Treetops | Demetra

28.10.2022

Si ascolta con disinvoltura e con una certa leggerezza d'animo – nonostante l'argomento esposto sia drammaticamente attuale – questo album dei Treetops, giovanissima band romana di sette elementi più o meno tutti ventenni che si propongono in questi giorni con Demetra, il loro debutto discografico. Le notizie ottenibili dalla biografia del gruppo raccontano, in breve, come questi musicisti si siano conosciuti al Saint Louise College of Music di Roma nel 2017 e da lì abbiano intrapreso tra loro una proficua collaborazione, approfondita soprattutto durante l'obbligato isolamento dovuto alla recente pandemia. Convinto della loro bravura, Pino Pecorelli, cofondatore dell'Orchestra di Piazza Vittorio, nonché contrabbassista della stessa, li ha voluti produrre nella loro opera prima, con risultati direi decisamente positivi.

 

L'album che ne è scaturito si presenta come un concept, cioè un discorso continuativo, una narrazione che procede attraverso le varie stazioni dei brani in sequenza, raccontando il risveglio di Demetra, l'arcaica dea della Terra a cui vennero dedicati, ai tempi dell'antica Grecia, i Misteri Eleusini. La storia è incentrata sull'angoscia provata dalla dea nel ritrovarsi in questo mondo contemporaneo votato alla deriva ambientale, con una Natura resa irriconoscibile dall'incuria e dalla polluzione umana.

 

La resa musicale di questa storia si colloca a fatica all'interno di una precisa categoria d'appartenenza, in quanto i riferimenti avvertibili nell'album sono parecchio eterogenei. I Treetops nominano gli Snarky Puppy tra le loro principali influenze ma forse più per il tipo di progettualità, prevalentemente strumentale e ricca di libera immaginazione, che non per l'oggettivo risultato musicale in sé. In realtà c'è di tutto un po', soprattutto una buona componente di rock-jazz progressive, hip-hop, qualche suggestione della vecchia scuola di Canterbury – mi vengono in mente i Camel – e poi un pizzico di funky e di fusion, financo qualche impulso che viaggia dalle parti dei Genesis... Insomma, non si tratta di jazz propriamente inteso, bensì di un saggio vagabondare stilistico con un tono complessivo piacevolmente esuberante, mai sfacciatamente eccessivo e condotto senza retorica.

 

I musicisti sono ben sintonizzati tra loro e costituiscono una sorta di insolito allineamento planetario al di fuori di strette logiche mercantili e soprattutto con un'idea ben radicata a livello sociale, cioè la coscienza del degrado ambientale che funge da motore propulsivo per il loro album. Inoltre, questo gruppo ha una leader, cioè la chitarrista Anna Bielli, particolare non trascurabile in un mondo musicale dove le band leader si contano sulle dita di una mano. Accanto a lei troviamo Marcello Tirelli alle tastiere, Luca Libonati alla batteria, Simone Ndiaye al basso elettrico, Andrea Spiridigliozzi a una seconda chitarra elettrica, Eric Stefan Miele al sax soprano e per finire Daniel Ventura al sax tenore.

 

Treetops - Demetra

 

Il brano d'inizio, che dà il proprio nome all'album, è appunto Demetra, impostato su un tema molto convincente che profuma di Mediterraneo, sostenuto in primis sia dal sax soprano di Miele e dal ritmo spezzettato della batteria. Si ascolta anche una voce femminile tra le righe, probabilmente quella della stessa Belli. Il brano oscilla così tra flussi di tastiere, impressioni progressive e reminiscenze quasi balcaniche.

Harvest, il raccolto, è un tema evidentemente in linea con tutto ciò che concerne la Madre Terra ma il brano sembra riferirsi, nelle intenzioni degli autori, agli sprechi alimentari, ai depositi di cibo confezionato, impilato e ordinato delle catene dei supermercati. Prodotti che hanno perso la loro “sacralità” naturale per diventare semplici merci consumabili, una sorta di raccolto industriale, quindi. Un giro di basso supporta il tema principale tracciato da una chitarra, che presto verrà raddoppiata dal sax tenore, mentre una seconda chitarra distorta imposta qualche stacco solistico prima dell'assolo vero e proprio condotto dallo stesso sassofono. Il brano pulsa di una sua urbanità e possiede un fascino kingcrimsoniano, tanto per non disattendere le influenze seventies accennate precedentemente.

Helium si discosta leggermente dai brani fin qui ascoltati. La ritmica è decisamente, metronomicamente rock, ma con i due sax che, insieme a un'aspro suono di chitarra, conducono un tema corale, sotto il quale le tastiere elettroniche si divertono in un suono un po' borborigmico. Un piccolo intervallo nel flusso musicale sembra rendere possibile una breve parentesi free, prima della conclusione in linea con il tracciato iniziale. Strada facendo si evidenzia, quindi, come questi ragazzi siano in grado di preparare piatti differenti, speziati con vari generi musicali, senza mostrare alcuna timidezza.

42” of Nature prosegue più sobriamente con le due chitarre che s'intrecciano l'una all'altra, tra un arpeggio rarefatto e una delicata melodia. Ho comunque l'impressione che sia sovraincisa una terza chitarra da 0:24 in poi.

Waving Season è pieno progressive melodico, inizia quasi in continuità col brano precedente tramite gli interventi arpeggiati delle chitarre. Sale la ritmica e i sax intervengono all'unisono impostando un ottimo tema cantabile. La musica scorre con facilità e naturalezza. Ascoltiamo una lucida chitarra che, all'inizio della seconda metà del brano, si butta in un convincente assolo, portandosi parecchio vicino alla vecchia scuola di Canterbury.

Arriva Neoglass, che di per sé è il nome di un detergente chimico per la pulizia dei vetri. Certo è che, giocando con il senso letterale del termine, si potrebbe intendere il tutto come il “nuovo vetro”, cioè la plastica che ovviamente non esisteva ai tempi di Demetra. Il brano è un bel gioco d'insieme, molto funky, con tutti gli strumenti in evidenza. Il tema, come molti altri utilizzati nell'album, è costruito in modo abbastanza semplice e orecchiabile, rimanendo comunque ben lontano da qualsiasi approccio formale banale.

Sirene comincia molto dolcemente sopra una struttura cristallina d'arpeggio chitarristico. Il sax soprano ha un suono talmente dolce che sembra quasi un oboe nelle battute iniziali, fino a che irrompono basso e batteria e una tastiera che ricorda il suono del moog. Back to '70 quindi? In effetti siamo vicini a certe cose degli EL&P, in modo particolare, per le atmosfere, al periodo di Lucky Man.

Cenere ha un attacco basso-batteria in modalità rock e sono sempre i due sax, sovrapposti e spesso all'unisono, a dettare i poli di riferimento del tema portante, dalla caratura invero un po' ansiogena. Le chitarre regolano, in seconda linea, il traffico di idee – che sono sempre molte – soprattutto dopo il gran pieno di fiati precedenti la metà del brano, anche se comunque ho l'impressione che compaiano sovraincisioni aggiuntive degli stessi aerofoni. Segue un rallentamento in cui le ance vengono silenziate, riempito secondariamente da un espressivo e tranquillo assolo chitarristico, mentre la ritmica scandisce il tempo con decisione. La ripresa del tema si fa stentorea con una nobile escursione di sax soprano doppiato dalla chitarra. Si tratta probabilmente di una delle tracce più interessanti dell'intero album, suonata ottimamente, dalla quale si comprende il notevole livello tecnico ed espressivo dei Treetops e, dunque, chapeau!

Everywhere is nowhere è ancora una volta apparecchiata all'interno di un riverberato dialogo chitarristico dal sapore pop che mi ha fatto ricordare le esperienze dell'etichetta britannica 4AD agli inizi degli '80. Si tratta di un breve pezzo, un piccolo gioiello senza apparenti pretese in grado però di risplendere di una luce tutta sua.

Letargo potrebbe chiudere l'allegoria di questo disco con una sorta di rassegnata significanza, alludendo da un lato al sonno della dea Demetra che rinuncia a comprendere l'aspetto divoratore della modernità ma anche, forse, all'obnubilamento ben più grave dell'umanità, non ancora resasi pienamente conto del futuro che può aspettarsi. Ancora chitarre a innescare il pezzo con il sax soprano che parte da solo per essere poi sostituito dal tenore, fino a quando i due strumenti a fiato si ritrovano a percorrere insieme la stessa strada. Tastiere, moderati effetti elettronici, tempo scandito dalla batteria e da un basso che si fa più poderoso, tutto converge verso un gran finale che poi va a rarefarsi diluendosi nel suono dei due sax, più un terzo sovrainciso.

Dearth, ultimo brano, significa in inglese “scarsità”, “carestia”. La si può leggere anche come una parola strana e ambigua, una fusione tra “dear” ed “earth”, oppure un ibrido tra “death” ed “earth”. In entrambi i casi è un termine che dà inquietudine, sul quale sarà bene cominciare a riflettere più seriamente di quanto non si faccia ora.

 

Treetops

 

Un micromondo sorprendente, quello dei Treetops, un prezioso innesto di linfa verde alla musica jazz, o quasi jazz che dir si voglia, all'interno della scena musicale italiana. Un disco spregiudicato, moderno e divertente, abbondantemente ispirato a certa estetica che ha caratterizzato il decennio degli anni '70 ma con l'innesto di elementi contemporanei, immessi senza forzature. Un gruppo che racconta l'autentico disagio del nostro tempo, un presente indigeribile che dovranno saper affrontare in futuro soprattutto i ventenni di oggi. Nel mentre la musica dei Treetops potrebbe avere un ruolo catartico, riflessivo, giusto come le opere tetrali rappresentate nella Grecia antica ai tempi della dea delle messi e dei raccolti.

 

Treetops

Demetra

CD Vagabundos Records 2022
Reperibile su Tidal 16bit/44kHz e Spotify MP3 320kbit/s

di Riccardo
Talamazzi
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