si finisce dalle parti di Ellington con un piacevole assolo di contrabbasso, scompigliato da qualche colpo ventoso dell’arpa, che contribuisce a regalare, appunto, il clima sognante del titolo del brano. Più complesso Night flight, dove anche la batteria dice la sua, avvolta dal manto strumentale degli archi che pare celarla a intermittenza. Con The autumn gate si torna ad una dolcezza che mi ricorda certe strutture armoniche di Piazzolla, per poi finire a una quasi orientaleggiante Jezzepi, dove finalmente appare il piano in assolo, e qui il jazz ha un moto d’orgoglio, rendendosi indipendente, per un attimo, dal respiro classicheggiante dei violini.

 

Insomma, una miscela eterogenea in cui non è facile orientarsi, ma che è in grado di compensare tutti i nostri desideri di novità, sempre che di questi, eventualmente, se ne avverta l’esigenza.

 

 

Tim Garland

ReFocus

CD Edition 2020

Reperibile su Qobuz in in Hi-Res 24/96kHz

di Riccardo
Talamazzi
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